La sanità secondo Kamala Harris
Da sostenitrice alla copertura universale a posizioni più moderate, la dura strada per proteggere il diritto alla salute e all'aborto, con la promessa di non tornare indietro
Per Kamala Harris la sanità e i diritti riproduttivi sono tra i temi più centrali della sua campagna elettorale e, come abbiamo già detto molte volte qui su Jefferson, sono molto cari agli americani, più di quello che si pensa. La convention Democratica appena conclusa a Chicago l’ha dimostrato: ognuno ha parlato di sanità, ognuno è andato addosso al disinteresse GOP. Harris, nel suo discorso, ha detto che non permetterà che Trump si sbarazzi dell’Affordable Care Act, Obamacare o ACA, tornando indietro a un tempo in cui le assicurazioni sanitarie negavano copertura in casi di condizioni preesistenti. Quello che ci si aspetta da Harris è che segua le orme di Joe Biden per quanto riguarda le battaglie sanitarie intraprese durante la sua presidenza, che hanno riguardato principalmente un’espansione delle coperture di Medicare, il programma federale riservato agli anziani, le persone con disabilità, affette da SLA e con malattie renali terminali.
Per capire forse meglio la questione, però, dobbiamo andare a vedere la storia del rapporto di Harris con le politiche sanitarie: nel tempo la Vicepresidente è passata dall’avere posizioni molto forti e decisamente a sinistra nello spettro che compone il partito dell’asinello a essere sempre più moderata. Un rapporto che però deve trovare una quadra ben precisa per uno dei terreni di guerra più aspra in questa contesa elettorale. Infatti, secondo numerosi sondaggi, la sanità è uno dei temi chiave di queste elezioni presidenziali, così come l’aborto è particolarmente popolare tra le fasce più giovani di elettori.
All’inizio della sua carriera politica al Senato nel 2017, Kamala Harris era una sostenitrice della single-payer healthcare, la copertura sanitaria universale, e del Medicare For All Bill, sostenuto da personalità politiche lib left come il Senatore del Vermont Bernie Sanders. Celebre è il momento in cui alzò la mano durante il dibattito tra i candidati Dem, mettendosi a favore proprio insieme a Sanders dello smantellamento del sistema assicurativo privato, salvo poi ritrattare subito dicendo che aveva sentito male la domanda. Era un periodo in cui le anime del Partito Democratico in materia non riuscivano a mettersi d’accordo, per poi trovare un punto di convergenza nel salvare l’ACA dai continui tentativi di Donald Trump di affossarlo durante la sua presidenza.
L’inizio del processo di moderazione di Harris si nota particolarmente bene in un suo articolo di Medium datato 2019, in cui Kamala Harris proponeva quello che era il suo piano per la sanità: insieme alla denuncia del potere spropositato delle compagnie assicurative e dell’inefficienza del GOP di Donald Trump di occuparsi di questi temi, Kamala Harris chiedeva un’«assicurazione sanitaria comprensiva che copra ogni americano». Il piano di Harris, che si poneva come pragmatico e non ideologico, mirava quindi a espandere Medicare, includendo anche programmi di salute mentale, di telemedicina e assistenza al paziente per ricevere la migliore cura possibile. Senza contare l’attenzione verso la salute riproduttiva delle donne, specie di quelle appartenenti alle minoranze, e dei costi esagerati dei farmaci. Infine, Harris auspicava una collaborazione con le assicurazioni private che avrebbero accettato i requisiti di Medicare su costi e benefici da offrire ai consumatori, che potevano scegliere quindi se stare con Medicare offerto dal governo federale o Medicare offerto dalle compagnie. Il piano di Harris però avrebbe richiesto un certo tempo per entrare in vigore, precisamente dieci anni. Nelle sue stesse parole, infatti, non si può pretendere che questo cambiamento si faccia in pochissimo tempo: riformare un sistema così complesso è un processo lungo e difficile.
