I democratici dicono addio al loro piano energetico
Come Joe Manchin ha fatto naufragare l'ultima possibilità di ridurre le emissioni degli Stati Uniti entro il 2030.
Solo alcune settimane fa, per conciliare gli umori contrastanti all'interno del Senato relativamente al piano di investimenti da 1.5 mila miliardi proposto dai Democratici (il Build Back Better Act, ne abbiamo parlato qui), il presidente Biden ha deciso di puntare tutto su un piano secondario.
Il Clean Electricity Performance Program (CEPP), che mira all’introduzione di nuovi standard energetici e ammonta ad una spesa di 150 miliardi di dollari, è, di fatto, un modo per cercare un compromesso finora irraggiungibile. Il settore elettrico negli Stati Uniti è infatti uno dei settori più inquinanti del Paese, secondo solo al sistema dei trasporti.
Tuttavia, spostare l’attenzione su un settore estraneo al mondo delle grandi corporazioni dimostra inevitabilmente che i gruppi di pressione che negli ultimi mesi hanno lavorato alla demolizione del Build Back Better Act, sono riusciti nel loro intento. Eppure non basta: ora vogliono affossare anche il CEPP, l’ultima concreta possibilità di approvare una politica energetica efficace per gli Stati Uniti.
Il CEPP rappresenta la colonna portate del piano energetico voluto da Biden dall’inizio del suo mandato: il programma consentirebbe di incentivare le aziende di pubblica utilità a passare all’energia rinnovabile, abbandonando gradualmente i combustibili fossili. Attraverso questo piano, il Dipartimento dell’energia statunitense concederebbe sovvenzioni ai fornitori di elettricità che riescono ad aumentare almeno del 4% la quota di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili che riescono a fornire alla loro clientela. In breve, i fornitori che arrivano ad aumentare del 4% questa quota, riceverebbero, 150 dollari per ogni megawatt all’ora che genera più dell’1,5% di energia rinnovabile, rispetto all’anno precedente.
All’indomani delle elezioni, i Democratici hanno iniziato a cercare una strategia efficace per far passare un pacchetto di leggi sul clima che realisticamente potesse trovare anche il consenso del Senato e superare eventuali dissidi interni. Ragion per cui si era da subito ipotizzata, a quel tempo, la possibilità – qualora si fossero riscontrati problemi – di passare per la strada della c.d. riconciliazione del budget. Il processo di Reconciliation consente ai comitati del Senato di apportare modifiche, anche significative, al bilancio federale, tramite il voto a una legge che richiede solamente 51 voti (quelli della maggioranza) per poter essere approvata.
Il CEPP era stato inserito proprio all’interno di questo piano di riconciliazione, che inizialmente avrebbe dovuto prevedere un budget da 3.5 mila miliardi di dollari che ormai sappiamo essere naufragato. Il piano di riconciliazione da cui dipendeva il CEPP rappresentava praticamente l’ultima speranza di mettere in atto una politica di efficientamento energetico che potesse anche solo parzialmente sostituire le misure proposte dal Build Back Better Act.
E mentre in questi giorni i Democratici lavorano all’ennesimo pacchetto legislativo sul clima e la sicurezza sociale, con una spesa quasi dimezzata (da 3.5 a 1.9 mila miliardi di dollari), il senatore democratico Joe Manchin III ha dichiarato di volersi opporre a oltranza anche al CEPP, che – secondo lo staff del Congresso e indiscrezioni provenienti dal mondo dei lobbisti – verrà probabilmente definitivamente stralciato dal disegno di legge di bilancio.
A due settimane dalla COP26 di Glasgow, gli Stati Uniti perdono l’unica proposta in grado di riportare il Paese in linea con gli obiettivi di Parigi entro il 2035. L’egoismo, la tutela degli interessi privati, l’incapacità di comprendere la gravità della situazione in cui il Paese e il resto del mondo versano, spiegano l’inamovibilità di Manchin di fronte a qualsiasi tentativo di conciliazione portato avanti negli ultimi mesi dai suoi colleghi. Tentativi inutili di fronte all’avidità del senatore, che dall’industria fossile, ha guadagnato negli anni una vera fortuna.
Un’inamovibilità figlia dell’individualismo più sfrenato, di quel modo di fare politica che guarda solamente all’interesse della parte rispetto al tutto, che si scontra inevitabilmente con le necessità di una nazione intera che, ancora una volta, ha perso la sua occasione per guidare la lotta alla crisi climatica globale che maggiormente ha contribuito a creare.
E questo non solo indebolisce gli Stati Uniti sul piano internazionale ma contribuisce a creare una narrazione di inaffidabilità che – ahinoi – trova le sue radici nei quattro anni della presidenza Trump e nella scarsa credibilità delle dichiarazioni di Biden. Una credibilità che poteva essere costruita attorno all’efficacia di una strategia di lotta al cambiamento climatico che, bisogna dirlo, i Democratici hanno provato a imporre in tutti i modi.
Per settimane, soprattutto l’ala più progressista dei Democratici, aveva giurato al Paese e al mondo che non si sarebbe mai piegata ad un piano di riconciliazione che escludesse il CEPP. Ora, di fronte all’impassibilità dei Repubblicani e all’opposizione di Manchin (e della senatrice Sinema), la Casa Bianca sarà costretta a trovare strategie di ripiego.
Due possibili soluzioni riguardano l’introduzione di incentivi fiscali per le società che producono energia rinnovabile e l’adozione di crediti d’imposta per i consumatori che acquistano veicoli elettrici (che si aggiungerebbero alle misure già approvate dal Senato a fine agosto). Si tratta, chiaramente, di misure secondarie che, per quanto significative, non consentirebbero un cambiamento a lungo termine del settore energetico.
Il problema rimane prevalentemente legato ai fornitori di energia elettrica: secondo dati forniti dal think tank Evergreen Action a Grist, solamente 12 società su 3.000 stanno lentamente avvicinandosi alla quota di energia rinnovabile prevista dal CEPP. Chiaramente, i numeri parlano da sé e se si continuerà sulla strada dei combustibili fossili, entro il 2030 le emissioni del settore energetico diminuiranno solo del 43% rispetto ai livelli del 2005. Biden, durante la sua campagna elettorale, aveva promesso di ridurre le emissioni dell’economia statunitense del 50%.
Con il naufragio del CEPP e del Build Back Better Act i Democratici sono definitivamente a un bivio. L’unica possibilità che hanno di salvare il programma energetico (e la loro credibilità) è di far passare il programma attraverso un disegno di legge autonomo ma, né i tempi, né l’opposizione del GOP, depongono a loro favore. Nel frattempo però il tempo scorre e le elezioni di metà mandato sono sempre più vicine.