Legends never die: buon compleanno Kobe!
Nella settimana di quello che sarebbe stato il suo 43° compleanno abbiamo voluto ricordare Kobe Bryant, scomparso prematuramente nel gennaio 2020.
Il 26 gennaio 2020 è una data ormai purtroppo scolpita nella storia, una di quelle date per cui la gente si ricorderà, anche a distanza di anni, dove era, cosa stava facendo, quando ha ricevuto la notizia della morte di Kobe Bryant.
Kobe aveva 43 anni e il 26 gennaio 2020, in seguito ad un incidente in elicottero, ha perso la vita insieme a sua figlia Gianna, piccola promessa del basket femminile, e ad altre 4 persone che stavano andando ad una partita della squadra di Gianna. I 4 passeggeri avevano preso l'elicottero personale di Kobe per evitare l'infernale traffico di Los Angeles, il quale avrebbe fatto arrivare le ragazze ed i loro genitori in ritardo per il fischio d'inizio.
L'elicottero, com’è noto, non è mai arrivato a destinazione, schiantandosi sulle colline di Calabasas e portando alla morte di tutti i passeggeri. Nel giro di poche ore la notizia si è diffusa in tutto il mondo e ha lasciato sconvolto chiunque, perché Kobe Bryant è una di quelle poche persone conosciute veramente in qualsiasi angolo del pianeta.
Kobe nasce il 23 agosto 1978 a Philadelphia, in Pennsylvania, e inizia a maneggiare la palla a spicchi già a tre anni. Poco tempo dopo, suo padre Joe si ritira dalla NBA e decide di trasferirsi in Italia, a Rieti, per continuare la sua carriera nel basket professionistico.
Kobe starà in Italia dai 6 ai 13 anni e, oltre a imparare un fluente italiano, inizierà a giocare veramente a basket, dando già prova del suo talento. È durante il suo ritorno negli States che si fa veramente notare: alla Lower Merion High School, Bryant disintegra ogni record, diventando il primo freshman (giocatore al primo anno, ndr) a giocare titolare nella storia della scuola, e dopo una prima stagione deludente per quanto riguarda i risultati della squadra, Bryant e compagni ingranano, ottenendo solamente 13 sconfitte nelle 90 partite giocate nei successivi tre anni.
Kobe è la stella della squadra, chiude a fine anno con medie impressionanti e decide allora di fare il grande salto: come Kevin Garnett nel 1995, Bryant rifiuta il college e si dichiara eleggibile per il Draft NBA del 1996, convinto di poter già dire la sua nel basket dei professionisti.
A selezionarlo sono gli Charlotte Hornets con la tredicesima scelta assoluta, ma Kobe non giocherà nemmeno una partita con la maglia della franchigia della Carolina del Nord perché nel corso del draft i Lakers, la squadra di Los Angeles ed una delle franchigie più importanti della storia della NBA, hanno deciso di mettere su una trattativa con gli Hornets, scambiando così Vlade Divac e altre future scelte per il talento della Lower Merion.
Nei Lakers, Kobe trova Shaquille O'Neal, arrivato in estate da svincolato, che formerà insieme a Bryant una delle coppie più vincenti della storia della lega. Il primo anno fra i professionisti Kobe lo conclude vincendo il premio di rookie of the year, assegnato al miglior giovane al primo anno nella Lega, ma i Lakers non riescono ad arrivare in finale, e così succede anche nei due anni successivi. Nel 1999 in California viene chiamato il leggendario coach Phil Jackson, già pluricampione con i Bulls di Michael Jordan, e i Lakers si aggiudicano tre titoli consecutivi, dal 2000 al 2002.
Dopo il terzo trionfo di fila, LA inizia a ricostruire, e lo fa attorno alla sua stella, Kobe Bryant; c’è tempo per un altro titolo, nel 2009, bissato poi l'anno successivo, permettendo così a Kobe di totalizzare 5 anelli, uno solo in meno di MJ, il suo idolo, e il giocatore a cui di più Kobe si è ispirato nella sua carriera.