Perché questo shifting verso il centro? Come ricorda CNN in un recente articolo, all’epoca i sindacati stavano facendo pressione perché non si perdessero i piani assicurativi favorevoli e legati al contratto di lavoro che avevano duramente conquistato dopo numerosi tavoli di trattative con i datori di lavoro. Inoltre, lo spauracchio delle tasse aleggia sempre sulle teste dei politici che hanno qualcosa da proporre al loro elettorato. Il sistema di Harris, si legge, non avrebbe portato ad aumenti consistenti. Kamala Harris all’epoca fu tra i primi a lasciare la corsa presidenziale, entrando poi nel ticket con Joe Biden, che sulla sanità ha delle idee decisamente meno rivoluzionarie. Biden, infatti, non ha mai fatto mistero di non essere d’accordo con una forma di copertura sanitaria universale e di voler porre il proprio veto su un’eventuale legge in merito: piuttosto, il suo impegno si è focalizzato su un’espansione dell’ACA. Tuttavia, non sono rimasti con le mani in mano: uno dei più grandi successi in campo sanitario dell’amministrazione Biden-Harris è stato l’abbassamento del prezzo dell’insulina a 35 dollari al mese per un buon numero di americani diabetici e l’inizio delle contrattazioni con le Big Pharma per aggiungere ulteriori farmaci alla lista dei prezzi calmierati. Anche questo era un punto molto importante nel piano del 2019 di Harris e potrebbe essere una politica in espansione in una sua eventuale presidenza. Infatti, in un rally ad Atlanta, Georgia, Harris ha ribadito di voler affrontare le case farmaceutiche e mettere un calmiere al prezzo dei farmaci, continuando il lavoro intrapreso in questi quattro anni e facendo risparmiare migliaia di dollari al ceto medio americano.
Per quanto riguarda i diritti riproduttivi, la Vicepresidente è rimasta sulle sue posizioni forti e ha duramente criticato la Corte Suprema nel 2022 quando ha ribaltato Roe v. Wade ed è stata la prima in assoluto ad aver visitato una clinica di Planned Parenthood, la più famosa no profit pro-choice statunitense. Se Biden prima di Roe v. Wade era rimasto molto in sordina sulla questione, Kamala Harris invece non ha mai usato mezzi termini, cosa che sta dimostrando anche ora in campagna elettorale, dove il diritto all’aborto e le libertà riproduttive sono temi cruciali da opporre invece alla battaglia antiabortista GOP. In questo trova nel suo running mate Tim Walz un fedelissimo alleato. Walz è stato infatti uno dei Governatori più impegnati a proteggere il diritto all’aborto nel suo Stato, il Minnesota, all’indomani di Roe, e l’ha ribadito ancora: i diritti non si negano a nessuno, nemmeno quando noi stessi non faremmo la stessa scelta. Ognuno deve pensare ai fatti suoi, dice Walz, in quello che sembra essere uno degli slogan del ticket dem.
Come detto sopra, l’intenzione di Harris sembra proprio quella di seguire la strada tracciata da Joe Biden. Entrambi hanno spesso ripetuto che per la loro amministrazione la salute è un diritto e non un privilegio, mantra ripetuto da più voci anche alla convention. Tuttavia, non è escluso che la piattaforma di Harris porti qualcosa in più. D’altra parte, come abbiamo già raccontato, Project 2025 non ha ottimi piani per Medicare e Medicaid, così come per il diritto all’aborto. Roma non è stata costruita in un giorno, Harris lo sa e lo ha dimostrato moderandosi sempre di più, forse per aprire a più possibilità. Lo sa che per continuare il lavoro intrapreso e proteggere i diritti delle donne americane deve avere numeri favorevoli al Congresso. Sa benissimo che i passi saranno difficili e dolorosi una volta saliti alla Casa Bianca. Qualcosa però agli elettori bisogna dare e Harris ha scelto la speranza, insieme a una promessa: we’re not going back, non torneremo indietro. Cosa che sperano milioni di americane e americani.