La grande sostituzione: per una giustizia saldamente conservatrice
Come Mitch McConnell ha cambiato il volto del sistema giudiziario federale
Il sistema giudiziario è tradizionalmente fonte d’orgoglio per gli americani, fieri di avere tribunali indipendenti che non solo applicano la legge, ma esercitano anche l’importantissimo esame di costituzionalità delle leggi stesse, oltre che degli ordini esecutivi. Le corti federali, poi, si trovano spesso di fronte a casi che riguardano diritti civili su cui successivamente spesso la Corte Suprema si esprime sancendo dei precedenti di enorme importanza che hanno avuto effetti rilevantissimi sulla società e sulla politica: la desegregazione delle scuole, l’aborto, il matrimonio omosessuale sono solo alcuni dei temi su cui la Corte si è espressa a favore della protezione di diritti su basi costituzionali. Poiché però l’alta Corte esamina solo un’ottantina di casi all’anno, sono le decine di corti federali di livello inferiore a fungere di fatto da ultimo arbitro, e in particolare le tredici corti d’appello. Dall’altra parte, però, l’interpretazione della Costituzione non è univoca, specialmente trattandosi di un documento piuttosto breve scritto svariati secoli fa per un neonato Paese di neanche quattro milioni di abitanti. Un altro fattore, ben noto e molto distante dalla nostra cultura istituzionale, è il processo di selezione dei giudici stessi: se a livello locale questi sono spesso eletti dai cittadini, a livello federale sono nominati dal Presidente e approvati dal Senato, un meccanismo che sconfessa la natura imparziale che si vuole dalla giustizia. Ecco che in anni di crescente polarizzazione, e in presenza di dottrine legali ideologicamente opposte, diventa sempre più strategico controllare le nomine giudiziarie, considerato che i giudici federali detengono la loro carica a vita: la Presidenza si vince per quattro anni alla volta, cambiare un giudice significa imprimere una direzione ideologica dall’una o dall’altra parte per una generazione.
Fatta questa considerazione emerge decisamente l’importanza di una figura come Mitch McConnell, Senatore Repubblicano del Kentucky e leader di maggioranza al Senato dal 2015 al 2021, periodo nel quale si è mosso strategicamente per cambiare in maniera strutturale la faccia del sistema giudiziario federale. Capendo ben presto l’importanza delle corti nel plasmare in modo quasi definitivo la società, con decisioni che spesso chiudono in maniera definitiva un capitolo fonte di annose divisioni politiche, McConnell ha atteso con pazienza di arrivare a posizioni di potere per poi plasmare con determinazione la nuova generazione di giudici federali. Per cominciare, una volta diventato leader di maggioranza ha proceduto a bloccare decine di nomine durante la Presidenza Obama fino allo smacco definitivo: il rifiuto di considerare Merrick Garland, l’attuale Procuratore Generale (Ministro della Giustizia), come candidato alla Corte Suprema dopo la morte dell’icona conservatrice Antonin Scalia nel 2016 sostenendo, in barba ad ogni precedente, che l’onore spettasse al vincitore delle elezioni di quell’anno – ragionamento prontamente abbandonato all’indomani della morte di Ruth Bader Ginsburg a poche settimane delle elezioni del 2020. In complesso, durante i soli 4 anni di amministrazione Trump, sono stati nominati tre giudici della Corte Suprema e oltre 250 sparsi tra corti d’appello, corti distrettuali e altri tribunali a competenza specifica, come le corti militari, la corte sul commercio internazionale e la corte fiscale. Attraverso la sua abilità nel navigare il processo di conferma e nel mantenere la disciplina del partito, McConnell ha fatto sì che le nomine giudiziarie diventassero una priorità per l'amministrazione Trump e per il Partito Repubblicano nel loro insieme.
