Le posizioni di Harris e Trump, punto per punto – prima parte
La prima parte dell’analisi delle posizioni dei due candidati su politica estera, economia, diritti, ambiente, sanità e immigrazione
Siamo giunti all’election day e al momento nel quale bisogna tirare le somme per capire dove ci troviamo. Harris e Trump sono due candidati che più diversi non si può. Donna, figlia di immigrati, californiana, afroamericana e asiatica lei; uomo, bianco, ricco di famiglia e newyorkese lui. Differenze che poi si riflettono in posizioni politiche con poche convergenze e tantissime divergenze su politica estera, economia, diritti, ambiente, sanità e immigrazione.
Vediamo quali.
Politica estera
Harris predilige le grandi alleanze, senza pretendere un posizione egemonica. Si impegna nel difendere gli alleati e ha un approccio istituzionale alle crisi nella ricerca di un ordine internazionale che eviti i problemi per via diplomatica, pur senza aver paura del confronto diretto. Trump, invece, segue i principi dell’isolazionismo e una politica transazionale, preferendo ai grandi rendez vous dei gruppi internazionali gli accordi bilaterali, nei quali può far pesare tutta la forza degli USA per spuntare il deal migliore, ma marginalizzando il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Preferisce l’appeasement al conflitto, convinto che ogni uomo abbia il suo prezzo.
Ucraina
Da europei è forse il tema che più di tutti ci preoccupa o, quantomeno, dovrebbe esserlo. Un’eventuale débâcle ucraina significherebbe la concreta minaccia russa di una guerra verso membri dell’Unione Europea e della NATO, con le repubbliche baltiche nel mirino. La posizione di Harris difficilmente si discosterà da quella di Biden, con una politica che mette al centro la protezione degli alleati, l’impegno statunitense nel sostenere lo sforzo bellico ucraino e una forte opposizione al regime russo. Di converso, è molto probabile che Trump, forte dei suoi buoni rapporti con Putin, chiuderà i rubinetti costringendo l’Ucraina a un armistizio dal quale uscirebbe mutilata. Trump otterrebbe una pace insanguinata ma immediata, utile da sbandierare sui media. Al contempo, getterebbe le basi di una futura guerra verso gli alleati degli USA, cioè noi.
Israele
Biden ha finora tollerato le guerre di Netanyahu, limitandosi ad agire per via diplomatica e facendo talvolta la voce grossa, ma senza legargli le mani. Tutto fa pensare che Harris sarebbe più risoluta nel limitare le intemperanze del premier israeliano, soprattutto per non alienarsi l’ala sinistra del partito. Trump firmerebbe invece un assegno in bianco a Netanyahu prima di subito, dandogli via libera per spazzare via tutto e tutti in funzione anti-iraniana, senza porre alcun vincolo sotto l’aspetto umanitario.
Taiwan
Con il recente accerchiamento dell’isola da parte della marina cinese nel tentativo di creare una nuova normalità nella quale la Cina assumerebbe il controllo di chi entra e chi esce da Taiwan, la situazione nel Mar Cinese Meridionale si fa sempre più calda. Biden è sempre stato risoluto su questo fronte, ribadendo l’impegno degli Stati Uniti nella protezione dell’indipendenza dell’isola, anche intervenendo militarmente se necessario, ed è probabile che Harris rimarrebbe nello stesso solco. Sebbene Trump nutra un forte astio verso la Cina, in passato ha fatto capire in più occasioni che non sarebbe disposto a un impegno militare, ritenendo la questione di Taiwan secondaria rispetto agli interessi statunitensi.
Diritti
Salvo rari casi (come vedremo), la posizione di Harris nel campo dei diritti è piuttosto prevedibile: sì a tutto. Situazione diametralmente opposta dal lato di Trump, con alcune eccezioni. In linea di massima, Trump ha la necessità di coccolare il voto utile evangelico proprio attraverso una stretta dal lato dei diritti.
Aborto
Sul diritto all’aborto Harris è cristallina: non è affare del governo ciò che le donne fanno del loro corpo. Sebbene servano numeri forti al Congresso, e difficilmente li avrà, sostiene l’istituzione di un diritto federale all’aborto. Durante la campagna elettorale Trump ha fatto di tutto per evitare l’argomento, preferendo frasi ambigue. Tuttavia, quando parliamo di Donald Trump parliamo della stessa persona che ha eletto ben tre giudici della Corte Suprema con lo zampino di Mitch McConnell. Senza la nomina di questi giudici avremmo ancora Roe v. Wade e una copertura federale al diritto di abortire.
