“I am my father’s legacy”: l’impatto di Giannis Antetokounmpo
Dai quartieri popolari di Atene al settimo cielo, in mezzo a tanti drammi familiari e premi individuali che l'hanno reso il greco più famoso del mondo.

Il mondo dello sport è da sempre pieno di storie incredibili e l’aura di misticismo che si crea attorno a certe figure che riescono a raggiungere traguardi pazzeschi tende a far distorcere la percezione che i tifosi hanno degli atleti stessi che, alle volte, vengono elevati a figure sospese tra l’umano e il divino.
Lungi dal voler rappresentare la storia raccontata in quest’articolo attraverso una retorica epica degna dei più famosi poemi omerici, che risulterebbe assai scontata dal momento che la vicenda ha inizio in Grecia, si può comunque tranquillamente dire che Giannis Antetokounmpo, giocatore bandiera dei Milwaukee Bucks che quest’anno ha trascinato a vincere il secondo titolo della franchigia a distanza di cinquant’anni tondi dal primo, sia probabilmente il greco più famoso al mondo degli ultimi duemila anni o giù di lì. Lui che di anni ne ha ancora solo 26 e che fino ai 18 sulla cittadinanza greca nemmeno ci poteva contare.
Giannis what?
Giannis nasce ad Atene il 6 dicembre 1994. I genitori, padre ex calciatore e madre ex atleta di salto in alto, erano emigrati dalla Nigeria alla Grecia due anni prima assieme al loro primogenito, Francis, in cerca di una vita migliore. In Grecia ottengono asilo politico ma, quando nascono gli altri quattro figli della coppia (in ordine Thanasis, Giannis, Kostas e Alexis, chiamati tutti con nomi ellenici per facilitarne l’inclusione sociale) essi non possono avere cittadinanza, in quanto in Grecia vige lo ius sanguinis.
L’infanzia dei fratelli Antetokounmpo, quindi, trascorre in condizioni difficili nel quartiere popolare di Sepolia, dove la famiglia è costretta a vivere alla giornata per permettersi di mangiare e pagare l’affitto, vendendo chincaglierie nelle strade della capitale greca. Giannis e i fratelli da bambini sono appassionati di calcio e spendono il loro tempo libero, tra la scuola e il lavoro da ambulanti, a giocare al campetto del quartiere, dove ogni tanto si dilettano anche a fare qualche tiro a basket, passandosi l’unico paio di scarpe da gioco a turno per non rovinare le scarpe che usano per andare a scuola.
È proprio qui che il destino di Giannis cambia drasticamente. Un giorno del 2008 Spiros Velliniatis, allenatore del Filathlitikos (squadra di Serie A2 greca), si trova nei pressi del campetto di Tritonas, nel cuore di Sepolia, alla ricerca di un ragazzo che gli era stato segnalato come un ottimo prospetto da inserire nel settore giovanile della sua società, Thanasis Antetokounmpo. Arrivato al campetto però, al posto di Thanasis trova Giannis, Kostas e Alex e rimane fulminato dal talento grezzo, ma evidente, del più grande dei tre. Deve averlo nella propria squadra, ma c’è un problema: non vuole giocare a basket perché preferisce il calcio. Per convincerlo, coach Velliniatis si offre di trovare un lavoro ai genitori di Giannis e concede un piccolo stipendio a lui e al fratello Thanasis per permettere loro di focalizzarsi solo sulla scuola e sul basket.
Passano gli anni e il gioco di Giannis migliora di giorno in giorno, arrivando ad essere uno dei prospetti migliori della nazione: nei cinque anni al Filathlitikos Giannis si è allenato col fratello due volte al giorno tutti i giorni, dormendo spesso direttamente in palestra per non dover attraversare il quartiere di sera tardi. È solo grazie al suo talento smisurato che riesce ad ottenere quindi, al compimento dei 18 anni, la cittadinanza greca.
Nel mentre viene ingaggiato dal Saragozza in Spagna, ma non ci giocherà mai perché le porte della NBA stanno per aprirsi: Velliniatis è riuscito a creare hype attorno alla sua figura e dagli Stati Uniti arrivano alcuni scout e giornalisti per vederlo e farlo conoscere alle franchigie NBA. Nel 2013 Giannis si dichiara eleggibile per il Draft (l’annuale selezione da parte delle squadre NBA dei migliori giovani provenienti dal sistema dei college americani e dall’estero) e viene selezionato, tra lo scetticismo generale, con la quindicesima scelta assoluta dai Milwaukee Bucks.
Coming to America
Una volta sbarcato nella NBA, Giannis viene inizialmente visto più come una mascotte che come un giocatore con un enorme potenziale: basti pensare che il primo soprannome che gli viene affibbiato è The Alphabet, a causa della lunghezza del suo cognome e della difficoltà nel pronunciarlo da parte del pubblico americano.
