La mistica della donna tradizionale
Phyllis Schlafly, l'antifemminismo conservatore e la costruzione politica della tradwife statunitense
Era l’agosto del 1976 quando il New York Times descriveva le politiche repubblicane come unite da un galateo politico ben concordato, fatto di moderazione e sottomissione ai compagni di partito: “Le donne politiche repubblicane osservano un’etichetta politica tutta loro. Non puntano mai il dito contro i politici repubblicani di sesso maschile, né pubblicano manifesti con elenchi di ‘richieste’”.
Non erano, quindi, troppo esigenti o difficili. Al contrario, perfettamente accomodanti – come d’altronde dovrebbe essere per i conservatori la donna perfetta, che la sua dimensione sia dentro o fuori le mura domestiche. E come ogni donna che si rispetti, se entra in conflitto lo fa con altre donne: è questa l’immagine restituita dalla testata per descrivere le lotte intestine al mondo femminile degli anni Settanta e Ottanta rispetto all’ERA, l’Equal Rights Amendment – il XXVIII Emendamento alla Costituzione ratificato (finalmente, nel 2020) da tre quarti degli Stati della Federazione.
A capo di questi conflitti interni, la cosiddetta tradwife originaria: Phyllis Schlafly, la più grande nemica del femminismo statunitense e radicale ideologa conservatrice “rosa” di niente meno che il Presidente Ronald Reagan.
Madre di sei e “moglie di” – come sempre ha preferito descriversi pubblicamente, senza ricorrere a nessun’altra qualifica o attributo personale – Schlafly ha fortemente perorato la causa di una incontrovertibile divisione dei sessi da cui far derivare ruoli sociali distinti. La sua retorica, propagandata attraverso la sua rubrica, il Phyllis Schlafly Report, ha fatto viaggiare per anni il maschile e il femminile lungo binari incapaci di incrociarsi.
La destinazione prediletta del suo femminile era la casa, dove poter sprigionare la natura profonda della donna, “emotiva, pratica, privata, oltre che mistica”; non sottomessa, ma complementare e da confinarsi in un recinto ben delineato.
Tanto reazionaria quanto visionaria, Schlafly ha aperto la strada a un movimento anti-femminista ben specifico. Alla sua base, questo ha la convinzione per cui dominare la dimensione della casa, senza doversi piegare a superflue lotte per l’indipendenza e l’autodeterminazione, sia un privilegio che un mucchio di femministe poco grate rispetto a questa “fortuna” concessa dalla biologia e dalle proprie naturali attitudini non dovrebbero avere il diritto di boicottare. Si tratta delle cosiddette tradwives, ovvero donne marcatamente tradizionali, cristallizzate nell’unico ruolo di mogli e madri.
Eppure Schlafly è stata avvocata, oltre che membro – per sei anni – della Commissione sul bicentenario della Costituzione degli Stati Uniti, e niente meno che tra le cento donne più influenti del ventesimo secolo secondo il Ladies’ Home Journal. Si considerava evidentemente nel suo agire “una dei ragazzi” (e sicuramente il valore che le ha attribuito Reagan ha contribuito a farla sentire come tale), tuttavia nelle sue campagne legava indissolubilmente il femminile a una identità da tappezzeria.
E per quanto Schlafly, nel corso della sua lunga carriera politica, sia parsa come una donna sfaccettata, dalle tante opinioni e punti di vista su questioni travalicanti i confini del genere, la sua figura è stata funzionale fintato che si è posta come la donna che parlava e arringava le folle conservatrici su questioni prettamente connesse proprio ai ruoli di genere, dall’ERA al diritto all’aborto – lotta di cui è stata protagonista nella sua strenua opposizione a Roe v. Wade. Qualsiasi tentativo della stessa Schlafly di essere davvero (e non solo di ritenersi tale) “one of the boys” è naufragato, vittima dello stesso paradigma propagandato in prima persona.
Benché le donne tradizionali siano state, nell’ambito di alcune battaglie, ancora più conservatrici delle controparti maschili, ponendosi come il vero baluardo dell’America libera, hanno dovuto andare incontro – come la stessa Schlafly – a una forma di cancellazione perpetrata dalla storiografia conservatrice mainstream. Quest’ultima, infatti, tende a concentrarsi sulla centralità di figure maschili di primo piano che hanno certamente lasciato la loro impronta nella storia conservatrice statunitense e nel sistema giuridico e politico dell’intera nazione, ma meno profonda e risonante delle attiviste conservatrici e tradizionali.
Come Schlafly stessa poi ha materialmente dimostrato, le tradwives hanno sempre vissuto una forte contraddizioni in termini: angeli del focolare nell’immagine rivendicata e restituita all’esterno, ma in trincea nella difesa, anche politica, di un ordine patriarcale, con i loro mezzi.
A osservare il loro agire ci sarebbe da chiedersi: sono mai state davvero donne tradizionali confinate strettamente nel loro ruolo di genere? Se si guarda all’importanza avuta in campi come il cosiddetto Educational Conservativism e alla macchinosa organizzazione per conquistare i board scolastici per propagandare una specifica educazione conservatrice dei figli, no, non sono mai state semplici casalinghe dal grembiule e le gonne gonfie. Anzi.
La verità storica è un’altra: senza tutti gli sforzi “di base” a supporto del Partito Repubblicano negli anni Cinquanta e Sessanta, la conquista da parte della destra della Casa Bianca non sarebbe stata possibile già con Ronald Reagan negli anni Ottanta.
E anche a guardare numericamente il fenomeno, sorgono dubbi di discrepanza tra la forza della propaganda e la materiale popolarità dello stile di vita da donna tradizionale tanto supportato da Schlafly stessa. Secondo, infatti, Lisa Wade, professoressa associata di Sociologia alla New Orleans’ Tulane University, la nozione di tradwife appartiene agli anni Cinquanta e all’ideale di famiglia mononucleare. Una convinzione senza particolari fondamenta, se si considera che per gran parte della storia statunitense, la maggior parte delle famiglie si è basata su una strutturazione in cui entrambi – uomo e donna – contribuivano al mantenimento della famiglia. E anche con poca prospettiva di sopravvivenza: sempre secondo Wade, già negli anni Settanta l’immaginario della donna casalinga e dell’uomo capofamiglia risuonava poco con le urgenze di una economia che rendeva impossibile sopravvivere con entrate assicurate da un singolo.
Quello che è sicuramente incontestabile, ieri come oggi, è che il fenomeno nasconde una forte ansia legata ai cambiamenti sociali, di cui gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta erano pregni.
Proprio come oggi, il fenomeno delle tradwives rivive – forse più forte che nella sua prima ondata, immischiandosi con logiche di marketing e mercato spesso difficili da contrastare – e trova la sua portavoce in una Phyllis Schlafly tanto formata, quanto tattica e prorompente: la vedova Kirk.



