Brittney Griner è libera, ma tra Stati Uniti e Russia si giocano anche altre partite
Basket e hockey raccontano la tensione tra le due potenze.
“Vincere la battaglia sul campo”. “Sconfiggere l’avversario”. “Annientare i pretendenti al titolo”. “Mostrare il repertorio dell’arsenale offensivo”. “Difendere lo spazio aereo”. E così via… La retorica sportiva, come ben sappiamo, condivide da sempre il medesimo bacino semantico proprio dell’arte della guerra. Ma cosa succede quando i destini di guerra e di sport, di politici e atleti e delle due distinte economie che regolano questi ambiti si intrecciano in maniera ben più profonda?
Assai più complesso di un micidiale “Ti spiezzo in due” sussurrato nell’orecchio del pugile più famoso del mondo, lo scenario creatosi a partire dallo scoppio del conflitto in Ucraina, vulnus che ha riacceso i venti della Guerra Fredda, ha raggiunto il suo acme a livello globale con l’esclusione della Russia da tutte le competizioni per quattro anni ed è filtrato nelle pagine della stampa italiana attraverso le vicende del caso Griner. Ma non si è trattato di un fatto isolato.
Galeotto fu il liquido...
Cosa sia successo nel mondo del basket lo sappiamo. Un’occhiata a due articoli pubblicati su Jefferson può essere d’aiuto: qui avevamo raccontato l’accaduto, qui presentato la stagione WNBA nella speranza di vedere Griner in campo. Non è successo.
In estrema sintesi, Brittney Griner, campionessa WNBA, venne fermata lo scorso 17 febbraio, mentre era in transito all’aeroporto Seremetyevo, in un trasferimento legato alla sua professione, quella di cestista nel campionato russo. Nel suo bagaglio era stata rinvenuta una carica di sigaretta elettronica contenente olio di hashish. Violazione grave per la legge russa, che all’esito di un processo-farsa ha stabilito per Griner una condanna alla reclusione per addirittura nove anni.
La diplomazia non ha mai smesso di lavorare e il risultato è stato lo scambio di prigionieri tra un’atleta che avrebbe potuto fumare dell’hashish (giova rammentare che l’uso terapeutico non è affatto da escludere) e Viktor Bout, un mercante d’armi russo implicato in decenni di traffichi assai loschi, reso persino celebre dal film Lord of War. Il dilemma morale è probabilmente irrisolvibile: si fa bene a organizzare scambi simili o si fa il gioco del cattivo?
Alla luce del clamoroso squilibrio tra i due capi d’imputazione gravanti sui protagonisti dello scambio di prigionieri, si pone un dilemma morale che potremmo definire classico in occasioni come questa: è davvero cosa buona e giusta piegare il capo di fronte alle pretese di un regime contrario ai principi fondamentali dello stato di diritto per restituire la libertà a un singolo? Difficile dare una risposta che metta tutti d’accordo, si può però dare la propria opinione e dire “Sì, è giusto”. Perché questa è la nostra opinione.
Quali conseguenze per la carriera di Griner? Difficile dire, ma un’analisi la facciamo.
Nella stagione appena passata, le sue Phoenix Mercury sono arrivate fino al primo turno dei playoff, ma lì si sono fermate, all’esito di una stagione tribolata, segnata dagli infortuni di Diana Taurasi – votata giocatrice più grande di tutti i tempi, ma a quarant’anni il suo fisico presenta il conto – dalle bizze di Tina Charles e, notizia bella tra diverse brutte, dalla seconda gravidanza di Skylar Diggins-Smith, ottimo motivo per non giocare i playoff. Chiaro che con Griner in campo la storia sportiva della WNBA 2022 sarebbe stata molto diversa.
La vicenda Griner ha indotto le cestiste statunitensi a boicottare la Russia in massa, boicottaggio reso ancora più logico dall’esclusione delle squadre russe dalle competizioni europee. Più in generale, l’abitudine delle campionesse della WNBA a giocare pure in Europa (la WNBA è una lega maggio-ottobre) per incrementare, e di molto, il conto in banca si scontra con le nuove regole che prevedono multe salatissime per chi non si presenta al training-camp o peggio all’inizio della stagione.
Amara Saudade
La lega cestistica femminile americana non è stata però l’unica a risentire delle frizioni tra i due governi. Se le Phoenix Mercury hanno dovuto rinunciare ai loro sogni di titolo per l’assenza pesante del loro centro, i rimpianti per la nazionale russa di hockey alle Olimpiadi sono forse ancora maggiori. La ROC (questo l’acronimo conferito ai rappresentanti della Grande Madre Patria ai giochi) si è infatti dovuta arrendere per 2 a 1 in finale contro la Finlandia, essendo stata costretta a rinunciare ad alcune delle sue pedine più pregiate, impiegate sino a quel momento nella NHL.
Fra queste, il nome sicuramente più significativo è rappresentato da Kirill Kaprizov, talentuosa ala sinistra dei Minnesota Wild. Dopo aver espresso tutto il suo rammarico per aver dovuto rinunciare già a dicembre al sogno di ripetere l’impresa del 2018 a causa di motivi che esulavano dalle sue prestazioni, il campione è stato protagonista di una stagione regolare sopra le aspettative in cui ha segnato un nuovo record per la squadra di Saint Paul (47 goals, 61 assists, e 108 punti). Indubbiamente, un tabellino che ha acuito ancor di più la sensazione di un’occasione sprecata da parte della Red Machine.