La squadra nel suo anno da rookie (matricola) arriva ultima nella classifica finale ma ciò che più preoccupa Giannis è il fatto di poter portare tutta la sua famiglia negli Stati Uniti: ai genitori viene negato il visto per trasferirsi due volte a causa del loro status di rifugiati, prima di poter finalmente ricongiungersi con il figlio nel Wisconsin.
Una volta risolta la questione che gli sta più a cuore, Giannis inizia a lavorare ancora più duramente per guadagnarsi ciò che vuole e fa breccia nel cuore dei tifosi di Milwaukee e di tutta la NBA per il suo carattere determinato e la sua etica del lavoro impeccabile: caratteristiche queste che gli permettono di arrivare a vincere prima il MIP (Most Improved Player) della stagione 2016/17, ottenendo anche la sua prima convocazione all’All-Star Game, e a seguire per due anni consecutivi il titolo di MVP (Most Valuable Player) nel 2019 e 2020, aggiungendo al secondo anche il premio di Miglior difensore dell’anno, con la definitiva consacrazione una settimana fa, quando ha riportato a Milwaukee il titolo di squadra campione NBA a cinquant’anni esatti dall’ultima volta, segnando (alcuni dicono in modo simbolico) 50 punti nella gara decisiva.
A otto anni dal suo arrivo negli Stati Uniti, Giannis (che nel frattempo da The Alphabet è diventato The Greek Freak) ha conquistato tutto e tutti, costruendo una cultura vincente a Milwaukee e mettendo i suoi Bucks sulla mappa delle migliori squadre della NBA.
Family first
Giannis Antetokounmpo, però, nel Wisconsin non si dimostra solo un ottimo giocatore di basket, ma anche e soprattutto un esempio di vita: fa volontariato, dona moltissimo denaro a fondazioni che aiutano ragazzi in difficoltà e si dimostra sempre interessato e coinvolto nelle dinamiche sociali, sia del proprio paese di nascita, che di quello “adottivo”. Nel 2020 è stato tra i promotori a Milwaukee (assieme ad alcuni compagni di squadra e alla dirigenza dei Bucks) della marcia a sostegno del movimento Black Lives Matter, ad esempio.
Tra tutte le virtù che può sfoggiare, comunque, la più caratteristica e impressionante è probabilmente la sua fedeltà, in particolare nei confronti della famiglia e di coloro senza i quali lui oggi non potrebbe essere dov’è. Giannis ha sempre avuto come chiodo fisso il benessere dei suoi familiari prima che il suo: l’esempio più esplicativo (e divertente) di ciò è quello che risale al suo anno da rookie, quando prima di una partita andò in banca per spedire dei soldi ai suoi genitori, che ancora vivevano in Grecia. Per non far mancare loro niente, Giannis inviò tutti i soldi che aveva, accorgendosi solo una volta uscito che non se ne era tenuto nemmeno un po’ per prendere un taxi fino all’arena dove doveva giocare un’ora dopo. Si mise allora a correre per arrivare in tempo e venne soccorso da due tifosi dei Bucks che, passando lì in macchina e riconoscendolo, gli offrirono un passaggio.
Allo stesso modo in cui è legato ai suoi familiari (lui e i fratelli hanno addirittura un account condiviso su Instagram chiamato Antetokounbros), Giannis non ha mai nascosto di volersi prendere cura (in modo figurato e letterale) della comunità di Milwaukee, la città che gli ha dato tutto: basti pensare che lo scorso anno, dopo insistenti voci di mercato che lo avrebbero voluto in altre squadre “più forti”, la sua risposta è stata quella di rifirmare per altre cinque stagioni nel Wisconsin, andando poi a vincere il titolo.
My father’s legacy
Tornando al paragrafo iniziale, sarebbe stato davvero facile parlare di Giannis come di un Semidio predestinato a una vita di successi, ma sarebbe stato un semplice esercizio di retorica. Non è solo questo, o meglio, è molto più di questo. La storia di Giannis è costellata di drammi, oltre che di luci della ribalta. Non per ultima la morte improvvisa del padre, Charles, colpito da un attacco cardiaco il 29 settembre 2017, solo due mesi dopo che il figlio aveva vinto il primo trofeo individuale nella sua carriera NBA.
Dalle strade di Sepolia, dalla sua infanzia precaria, dalla morte del padre e da mille altre sfide che gli si sono poste sul cammino, Giannis ha sempre saputo trovare una sfida da vincere per migliorarsi, autorealizzarsi e creare benessere per le persone attorno a lui e forse per questo, forse per il fatto che la sua storia incarni il sogno americano (tanto da essere diventata oggetto di una sceneggiatura per un film annunciato dalla Disney), è così apprezzato dai tifosi NBA.
Il sogno di Giannis è ancora vivo, non quello di un Dio, ma quello di un uomo che si realizza ogni giorno. Per migliorarsi costantemente, per sognare un futuro migliore per i suoi figli, come volevano per lui i suoi genitori. Con parole sue: I am my father’s legacy.