LGBTQ+
Su questo argomento carta bianca da parte di Kamala Harris. Trump a parole si dice moderato, ma nei fatti il GOP e i suoi esponenti nei vari stati dell’Unione hanno agito in maniera tale da comprimere quanto più possibile i diritti LGBTQ+, in particolare per le persone trans o in transizione. Ne è un esempio lampante la Florida di Ron DeSantis e il suo accanimento, soprattutto verso i giovani.
Diritti democratici
C’è una grande vulnerabilità nella democrazia americana e, come già accennato, sta nella Corte Suprema, un organo che dovrebbe essere super partes ma che in realtà è diventato il principale fautore della politica reazionaria di Trump. Biden ha proposto una riforma che migliorerebbe nettamente la situazione ma, come per l’aborto, servono numeri che difficilmente Kamala Harris riuscirà ad avere. Quanto a Trump, il rischio democratico è innegabile. Le sue esternazioni – dall’essere un dittatore il primo giorno allo schierare l’esercito contro gli americani – non lasciano spazio a dubbi. Tuttavia, se ancora ce ne fossero, basta ricordare il 6 gennaio 2021 e la sua frustrazione per non essere andato fino in fondo.
Armi
Per i repubblicani il diritto di possedere e portare armi è sacrosanto, e non viene messo in discussione nemmeno dal dilagante problema delle sparatorie nelle scuole. JD Vance, interrogato sulla questione durante il confronto con Tim Walz, ha sostenuto che piuttosto ci si dovrebbe concentrare sui sistemi di chiusura delle porte delle aule. Lato democratico, sia Harris che Walz sono utilizzatori di armi da fuoco. Non mettono in discussione il diritto in sé, ma sono a favore di una profonda rivisitazione della legislazione in merito.
Economia
In linea generale, Harris è percepita come meno competente dagli americani e non ha fornito molti dettagli sul suo piano per l’economia. Tenderà a seguire la strada tracciata da Joe Biden, probabilmente con un’attenzione maggiore all’ambito della green economy. Trump, di converso, durante il suo mandato ha dimostrato di essere mercantilista, isolazionista e orientato a favorire chi fa impresa senza tenere in gran conto la disuguaglianza sociale.
Inflazione
L’Inflation Reduction Act di Biden è stato un successo e ha dato benzina all’economia americana. Harris non si è sbottonata molto ma difficilmente se ne discosterà, assecondando la FED nei futuri tagli dei tassi, sempre tenendo sotto sorveglianza l’inflazione. Quanto a Trump, sedici premi Nobel hanno firmato una dichiarazione nella quale sostengono che il piano economico di Trump non solo non contrasterebbe l’inflazione, ma la farebbe esplodere. Stessa sorte per il debito pubblico.
Occupazione
Se Trump aveva fatto bene sotto questo aspetto, Biden ha fatto meglio: dal 1980 in poi non ci sono mai stati così tanti occupati e così pochi disoccupati come ora. Il già citato IRA ha vincolato l’erogazione di sussidi e sconti fiscali a quelle aziende che producono o portano la produzione negli USA, con uno stretto controllo anche della filiera (un provvedimento protezionistico che, oltretutto, sta creando non pochi grattacapi in Europa). Quanto a Harris, basti dire che l’IRA è passato grazie al suo voto, che ha spezzato la parità in Senato. Questo è uno dei pochi punti su cui Donald Trump a parole dice una cosa e poi ne farà quasi certamente un’altra: l’IRA funziona, crea lavoro ed è perfettamente in sintonia con l’atteggiamento protezionistico di Trump in economia. Difficile che se ne disfi.
Mercati
Nessuno ha la palla di cristallo, soprattutto in finanza. Ciò non toglie che Trump piaccia ai mercati, ed è presumibile che apprezzerebbero una sua vittoria. Harris, tuttavia, rappresenta un rischio enormemente minore sul lato delle relazioni internazionali: un’America che abdica al suo ruolo di prima potenza del mondo (vedasi il primo punto di questo articolo) non può che essere destinata alla decadenza, anche dal punto di vista economico.
Protezionismo
È il marchio di fabbrica di Trump: tuttavia, Biden non ha disdegnato di farne uso, e probabilmente farà altrettanto Harris. L’obiettivo è per entrambi la Cina, responsabile di una massiccia operazione di dumping di Stato, ma è probabile che ne faremo le spese anche noi europei. A ogni modo, qui c'è una convergenza: la Cina è il nemico esistenziale degli Usa per entrambi i candidati. Trump si fa vanto dei dazi che imporrebbe verso chiunque, alleati o meno. Si tratta però di un’arma a doppio taglio: gli USA sono grandissimi importatori e degli ulteriori dazi alle merci in ingresso non farebbero altro che riaccendere nuovamente la spirale inflazionistica.
La lista continua nella seconda parte.