Quanti soldi in un cappellino
Icona culturale e impero commerciale, la merce MAGA arricchisce le casse private di Trump sfruttandone l'immagine pubblica

Immaginatevi la scena: ogni cinque anni, all’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano e la conseguente formazione di un nuovo governo, sostenitrici e sostenitori dei partiti politici in lizza gremiscono piazze per ascoltare i comizi dei loro esponenti. Sulle loro teste, cappellini da baseball che gridano “Meloni 2027”. Oppure, sventolanti nel cielo azzurro di maggio, bandiere con stencil tricolore del viso di Carlo Calenda. O ancora, sui paraurti delle automobili parcheggiate nelle strade laterali, adesivi che vagheggiano un avvenire di “Schlein-Conte a Palazzo Chigi”.
Difficile immaginarselo, vero? Non perché il sistema elettorale italiano non prevede l’elezione diretta della presidenza del Consiglio. Neanche perché, in ottant’anni di storia repubblicana, le elezioni politiche non hanno mai seguito il ritmo quinquennale auspicato in Costituzione. E neppure perché oggigiorno non è pensabile parcheggiare la macchina di fianco a una piazza senza il permesso per la ZTL.
Molto semplicemente, è difficile immaginarsi folle di italiani vestiti a festa elettorale perché da noi manca la cultura della merce politica promozionale, che è invece fattore costitutivo dell’esperienza statunitense. In Italia questa cultura è assente non (solo) perché il gene italiano è meno incline a trasformare qualsiasi fatto della vita in un’opportunità di profitto – anche se i primi manufatti elettorali sono tanto vecchi quanto la democrazia in America e circolavano già all’insediamento di George Washington nel 1789, quando ancora non si poteva parlare di capitalismo o marketing in senso moderno –, ma perché la distanza tra orientamento politico e identità personale, in Italia, è molto maggiore che negli Stati Uniti.
Swag in lingua madre, la merce elettorale negli Stati Uniti è la manifestazione più cangiante di una cultura politica dove la differenza tra “chi sono” e “chi voto” è virtualmente inesistente. Non solo Bob vota repubblicano; Bob è repubblicano, e si abbiglia di conseguenza. Dal 2015, in particolare, Bob calca in testa un cappellino rosso con la scritta “Make America Great Again” in lettere bianche.
Difficile trovare gadget politici di origine statunitense che hanno avuto un impatto culturale maggiore del cappellino da baseball rosso, emblema visivo dell’ascesa politica di Donald Trump. Almeno un milione di singole unità sono state vendute nel periodo tra il 2016 e il 2019 (prima campagna elettorale e prima presidenza) secondo Brad Parscale, l’allora manager della campagna. A questi si aggiungono altri due milioni di unità tra il 2023 e il 2024, durante la terza campagna elettorale. Nel 2015, un cappellino MAGA costava tra i 20 e i 30 dollari; oggi, il modello classico ufficiale si acquista per 40 dollari.
Parliamo quindi di un giro d’affari di centinaia di milioni di dollari derivante solo dal cappellino. Ci sono poi le bandiere, le bandane, le magliette, le felpe, gli adesivi, i cartelli da giardino, le borracce, le spille, addirittura la riproduzione dell’ordine esecutivo con cui Trump ha rinominato il Golfo del Messico.
In teoria, l’acquisto di merce politica promozionale è a tutti gli effetti un contributo economico a una campagna elettorale, ed è quindi soggetto a regolamentazione da parte della Federal Election Commission (FEC). Chi acquista deve dichiarare di essere in possesso della cittadinanza statunitense o quantomeno della residenza permanente1, per evitare che soggetti stranieri possano influenzare l’andamento di un’elezione. La campagna deve poi dichiarare alla FEC la quantità di denaro raccolto da vendita di merce promozionale. La FEC mantiene un database pubblico dove è possibile consultare sia il rendiconto di entrate e uscite di ogni campagna elettorale – nel 2023-2024, la campagna di Trump ha raccolto quasi 44 milioni di dollari da donazioni individuali, nelle quali rientra la merce promozionale – sia i contributi effettuati da singole elettrici ed elettori.

In pratica, l’arrivo di Donald Trump sulla scena politica ha messo in discussione la teoria anche per quanto riguarda il capitolo merce promozionale. La Trump Organization, infatti, ha messo in piedi un negozio online parallelo a quello gestito dalla Trump National Committee. Il problema è che la Trump Organization non è un organo politico nonprofit soggetto a regolamentazione FEC, tenuto quindi a rendicontare alla luce del sole il proprio fatturato e l’utilizzo che se ne fa. La Trump Organization è un’azienda a scopo di lucro, i cui profitti vanno a rimpinguare le casse private della famiglia Trump… sfruttando il ruolo pubblico e l’immagine politica del capostipite.
La nonprofit Citizens for Responsibility and Ethics in Washington (CREW) ha denunciato che tra l’Election Day del 6 novembre 2024 e l’Inauguration Day del 20 gennaio 2025, la Trump Organization ha messo in vendita 168 nuovi prodotti sul proprio sito, tutti di ispirazione politica (diversamente da, per esempio, un cappellino con la scritta Mar-A-Lago, che non costituisce merce elettorale) e tutta merce che arricchisce il Presidente degli Stati Uniti senza essere soggetta alla rigida regolamentazione da finanziamento politico. Scompare quindi anche il requisito di cittadinanza o residenza permanente, permettendo a soggetti non statunitensi di acquistare migliaia di dollari di merce MAGA: denaro di origine straniera che andrà ad aumentare i profitti del Presidente degli Stati Uniti.
È l’ennesimo esempio da aggiungere alla voce “senza precedenti” che elenca gli sconvolgimenti della politica statunitense introdotti nell’era Trump. “Non è normale che un Presidente tragga profitto dalla presidenza”, si legge nell’inchiesta di CREW, “ma è palesemente quello che sta facendo Trump, sia prima che, in maniera ancora più sfacciata, adesso”.
Proprio perché lo store della Trump Organization non è tenuto a soddisfare le aspettative della Costituzione e delle leggi federali riguardo al buon governo del Paese, è possibile acquistarvi anche merce che preconizza la rielezione di Donald Trump nel 2028. Come questa maglietta, che per 36 dollari invita a “riscrivere le regole” che stabiliscono un limite di due mandati alla presidenza. Curiosamente, questa merce non è disponibile sullo store della campagna elettorale, che invece è soggetto a regolamentazione FEC (benché anche un messaggio di per sé incostituzionale sia protetto dal Primo Emendamento sulla libertà di espressione).
Immaginatevi la scena: ogni quattro anni, all’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo della Presidenza degli Stati Uniti, sostenitori e sostenitrici di Donald Trump gremiscono granai per ascoltarne i comizi. Sulle loro teste, cappellini da baseball che gridano “Trump 2028”, poi 2032, poi 2036, poi 2040, di quattro in quattro, di figlio Trump in nipote Trump. Questa volta, l’immaginazione non conosce barriere.
Si crea così un interessante cortocircuito, per cui chi è in possesso di green card può contribuire denaro a sostegno dell’elezione di un/a candidato/a, senza però avere il diritto di votare per quel/la candidato/a.