Oltre le presidenziali: tutte le elezioni da tenere d’occhio per il clima
Negli Stati Uniti la transizione ecologica dipenderà anche dall’esito di competizioni più lontane dai riflettori ma altrettanto cruciali

Il futuro della politica ambientale statunitense è appeso alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, ma la scelta tra Kamala Harris e Donald Trump non sarà l’unica a determinare l’andamento della transizione ecologica nel Paese. Gli occhi sono tutti puntati sulla competizione che decreterà il futuro inquilino della Casa Bianca, ed è comprensibile vista la distanza tra le posizioni dei due candidati sulla crisi climatica. Nell’ultimo periodo Harris è passata dall’avere idee più ambiziose a un approccio più prudente e moderato, affermando che non vieterà il fracking e ammettendo in più occasioni che è importante diversificare le proprie fonti energetiche – petrolio e gas compresi – per non dipendere dal petrolio straniero. Nonostante questa virata, la candidata democratica continua a essere molto lontana dalle posizioni di Donald Trump, fervente sostenitore dell’industria delle fonti fossili e detrattore delle energie rinnovabili, eolico in prima fila. Per gli ambientalisti il ticket Harris-Walz resta l’opzione migliore, malgrado la crisi climatica sia stata relegata in secondo piano tra i temi della campagna elettorale.
Le elezioni presidenziali però non saranno l’unica competizione che darà forma alla politica climatica americana nei prossimi quattro anni; come racconta bene David Gelles sul New York Times, le contese da tenere d’occhio sono parecchie.
La prima, niente affatto scontata, è l’elezione dei componenti del Congresso. Il prossimo 5 novembre gli statunitensi eleggeranno i 435 membri della Camera dei rappresentanti e un terzo dei componenti del Senato. Il partito che controllerà il Congresso avrà un ruolo cruciale nel definire la politica climatica del Paese, anche perché il presidente non potrà fare molto per ridurre le emissioni o promuovere la transizione energetica senza un numero sufficiente di rappresentanti e senatori pronti a supportarlo.
In diversi Stati, i candidati in corsa per un posto al Congresso hanno elevato l’ambiente a tema cruciale della loro campagna. È soprattutto il caso della Pennsylvania, Stato in bilico, dove il senatore democratico Bob Casey e lo sfidante repubblicano Dave McCormick si danno battaglia sul fracking.
Come se non bastasse, a novembre molti americani voteranno anche per eleggere i governatori degli Stati in cui vivono. In ballo ci sono 11 cariche: quelle di Delaware, Indiana, Missouri, Montana, New Hampshire, North Carolina, North Dakota, Utah, Vermont, Washington e West Virginia.
L’esperienza di Tim Walz, in Minnesota, è emblematica di quanto un governatore possa incidere sulla politica ambientale del singolo Stato federato, fissandone gli obiettivi climatici e promuovendo politiche volte ad abbandonare o ridurre drasticamente l’uso delle fonti fossili. Oggi sono ben ventiquattro gli Stati che mirano a raggiungere la piena decarbonizzazione entro il 2040, il 2045 o il 2050, ai quali si aggiungono Porto Rico e il Distretto di Columbia. Alla fine, sarà anche la somma delle ambizioni e delle azioni dei singoli Stati a determinare il successo della transizione ecologica dell’intera nazione.
Il clima è un tema caldo in alcune delle competizioni in corso. In North Carolina, swing State, il candidato democratico Josh Stein vorrebbe raccogliere il testimone dal governatore uscente Roy Cooper, affermando di voler portare avanti le sue politiche in materia di promozione delle fonti rinnovabili e della mobilità elettrica. Il suo sfidante, il vicegovernatore repubblicano Mark Robinson, sostiene che il cambiamento climatico sia una bufala e mira a raddoppiare la produzione di energia da fonti fossili. Gli impegni del North Carolina per la tutela dell’ambiente dipendono da questa competizione, tra l’altro alquanto serrata.
A complicare ulteriormente il quadro sono poi le elezioni dei componenti dei parlamenti statali, che svolgono a loro volta un ruolo importante nell’adozione dei programmi di decarbonizzazione e degli obiettivi climatici. In questo caso, gli Stati da tenere d’occhio sono cinque, nei quali democratici e repubblicani si giocano il controllo delle camere: Arizona, Michigan, Minnesota, New Hampshire e Pennsylvania. Quasi tutti swing States.
Ultime, ma non per questo meno importanti, sono le elezioni dei membri degli organismi locali che regolano la produzione di energia. Tra le contese più importanti, il New York Times ricorda il rinnovo di tre dei cinque componenti della Arizona Corporation Commission, l’ente che fissa gli standard minimi che le aziende attive nella fornitura di servizi di pubblica utilità nel Grand Canyon State, energia in primis, devono seguire nello svolgimento delle loro attività. Attualmente la commissione è controllata dai repubblicani, ma il voto di novembre potrebbe ribaltare la situazione. In questi anni, l’Arizona Corporation Commission ha avuto un ruolo fondamentale nel frenare la diffusione delle rinnovabili, affossando gli standard per l’energia pulita e l’efficienza energetica. Se passasse in mano ai democratici potrebbe invece spingere l’Arizona verso una politica energetica ben più attenta alle potenzialità delle fonti rinnovabili, soprattutto per quanto riguarda l’energia solare. Una situazione analoga si registra in Montana, dove sono in ballo i seggi della Public Service Commission, l’ente che detta le regole per le utilities che operano sul territorio statale.
Il quadro è molto complesso e frammentato, ma ognuna delle sfide che si consumeranno alle urne il prossimo 5 novembre avrà un impatto importante sulla politica climatica americana. Tassello dopo tassello, tutte queste elezioni contribuiranno a rispondere alla domanda delle domande: gli Stati Uniti sapranno vincere la sfida della transizione ecologica?