Gli ultimi anni sono tuttavia avari di successi, fino alla stagione 2015-2016 in cui Kobe, tramite una lettera alla pallacanestro, "Dear Basketball", diventata poi un cortometraggio che gli è valso anche un Oscar, annuncia il ritiro a fine stagione, iniziando così un farewell tour che lo accompagnerà in tutti i palazzetti della NBA e si conclude allo Staples Center, la sua casa, contro gli Utah Jazz. L'ultima partita ufficiale in NBA di Bryant si chiude 101-96 per i Lakers, con 60 punti a referto per il Black Mamba.
Dopo venti stagioni termina in questo modo la carriera di Kobe Bryant. 5 titoli NBA, 2 volte MVP delle NBA Finals, 1 MVP stagionale e 18 convocazioni all'All Star Game appaiono nel suo palmares, ma quello che rimane più impresso di Kobe, e che definisce veramente la grandezza di un giocatore come lui, è la sua forza in campo e il suo spirito di sacrificio: parliamo della Mamba Mentality, la vera legacy di Kobe Bryant.
Kobe nei suoi quattro lustri in NBA è sempre stato un punto di riferimento per quanto riguarda il sacrificio e la dedizione al gioco: nel 2013, nel corso di una partita contro i Golden State Warriors, Bryant si ruppe il tendine d'Achille, un infortunio che lo costrinse a saltare il resto della stagione e l'inizio della successiva, ma nonostante ciò il #24 dei Lakers rientrò in campo dolorante, determinato a segnare realizzare i liberi.
Kobe era sempre il primo ad arrivare in palestra, alle cinque del mattino, e si allenava per oltre due ore, spesso da solo, cercando di raffinare i suoi movimenti e di migliorare la sua tecnica, il suo vero pallino.
Questo ha fatto sì che la nuova generazione di giocatori NBA crescesse con lui come idolo. In seguito al suo ritiro, Kobe aveva iniziato a girare il mondo in qualità di ambasciatore del basket, raccontando la sua esperienza, i suoi sacrifici, e portando con sé i suoi ricordi in ogni visita che faceva.
Nel 2017 iniziò a pubblicare sul suo profilo twitter delle “Challenge” per i nuovi talenti della NBA, a partire dal greco Giannis Antetokoumpo, che ricevette forse la sfida più difficile: diventare MVP della lega, e nel 2019, dopo il primo MVP del greco Kobe alzò la posta in gioco, mettendo il chiaro il prossimo obiettivo: il titolo NBA.
A 4 anni dalla challenge “originale”, Antetokoumpo è diventato MVP per ben due volte, ma soprattutto ha vinto un titolo NBA, riportando il Larry O'Brien Trophy a Milwaukee, dove mancava dal 1971, completando quindi la sfida lasciatagli da Kobe, con Pau Gasol, storico amico di Bryant, che dopo pochi secondi dalla vittoria del titolo, ha voluto far sapere al suo amico fraterno che “Ante” ce l’aveva fatta: aveva vinto il titolo NBA.
La legacy di Kobe però non si ferma qui ed è ricordata ogni giorno sui parquet dell’NBA: Devin Booker, talento dei Phoenix Suns, in ogni partita che gioca si scrive sulle scarpe "Be Legendary", ovvero quello che gli scrisse Kobe sulle scarpe donategli l'ultima volta che giocarono contro.
LeBron James, dopo aver vinto il titolo NBA nel 2020 nella “bolla” di Disney World, ha voluto subito dedicare il risultato a Kobe, scomparso qualche mese prima. Anthony Davis, altro giocatore dei Lakers, nelle finali di conference contro i Denver Nuggets ha urlato “Kobe” mentre segnava una tripla, come il più classico dei ragazzi che fa canestro con un pezzo di carta in un cestino.
La leggenda di Kobe, e la sua legacy, continueranno ad esistere anche in futuro perché come disse Babe Ruth, storico giocatore dei New York Yankees e forse il più grande uomo ad aver mai utilizzato una mazza da baseball:
Heroes get remembered, but legends never die.
Tanti auguri Kobe!