Carteggio n°119: L'incoscienza dei conservatori
William Buckley ha creato le condizioni per un'egemonia culturale di destra. Solo che non era quella che lui avrebbe sognato
“Most controversies begin with a discussion of principles; but soon degenerate into episodical, verbal, or personal cavils.”
Lettera a Salma Hale, 26 luglio 1818
Buona giornata a tutti i lettori di Jefferson!
Nel mese di novembre appena trascorso le istituzioni culturali della galassia conservatrice americana hanno celebrato il centesimo compleanno di William Buckley, giornalista e scrittore, e della sua creatura più importante, la National Review, che di anni ne ha fatti settanta. In teoria si dovrebbe celebrare un trionfo ideologico di un’impresa lanciata all’epoca in modo donchisciottesco, in un momento in cui anche i vertici del Partito Repubblicano dell’epoca del presidente Dwight Eisenhower avevano accettato alcuni principi solidaristici del New Deal rooseveltiano. Ebbene, il risultato forse non piacerebbe a Buckley e si vede al di là del destino della sua creatura, che vivacchia in un’ecosistema mediatico ormai dominato da podcaster e influencer atteggiati a giornalisti, dove la Review, con la sua storia prestigiosa, appare come una reliquia museale o un trofeo nel carniere di Trump, tra un torneo di Golf e l’altro. Di base ininfluente e che crede ancora che da questa seconda amministrazione del tycoon possa fare qualcosa che ricordi da lontano i desiderata del Fondatore su un’America più religiosa, con più libero mercato e che difendesse il mondo libero dall’ascesa del comunismo. Tutto è in vendita nel supermarket trumpiano (ne abbiamo già scritto) e un pezzo vintage come la NR non può fare eccezione. Noi però cerchiamo di tracciare un percorso con le nostre analisi. Perché anche il trumpismo non nasce dal nulla e ha radici anche in quel mondo.
Buona lettura!
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