Tutti gli uomini (e le donne) del Presidente: come si è diviso l’elettorato per genere
La dimensione di genere ha fortemente impattato sul risultato delle elezioni presidenziali, rivelandosi uno dei fattori determinanti nel riportare Donald Trump alla Casa Bianca
Per la prima volta in quasi 250 anni, il mondo intero si è sentito a un passo dallo sperimentare la prima Presidente donna alla guida degli Stati Uniti d’America.
Una convinzione così totalizzante da far dimenticare ogni sfumatura di delusione che lo stesso mondo aveva già provato nel 2016, quando Donald Trump faceva il suo inaugurale ingresso alla Casa Bianca scalzando la candidata Democratica Hillary Clinton.
Con le elezioni del 5 novembre 2024, Trump ha siglato il suo ritorno al 1600 di Pennsylvania Avenue, sconfiggendo la Vicepresidente Kamala Harris con un netto distacco, in una campagna elettorale che ha marcatamente opposto il genere maschile a quello femminile, portando però a risultati in alcuni casi etichettabili come inaspettati.
All’indomani della vittoria di Trump – rapida, travolgente, al limite dell’impossibile da metabolizzare – i cancelli della misoginia più spregiudicata si sono spalancati, facendo strada a figure come quella del «troll di estrema destra e pro-Nazi» Nick Fuentes (come definito dal Guardian). che non ha perso tempo nel gridare sornione davanti a una telecamera: «Hey bitch, we control your bodies. […] Your body, my choice. Forever». Una soddisfazione durata poco, dato che diversi utenti di X hanno immediatamente diffuso le informazioni personali di Fuentes (compreso l’indirizzo e foto di casa sua) animando il trend «Your house, our choice. Bitch».
Nonostante la patinata soddisfazione di una improbabile rivalsa femminista su Fuentes, i dati forniti dall’Institute for Strategic Dialogue – che si occupa di monitorare le statistiche relative ai discorsi d’odio online – sono chiari sul significato del voto massivo per Trump: la libertà di odio nei confronti delle donne non è una conseguenza del voto, ma il suo scopo, ben riassunto da un aumento del 4.600 per cento nell’uso delle frasi su X, «il tuo corpo, la mia scelta» e «ritornate in cucina».
Non solo MAGA Men
Solo gli elettori di estrema destra – i cosiddetti uomini MAGA – hanno garantito il ritorno di Trump nello studio ovale? No, anche una buona dose di elettori under 30, conquistati dal tycoon a livelli irraggiungibili dal lontano 2008 per i Repubblicani. Secondo alcuni exit poll forniti da NBC News, tra i giovani maschi bianchi senza una laurea Trump ha battuto Harris per 56 per cento a 40 per cento. A determinare la loro mobilitazione massiccia verso le urne, le questioni economiche che affliggono la popolazione statunitense, ritenute nettamente più rilevanti di qualsiasi altra problematica sociale. Sempre secondo NBC News, tra i giovani, infatti, il 78 per cento di chi ha individuato l’economia americana come una priorità ha poi votato per Trump.
Determinanti sono state anche figure come quella del podcaster Joe Rogan, conduttore del Joe Rogan Experience che avrebbe pubblicamente dichiarato il suo supporto a Trump il giorno prima delle elezioni. Un endorsement, a essere precisi, andato più al magnate Elon Musk che direttamente a Trump (in una dinamica che sembra vedere più l’imprenditore che il candidato Repubblicano stesso al centro del successo elettorale).
Quello di Rogan è, secondo i dati forniti da Edison Research e YouGov, il podcast più popolare negli USA, con il 56 per cento degli ascoltatori tra i 18 e i 34 anni e l’81 per cento di questi di genere maschile.
Le urne sembrano dunque aver premiato il cosiddetto «Intellectual Dark Web», i cui protagonisti non sono solo celebrità marcatamente Repubblicane, ma anche Democratici convertiti, come lo stesso Elon Musk, Tulsi Gabbard (nominata da Trump come direttrice dei servizi di Intelligence) o Robert F. Kennedy Jr (individuato come Segretario alla Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti). Tutte figure che hanno visto un crescere della loro popolarità durante la prima presidenza Trump e che sono state oggetto di discussione pubblica a partire da un importante articolo del 2018 del New York Times che li descriveva come «un insieme di pensatori iconoclastici, accademici rinnegati e personalità dei media che stanno tenendo una conversazione a rotazione – su podcast, YouTube e Twitter, e in auditorium esauriti – che sembra diversa da qualsiasi altra cosa stia accadendo, almeno pubblicamente, nella cultura in questo momento».
