Da Buckley a Trump: la metamorfosi della Heritage Foundation
Il think tank più antico della destra vuole cambiare i rapporti tra politica e governo, per un maggior controllo della presidenza sulla vita politica e la macchina federale
Una struttura che spinge per una revisione dei rapporti tra politica e amministrazione federale, per un maggior controllo della Casa Bianca sulle agenzie indipendenti e per un nuovo approccio ai diritti civili, dall’aborto alle politiche LGBTQ. Questo è diventato oggi la Heritage Foundation. Per capire questa trasformazione da ciò che era un tempo, bisogna ripartire dall’inizio.
Come nasce la Heritage Foundation: la Brookings di destra
La Heritage Foundation nasce nel 1973, nel pieno delle turbolenze del dopoguerra americano: il Vietnam alle spalle, la crisi di fiducia dopo il Watergate e il timore nel mondo delle imprese che la burocrazia federale fosse dominata da funzionari liberal. L’idea di Paul Weyrich, Edwin Feulner e Joseph Coors è costruire una sorta di Brookings di destra, un laboratorio di idee capace di produrre analisi rapide e utili ai parlamentari repubblicani, sulla scia di quanto fatto sul piano culturale dalla National Review di William Buckley. Da subito la Heritage Foundation si propone come strumento operativo della nuova destra: meno tasse, meno Stato, anticomunismo. La missione è promuovere valori conservatori basati su libero mercato e libertà individuale.
L’era Reagan e l’ascesa della destra conservatrice
Il salto di qualità arriva con Ronald Reagan. Nel 1981 la Heritage Foundation pubblica Mandate for Leadership, una guida operativa per il nuovo governo repubblicano. Reagan la distribuisce ai membri dell’esecutivo e, secondo ricostruzioni interne, ne applica quasi i due terzi: tagli fiscali, deregulation, rafforzamento della spesa militare. la Heritage Foundation diventa così il cuore tecnico della destra “fusionista”, la corrente che unisce liberismo economico, conservatorismo sociale e opposizione all’Unione Sovietica. Un modello che ruota attorno alla National Review, la rivista fondata negli anni Cinquanta da William F. Buckley.
Negli anni Novanta e Duemila la fondazione rafforza la sua reputazione pro-business. È allora che alcuni dei suoi economisti propongono il mandato individuale in sanità: l’obbligo per ogni cittadino di avere un’assicurazione privata. Un’idea che passerà al modello Romney in Massachusetts e poi all’Obamacare, che però la Heritage Foundation combatterà. In questa fase la linea resta reaganiana: libero scambio, NATO forte, difesa del mercato.
La svolta radicale: Heritage Action e l’era Tea Party
La rottura arriva nel 2010, con la nascita di Heritage Action, il braccio di pressione politica della fondazione. Nel 2013 l’arrivo del senatore Tea Party Jim DeMint segna l’ingresso della Heritage Foundation nel conflitto interno al Partito Repubblicano. La campagna per defund Obamacare — che contribuisce allo shutdown federale di quell’autunno — diventa il simbolo di una linea più ideologica e meno incline al compromesso.
Con Trump la metamorfosi diventa piena. Nel 2016 la Heritage Foundation diventa la principale fornitrice di idee e personale per la sua candidatura: prepara liste di nomi per dipartimenti chiave (Energia, Ambiente, Istruzione) e contribuisce a definire l’agenda giudiziaria che porterà alla maggioranza conservatrice nella Corte Suprema. Nel 2018 la fondazione rivendica che l’amministrazione abbia adottato circa due terzi delle sue proposte. È il passaggio in cui la destra reaganiana lascia il posto a un nazionalismo economico che accetta dazi, guerra commerciale con la Cina e forti tagli fiscali.
Heritage oggi: da think tank conservatore a regia di Project 2025
Dopo la sconfitta di Trump nel 2020, mentre parte del mondo conservatore si smarca dalle teorie sulle elezioni rubate, la Heritage Foundation sceglie l’allineamento all’ex presidente. Rafforza il proprio staff con ex funzionari trumpiani su immigrazione e sicurezza, accoglie l’ex vicepresidente Mike Pence come visiting fellow e non mette in discussione la narrativa delle presunte frodi elettorali. Nel 2021 arriva alla guida Kevin Roberts, che spinge la fondazione ancora più verso il fronte MAGA.
Project 2025 è il compimento di questo percorso. Pubblicato nel 2023, è un manuale operativo di oltre novecento pagine per un nuovo mandato trumpiano. Prevede una forte politicizzazione dell’amministrazione federale, l’estensione dello Schedule F per sostituire funzionari con personale politico, un maggior controllo della Casa Bianca sulle agenzie indipendenti e un approccio più restrittivo su aborto, diritti LGBTQ, diversity e immigrazione.
Negli ultimi mesi la Heritage Foundation è apparsa più come un attore politico che un centro studi. Roberts parla di “seconda rivoluzione americana”, intensifica i rapporti con partiti nazionalisti europei (tra cui Rassemblement National, Vox e Fides) e affronta tensioni interne, come le dimissioni della task force contro l’antisemitismo dopo la sua difesa di Tucker Carlson. La metamorfosi è evidente: da think tank della destra tradizionale a uno dei centri del nuovo corso repubblicano, capace di influenzarne la direzione nei prossimi anni.




