Speciale flash: la notte sognata da Kamala Harris
Harris vince di netto il dibattito, costringendo costantemente Trump sulla difensiva
(Copyright: Gage Skidmore)
La prima pagina di POLITICO, uno dei più importanti siti d’informazione sulla politica statunitense, stamattina si presentava con un grosso titolo: «Harris ha vinto il dibattito – e non è stato combattuto». Queste le sensazioni subito dopo la fine del secondo (e, ad oggi, ultimo) dibattito presidenziale, che si è tenuto a Philadelphia, in Pennsylvania, sotto la moderazione dei giornalisti di ABC News.
Partiamo dalle considerazioni logistiche e di regolamento: non ci sono state sostanziali modifiche alle regole del primo dibattito, quello che aveva visto scontrarsi Trump e Biden, e che era risultato nella performance disastrosa del presidente in carica, costringendolo nel giro di un mese al ritiro. La differenza è stata però l’interpretazione delle regole da parte della rete televisiva: se CNN fu molto stretta, chiudendo subito i microfoni ai candidati quando non parlavano e rifiutandosi di criticare ogni cosa venisse detta dai candidati stessi, abdicando quindi a una qualsiasi forma di fact-checking, ABC ha ragionato in maniera opposta. I microfoni sono stati chiusi la maggior parte del tempo, ma quando i toni si sono alzati li hanno accesi a entrambi, permettendo qualche botta e risposta verbale, e i moderatori hanno deciso di non lasciar passare alcune affermazioni palesemente false, verificando a tutti i sensi i fatti.
La campagna Trump si è arrabbiata per come è stato gestito il dibattito, ha accusato i moderatori di essere dalla parte di Harris e Trump stesso ha affermato di aver fatto il meglio possibile in una situazione di tre contro uno. È difficile però sostenere la parzialità dei moderatori quando il fact-checking di cui si parla è stato affermare che «non c’è nessun serio elemento d’informazione che dice che i migranti mangiano i cani a Springfield, in Ohio».
Ma andiamo con ordine: non parleremo del dibattito segmento per segmento per un semplice motivo, non c’è molto di cui parlare. Molte volte vi abbiamo raccontato questa campagna come di una sfida in cui si parla veramente pochissimo di policy effettive, e anche questo dibattito è stato uguale in questo senso.
Prima dell’inizio, la strategia di Trump era una: legare il più possibile Kamala Harris a Joe Biden, presidente che non gode del favore dei sondaggi, e parlare poco di aborto, mentre Harris avrebbe dovuto difendersi da economia e immigrazione. Proprio quando è iniziato il segmento relativo a quest’ultimo punto il dibattito è cambiato: ci si aspettava un Trump all’attacco, e così aveva cominciato a fare, ma è presto caduto in una trappola architettata da Harris. Durante una risposta che la candidata democratica ha dovuto dare sui confini ha usato più di un minuto non per rispondere, bensì per parlare direttamente al pubblico di quanto sono sconclusionati i comizi di Trump, con poca gente e che se ne va prima del tempo. Trump, che non sopporta la diminuzione della sua persona, è caduto nel tranello: il segmento sull’immigrazione è diventato un momento francamente imbarazzante, in cui Trump ha accusato Harris di pagare le persone che vanno ai suoi comizi, ha ripetuto di mobilitare le più grandi masse della storia degli Stati Uniti, e tornato sull’immigrazione, ancora visibilmente arrabbiato, ha raccontato, dandola per vera, una teoria del complotto presente online su come gli immigrati haitiani a Springfield, in Ohio, mangino i cani dei cittadini americani. Harris ha cominciato a ridere sguaiatamente, sapendo di aver evitato di dover difendere il record dell’amministrazione Biden sull’immigrazione, quello che sarebbe stato uno dei punti deboli del dibattito.
Un altro tema che sicuramente danneggerà Trump nella copertura mediatica del prossimo futuro è il segmento sull’aborto: un tema che il candidato repubblicano voleva a tutti i costi evitare, ma di cui, da dati The New York Times, ha parlato per più di quattro minuti, e non bene. A partire da affermazioni false, come che i democratici vogliono uccidere i bambini appena nati, fino alla sconfessione in diretta delle idee sul tema del suo candidato vicepresidente, J.D. Vance, Harris non ha dovuto fare molto se non guardare un candidato in palese difficoltà , e che non riusciva a uscirne.
In tanti momenti Trump ha faticato, facendo tutto quello che i suoi spin-doctor gli avevano detto di non fare: ha difeso i golpisti del 6 gennaio, dicendo che la colpa di quello che è successo sta tutta nella figura di Nancy Pelosi, l’allora speaker della Camera; ha nuovamente affermato, senza alcuna prova, di aver vinto le elezioni del 2020; ha detto che non ha nessun piano per una sanità post-Obamacare, ma solo «il concetto di un piano»; si è rifiutato di rispondere alla domanda sulla difesa dell’Ucraina, evidenziando solo che farebbe finire la guerra. Tutti i più grossi difetti della candidatura di Trump, rabbia e livore compresi, sono usciti allo scoperto, e probabilmente sarà quello di cui si parlerà di più.
Anche Harris ha avuto i suoi punti deboli, ma è riuscita a uscirne meglio: quello principale è che se qualche votante indeciso ha guardato il dibattito senza sapere quali fossero le politiche di Harris, l’unica cosa che ha capito è che è profondamente diversa da Donald Trump. I giornalisti hanno provato a incalzarla sul cambio delle sue posizioni, dicendole che si è spostata decisamente a destra rispetto a quando si era candidata nel 2020, ma Harris ha evitato di rispondere coerentemente alle domande, cambiando il discorso. Trump avrebbe potuto incalzarla, costringerla a rispondere più chiaramente, ma non lo ha fatto, e sembra proprio un’occasione persa da parte del team repubblicano.
Alla fine dell’ennesimo dibattito che ha riguardato più la figura pubblica di Donald Trump che le politiche di due candidati alla Casa Bianca, Harris si è detta pronta a farne altri e Lindsey Graham, senatore repubblicano che fa parte del team Trump, ha ammesso che servirebbe un altro dibattito incolpando la parzialità dei moderatori .
La brutta figura di Trump è evidente, ma non è detto che cambierà qualcosa: tutti conoscono le esagerazioni, le falsità e le bugie trumpiane, e seppur ci troviamo di fronte alla peggiore prestazione su un palcoscenico del candidato repubblicano non stiamo parlando di un disastro su tutta la linea, come quello di giugno di Biden. Nei prossimi giorni quotidiani, notiziari tv e giornalisti parleranno di questo dibattito e scopriremo se influenzerà nei sondaggi l’esito della sfida. L’impressione è che ci troviamo di fronte a una di quelle serate che succedono spesso nei dibattiti presidenziali classici: uno dei due ha nettamente vinto, ma lo spostamento di consensi potrebbe essere vicino allo zero.
Seriously you are writing it wasn’t a complete disaster for Trump? Someone who instead of answering questions spouts lies such as immigrants are eating people’s pets? Who can’t string a sentence together other than to whine that the election was stolen and he wasn’t responsible for January 6th? You are being deliberately disingenuous my dear friend and your journalism, shall we call it that, is worthless.