È importante precisare, però, che non sono solo – seppur in larga parte – i maschi bianchi ad aver portato Trump alla Casa Bianca: si è trattato, infatti, di una corsa elettorale che è stata in grado di oltrepassare le linee razziali puntando a un’unica identità maschile. Il tycoon, dimostratosi in grado di strappare anche il supporto di uomini BIPOC, avrebbe portato la maggioranza dei latinos a votare Repubblicano secondo Slate oltre che, come nel 2020, circa il 20 per cento degli uomini neri.
I Latinos For Trump non rappresentano una novità elettorale del 2024, ma mai come in occasione di questa tornata si sono rivelati fondamentali: elettori sparsi lungo la Latino Belt della Pennsylvania (una lunga area industriale orientale spostatasi marcatamente a destra nell’arco delle ultime due elezioni), ad esempio, hanno garantito un aumento di 14 punti percentuali a Trump rispetto alle elezioni del 2020. Perché scegliere Donald Trump rispetto a Kamala Harris? Perché il primo sembra saper rispondere di più alle preoccupazioni concernenti l’inflazione e l’economia in generale.
Harris non solo, dunque, ha perso, ma la sua campagna ha fatto perdere ai Democratici la classe operaia: come avrebbe gridato un vittorioso Bill Clinton allo sconfitto Bush, «it’s the economy, stupid», e nessun exit poll o intervista post-elettorale sembra poterlo contestare.
I Democratici non possono aspettarsi di essere salvati dalle donne bianche
Non sono solo gli uomini ad aver scelto Trump, ma anche le donne, prevalentemente bianche e suburbane che, apparentemente, non hanno voluto vedersi ridurre a elettrici single-issue ammaliate dalla centralità data dalla campagna Harris a una narrazione femminista, oltre che ai diritti riproduttivi.
L’aborto, ritenuto uno degli argomenti chiave che avrebbe potuto far vincere la presidenza ai Democratici dopo il rovesciamento di Roe v. Wade e l’annullamento di qualsiasi tutela costituzionale alla procedura medica, in realtà si è rivelato come solo la terza tematica più sentita in queste elezioni, dopo economia e immigrazione/sicurezza.
Secondo gli exit polls di NBC News, il 53 per cento delle donne bianche avrebbe scelto come Presidente degli Stati Uniti un uomo che incarna la più sfrontata misoginia, piuttosto di optare per l’avvento di Madam President. Anche le donne bianche – come il corrispettivo maschile – hanno motivato la loro scelta presidenziale con le preoccupazioni economiche che affliggono le loro famiglie. Come puntualizza il LA Times, però, risulta quasi paradossale come giustificazione, essendo stato Trump il primo presidente da Herbert Hoover a lasciare l'incarico nel 2020 con un numero di posti di lavoro inferiore a quello del suo insediamento.
Gli exit poll forniti dalla CNN forniscono un quadro addirittura più cupo per quanto riguarda le donne bianche, stimando che le appartenenti a una simile categoria e con una laurea hanno votato al 53,5 per cento per Harris, mentre il 64 per cento delle donne bianche non laureate ha scelto Trump.
Si può, dunque, sostenere che le donne in generale – e senza distinzioni per classe o etnia – abbiano scelto Trump tout court? No, perché Harris ha vinto il 92 per cento dei voti delle donne nere e il 61 per cento dei voti delle donne latine. Tuttavia, il margine che separa la candidata Democratica dal candidato Repubblicano si è ridotto notevolmente dalle elezioni del 2020 e dallo scontro Biden-Trump.
E così, le donne bianche hanno preso la stessa direzione di sempre, siglando in qualche modo il fallimento definitivo del femminismo bianco liberale statunitense e della sua retorica. Per la terza tornata elettorale di fila dal 2016 è stato chiarito che non possono essere le donne bianche il target di riferimento per i Democratici e, pertanto, nemmeno una comunicazione incentrata su di loro, il loro genere e i loro diritti riproduttivi può rivelarsi efficace. Lo dimostra appieno il paradosso dei referendum sull’aborto votati contestualmente alle elezioni presidenziali in dieci Stati: in sette – Missouri, Nevada, Arizona, Colorado, Maryland, New York e Montana – il diritto all’aborto ha visto un ampliamento delle sue tutele o il rovesciamento delle restrizioni imposte da legislature statali conservatrici, a prescindere dai voti allocati al Presidente.
È davvero, quindi, «l’economia, stupidi», o gli Stati Uniti sono arrivati a un punto di rottura in cui è l’identità l’ago della bilancia tra ogni sconfitta Democratica e vittoria reazionaria? Saranno i prossimi lunghi quattro anni a dircelo e le prime nomine del nuovo Presidente sembrano puntare all’ultima realtà sopravvissuta in un’America di post-verità: it’s the identity.
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