Nel corso dell’estate di questo travagliato 2022, il venticinquenne di Novokuznetsk è poi stato coinvolto in una vicenda per certi tratti molto simile a quella vissuta da Griner. Nonostante le raccomandazioni del suo General Manager Bill Guerin, subito dopo l’eliminazione dai playoff per mano dei St. Louis Blues ha infatti scelto di ritornare in Russia in visita ai parenti.
Una riunione familiare che si è trasformata rapidamente in un incubo per il giocatore, quando si è visto recapitare l’accusa da parte dei media locali di aver presentato una falsa documentazione relativa alla leva militare per evitare il servizio durante la stagione 2017, quando ancora militava nel Salavat Yulaev Ufa. Il rischio di dover partire verso il fronte ucraino insieme ai 300.000 riservisti richiesti da Putin per sostenere lo sforzo bellico, invocato proprio in quelle settimane, sembrava quindi materialmente potersi concretizzare nel giro di pochi giorni, insieme a quello della pesante perdita economica da parte della franchigia in cui milita in NHL, che nel 2021 si è assicurata le sue prestazioni fino al termine della stagione 2025-2026 per la cifra monstre di quarantacinque milioni di dollari.
Le difficoltà alla frontiera sono state poi ulteriormente accresciute dal fatto che nel corso della pandemia, per via della congestione dei consolati di tutto il mondo, i giocatori europei hanno goduto di particolari privilegi per il rilascio dei visti lavorativi. La scadenza del visto ha costretto Kaprizov a intraprendere molteplici tentativi di oltrepassare la frontiera, senza tuttavia avere successo. Conferme e smentite su un possibile ritorno prima dell’inizio della stagione 2022-23 si sono rincorse per tutto un luglio bollente, al termine del quale il classe ‘97 si è potuto riunire a Mats Zuccarello e ai compagni di squadra in tempo per preparare la nuova stagione.
È difficile stabilire se la serie di risultati poco edificanti e la sterilità che i Wild hanno riscontrato in fase offensiva durante l’inizio di stagione, nonché il nervosismo dimostrato dal giocatore anche per le attenzioni particolari che i difensori avversari gli hanno riservato, siano da attribuire alle tribolazioni patite prima della preparazione. Il ritardo, almeno mentale, pare essersi tuttavia colmato nel corso delle settimane, con Kaprizov che ha attivato il turbo del suo motore diesel e in parte risollevato un inizio sottotono di stagione per i WIld, nonostante le ultime due cocenti sconfitte in casa dei Calgary Flames e degli Edmonton Oilers.
Futuri plausibili
Come il lettore avrà ormai ben chiaro in mente, quello a cui abbiamo assistito è stato uno scontro politico internazionale su due piani distinti, che ha avuto esiti diversi anche per la diversa nazionalità dei due soggetti. Nel caso Griner, la possibilità di trasformarla in uno strumento per le richieste da parte del governo russo è stata determinante per regolare l’intero svolgimento delle trattative.
Nel caso Kaprizov la questione politica si è mossa su due piani distinti, uno coincidente a quello di Griner, l’altro legato allo scontro diplomatico tra KHL e NHL, le due leghe interessate, dietro il quale si celano indubbiamente questioni economiche e di immagine. Il tentativo di privare la NHL di una delle sue stelle è passata attraverso il nodo della leva militare, in una modalità non difforme da quella che ha interessato anche il prospetto dei Philadelphia Flyers, Ivan Fedotov, il cui trasferimento dalla KHL è stato momentaneamente interrotto con l’arresto, forse anche per non privare la nazionale russa del portiere titolare. A contribuire a tale effetto, dalla prospettiva americana, hanno involontariamente giocato un ruolo chiave anche le politiche di immigrazione adottate dagli Stati Uniti durante il Covid, di cui evidentemente il caso Griner non ha risentito, e che hanno complicato e rallentato la fuga dell’ala dei Wild.
Sempre considerando il fattore economico, non dobbiamo poi dimenticarci che stiamo parlando di due campioni assoluti dei rispettivi sport, e che il riflesso in termini di salary cap e bilanci, oltre che di marketing, è tutt’altro che secondario. Mettendo però a confronto i due casi, bisogna tuttavia sottolineare che, anche per le differenze di compensi agli atleti tra leghe femminili e maschili che stanno attirando sempre più l’attenzione del dibattito pubblico (tra le tante analisi, qui potete trovarne una legata alle vicende di cui stiamo parlando), Griner era titolare di un triennale da 665.000 dollari, pesante se si tiene a mente che era all’epoca dei fatti il quinto per peso in tutta la lega, ma decisamente non paragonabile a quello di Kaprizov.
Ultima differenza degna di nota è costituita, come ovvio, dagli aspetti prettamente legali delle due vicende: se nel caso della Griner la misura detentiva è scattata immediatamente con l’arrivo in aeroporto, Kaprizov è riuscito ad allontanarsi per tempo, limitando - per fortuna sua e degli addetti ai lavori - l’operato della diplomazia internazionale.
Se Kaprizov ha saputo ripartire, non possiamo invece sapere come reagirà Griner, probabilmente nemmeno siamo in grado di immaginare. Certo, sul piano teorico avrà tutto il tempo per tornare in forma, allenarsi a dovere e ripartire per la nuova stagione nel pieno dei suoi (super)poteri. Giova ricordare che stiamo scrivendo di una delle migliori giocatrici non solo della lega, ma della storia della pallacanestro. Che ne sappiamo però noi dell’impatto di trecento giorni in una prigione russa sul fisico e sulla mente? Nulla, non ne sappiamo nulla. Ed è per questo che da amanti del basket - e tifosi personali di Griner, ammettiamolo - speriamo che lei stia bene. Se poi bene anche giocherà, prendiamolo come un gran bel regalo.