Tra panico e euforia, quale sarà la prossima bolla negli Usa?
Torna l'incubo delle bolle negli Stati Uniti. Dopo il crac di Svb, ecco quali settori sono a rischio
Bolle, croce e delizia della finanza Usa. Croce perché – è noto – da almeno un secolo le crisi strutturali più importanti dei mercati su scala globale vengono dagli Usa. Così come viene l’ideologia improntata alla crescita infinita che spinge verso la sostanziale anarchia i listini nei momenti della massima euforia e della massima turbolenza. Ma anche delizia, aggiungiamo noi provocatoriamente. Perché la capacità degli States di continuare a essere l’epicentro non solo delle grandi turbolenze finanziarie ma anche dei corposi rally che spesso le precedono ne certifica la primazia finanziaria globale.
Al riflusso della marea, restano i più solidi e i più forti. Finita l’euforia della bolla del Dot.com a inizio secolo, sono emersi i Big Tech come li conosciamo adesso, vincitori del darwinismo finanziario che aveva portato molti concorrenti a schiantarsi. E dopo il crac di Lehmann Brothers le banche too big to fail hanno per quasi quindici anni governato l’era del quantitative easing globale.
La tendenza alle bolle è intrinseca nel sistema finanziario americano. Sta al legislatore, indipendentemente dal suo colore politico, comprenderlo. Un polo finanziario mondiale non può vivere di sussulti estemporanei, cerca sempre la frontiera (in)finita dell’espansione. Franklin Delano Roosevelt se ne rese conto dopo la crisi del 1929 e mise i paletti del Glass-Steagall Act per arginare le maree dividendo tra l’attività delle banche di raccolta e quella, più rischiosa, delle banche d’affari. Barack Obama invertì il vento neoliberale all’allentamento con il Dodd-Frank Act. Donald Trump ha riportato, in parte, indietro le lancette della storia e oggi è il vuoto di regolamentazione a creare i rischi per una strutturale ripresa dei cicli di bolle destinati a sovrapporsi che periodicamente trasformano da fonte di opportunità a fonte di crisi il sistema americano.
Svb e le avvisaglie di un crollo strutturale
Lo abbiamo visto, di recente, con Silicon Valley Bank: l’istituto non è crollato per la fine di un suo ciclo finanziario negativo, quanto piuttosto per il combinato disposto tra incertezza economica globale e alti tassi che ha esaurito l’onda del venture capital basato sul debito delle start-up tecnologiche. Svb, che non aveva sufficienti capitali per affrontare una corsa agli sportelli, si è rivelata insolvente, ma il vero problema è che il capitalismo del rischio fondato su innovazione e algoritmi è iniziato a trasformarsi in alchimia. Mostrando che il Re è nudo e sull’America incombono venti gelidi per il futuro del suo sistema economico-finanziario.
Le bolle sono gestibili se gli operatori si accorgono della loro dilatazione. Lo sgonfiamento repentino dei listini nella seconda metà del 2018 è un esempio di questo fatto, che depurò di molte puntate speculative gli USA e l’Europa con il semplice annuncio di molti rallentamenti nella corsa al denaro facile da parte delle banche centrali.1
Difficile invece accorgersene se euforia o panico predominano sul trend generale. E negli Usa questo è successo più volte. I ruggenti anni Venti si schiantarono a Wall Street nel 1929. L’ondata di proclami sulla realizzazione del Sogno Americano a colpi di debiti (suprime) facili per gli acquirenti di casa divenne un incubo con il crac Lehmann a fine anni Duemila. E oggi? Svb è stato un primo colpo, capace di creare con un insolito effetto farfalla lo tsunami Credit Suisse in Europa. Una per quanto limitata bolla si è sgonfiata senza un effetto-cascata, anche e soprattutto perché il trend generale dell’economia americana non è tale da giustificare un’euforia sistemica.
Ma cosa può succedere in futuro? C’è la possibilità che al contrario di una palese crisi in un settore comunque geograficamente ristretto o di nicchia possa verificarsi lo scoppio di una bolla latente a causa del problema di un istituto finanziario di media taglia che gestisce asset critici riguardanti tali attività finanziarie. O che una crisi dell’economia reale metta sotto stress settori della finanza particolarmente in difficoltà.
I settori a rischio
Identifichiamo come ad allerta gialla, e potenziale allarme rosso, tre settori. Il primo è quello dei prestiti studenteschi, che con 1.300 miliardi di dollari di valore rappresentano un segmento più ampio del debito rispetto ai prestiti auto o al debito delle carte di credito. L’amministrazione Biden ha permesso un minimo ristoro, ma su 44 milioni di americani che ne hanno contratti almeno il 10% è in default. E non si conosce l’ammontare delle scommesse finanziarie su prodotti cartolarizzati legati a questo segmento di asset.
Il secondo settore è quello dei fondi pensione degli Stati non adeguatamente finanziati, che già nel 2019 registravano 4mila miliardi di dollari di “buco”. Il nodo per questi fondi è legato al fatto che essi pagano rendimenti generosi legati alla previsione di andamento dei listini, che hanno conosciuto però nell’ultimo periodo una vera e propria altalena. Il fondo dovrebbe finanziarsi autonomamente coi rendimenti e ripagare gli investitori. Ai governi locali l’onere di colmarli qualora ciò non avviene. Secondo Moody’s, il buco da 4mila miliardi accumulato negli anni potrebbe in futuro amplificarsi.
Last but not least, l’immobiliare. Il settore sta già conoscendo un calo dai picchi dei costi di finanziamento del debito e dei mutui ottenuti a inizio anno, ma se la discesa sarà ripida potremo parlare di una vera e propria bolla pronta a scoppiare. I prezzi medi delle case negli Stati Uniti sono aumentati di circa il 45% in due anni dal primo trimestre 2020 al primo trimestre 2022, superando enormemente gli aumenti dei salari e del PIL.
Le contromisure
La Fed ha quindi frenato, portando i mutui dal 3% al 7% di tasso medio. A inizio 2023 gli acquisti immobiliari erano al minimo storico dal 1995, ma da gennaio stiamo assistendo a un calo medio del prezzo degli immobili dell’1% al mese. Il capitale finanziario accumulato alle spalle cosa farà? Cercherà valore altrove se non l’ha già realizzato? Si accontenterà di tornare su valori maggiori di quelli pre-pandemia, ma minori dei picchi? O punterà piuttosto, saggiamente, sulla prospettiva che meno inflazione e tassi più bassi rimettano in circolo il mercato?
La parola sta nell’umoralità. Manca l’euforia, non deve esserci il panico. Kindleberger docet. L’America dovrà convivere con molte altre bolle, ora e in futuro. Ai decisori il compito di evitare che sia l’anarchia eccessiva del gioco a provocarle. Come la fine dell’era del denaro facile sembra stia rendendo palese.
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