Un aiuto cruciale è venuto dalla Federalist Society, un club-forum per giuristi conservatori fondato nel 1982 da studenti di legge a Yale, University of Chicago e Harvard come organizzazione studentesca in risposta a ciò che percepivano come un’egemonia liberal all’interno delle loro facoltà e nei tribunali in generale, e rapidamente cresciuta fino a diventare l’organizzazione di riferimento per la dottrina legale di destra. Dichiarando la propria fedeltà ai principi della libertà, del governo minimo, della separazione dei poteri, della preminenza degli Stati sulla federazione, la Federalist Society promuove la nomina di giudici e l’elezione di procuratori che seguano la dottrina del cosiddetto ‘originalismo costituzionale’, che appoggia un’interpretazione minima della Costituzione, dogmaticamente fedele alla ‘volontà’ dei padri fondatori e che rifiuta quindi la dottrina della living Constitution che era ampiamente accettata pochi decenni fa e che permise la protezione di più e più diritti, la secolarizzazione della vita pubblica e l’espansione e maggiore libertà d’azione del governo federale con il suo apparato burocratico. La Federalist Society, e in particolare il suo co-Direttore Leonard Leo, ha aiutato attivamente l’amministrazione Trump (e McConnell) fornendo nomi di candidati fidati e facendo loro campagna attraverso i suoi gruppi affiliati.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la Corte Suprema sta consegnando ai conservatori vittoria dopo vittoria, tanto nel campo dei diritti sociali quanto in quello del potere federale, mentre più in generale i giudici nominati durante l’amministrazione Trump si dimostrano molto più a destra dei colleghi nominati da precedenti amministrazioni Repubblicane. Come noto, con la sentenza in Dobbs v. Jackson nel 2022 la nuova Corte Suprema ha rimandato agli Stati la facoltà di decidere se legalizzare l’aborto, ribaltando la celebre Roe v. Wade che nel 1973 garantì questo come un diritto protetto a livello costituzionale, mentre sembra probabile che quest’anno verrà rovesciata anche Chevron v. Natural Resources Defense Council, sentenza del 1984 che riconosce l’autorità delle agenzie federali nell’interpretare ‘ragionevolmente’ leggi ambigue in virtù della loro competenza. Negli anni, la dottrina è stata attaccata dai conservatori con il fine di smantellare buona parte dell’autorità degli enti di regolamentazione, dando molto più potere decisionale alle corti, tanto più che ora si sono spostate a destra. Il suo depennamento significherebbe in buona parte la fine dell’administrative state come lo conosciamo. A livello inferiore, giudici delle corti distrettuali si sono espressi contro la contraccezione, il matrimonio omosessuale, la regolamentazione delle armi, e hanno imposto una linea dura nella gestione dei flussi migratori. Secondo lo schema della Federalist Society, a loro spetterebbe il compito di fornire alla Corte Suprema i ‘casi giusti’ per ribaltare questo o quel precedente scomodo, e il loro ruolo non va sottovalutato.
Dal canto suo, l’amministrazione Biden ha cercato di contrastare l’ondata con un’impressionante quantità di nomine, anche se la Corte Suprema sembra sarà bloccata nell’attuale struttura ideologica per molti anni a venire. Anche lei, nonostante la sua formale intoccabilità e il suo distacco dalla sfera della politica, non può non considerare che la sua legittimazione popolare si sta erodendo. Infatti, il prestigio della Corte è un elemento chiave nella sua capacità di funzionare efficacemente, e nel momento in cui questa perde il suo ruolo di arbitro indipendente e affidabile abbracciando lo scontro politico, diventando terreno di dubbi invece che di certezze, servendo gli interessi particolari dei finanziatori dietro la Federalist Society, è lei stessa a farne le spese: una Corte delegittimata sarebbe facile preda di attacchi da parte del Congresso e della Presidenza che ne potrebbero comprimere il potere, di fronte ai quali non avrebbe mezzi per far rispettare le sue sentenze. Come ogni elemento del delicato sistema di governo americano, anche il potere giudiziario si regge su piedi d’argilla, e ogni suo utilizzo per fini puramente di parte può affondare l’interezza della struttura.