La Convention Repubblicana, giorno 2
L’unità come lealtà al leader, i Democratici come male assoluto, un cane che predice il futuro e una incalcolabile dose di noia
«Ai Democratici interessano più i voti degli immigrati illegali che la protezione dei nostri bambini». Sono le parole di Ted Cruz, durante il suo discorso nella seconda serata della Convention del Partito Repubblicano al Fiserv Forum di Milwaukee. Subito dopo l’attentato a Trump, l’ex-Presidente stesso aveva parlato di come servisse abbassare i toni, e di come lui stesso avesse modificato il suo discorso in senso più conciliante. Non è quello che si è visto in questa serata: attacchi pesanti contro Biden, definito dal Governatore della Florida Ron DeSantis «un Presidente in stile Weekend col morto», film culto in cui due ragazzi cercano di convincere un gruppo di persone che il loro amico Bernie è ancora vivo, «un Presidente che ha accolto l’invasione del terzo mondo», invece, per il Senatore per lo Stato dell’Arkansas, Tom Cotton. Nessuna proiezione di ottimismo verso il futuro dell’America, ma ore di rappresentazione di un Paese distrutto e sull’orlo del baratro, come ci si aspettava prima dell’attentato.
Se non è stata la serata della distensione verso il campo opposto, è però stata la serata dell’unità interna. Nel 2016 Ted Cruz si rifiutò di sostenere Trump dal palco della convention, chiudendo il suo discorso con un «votate secondo coscienza» che fece infuriare la base trumpiana presente a Cleveland, dove la riunione si teneva. Era un Partito Repubblicano diverso, che veniva da otto anni lontano dalla Casa Bianca e riteneva la nomination di Trump, del tutto inaspettata, un disastro per le chance di vittoria. Oggi la convention, in un momento molto favorevole per i Repubblicani, che si sentono vicini a tornare al potere, è molto più vicina a una manifestazione di lealtà al leader, che sta assumendo contorni sempre più martirizzati, che a un confronto sulle politiche per novembre.
La peculiarità dei rinnovati Repubblicani trumpiani, sempre più lontani da ciò che il Partito Repubblicano rappresentava fino al 2016, è aver reciso il legame con molti dei Repubblicani storici. A questa convention non partecipano l’ex-Presidente George W. Bush, l’ex-vicepresidente Dan Quayle, il Senatore dello Utah Mitt Romney: come ha detto Newt Gingrich, «non hanno interesse a far finta di supportare un uomo che disprezzano». La seconda sera non è stata quindi chiusa da uno di loro, ma da Lara Trump, Presidente del Partito Repubblicano, moglie del figlio di Donald, Eric, molto considerata come figura di spessore politico dal suocero. Lara ha sostituito Ivanka, la prima figlia, che era stata sul palco della convention nel 2016 e nel 2020, e anche la first lady Melania, che ancora non si è vista a Milwaukee. A lei il compito di distendere: «Make America Great Again vale per tutti», è uno dei primi momenti in cui la campagna Trump non si rivolge ai suoi supporter, ma allarga il suo messaggio a tutti i cittadini.
Il discorso che si aspettava di più nella serata era quello di Nikki Haley, l’ultima candidata a mollare la corsa alla presidenza, e che fino a settimana scorsa non aveva detto che avrebbe votato Trump; l’attentato ha rovesciato le priorità di Haley, che ha deciso domenica di presentarsi alla convention e tenere un discorso. Haley ha dichiarato fin da subito che il suo sostegno è per Donald Trump e che le persone che hanno votato per lei – che fino a settimana scorsa definiva «voti che Trump deve venirsi a prendere» – devono sostenere il candidato Presidente dei Repubblicani. Ha cercato poi di parlare di politica estera, tema su cui ha ruotato la sua campagna, rimarcando che Trump non ha avuto bisogno di fare guerre, perché la sua posizione metteva timore alle altre potenze: una vera e propria sconfessione della sua campagna alle primarie, basata proprio sul rigetto dell’isolazionismo trumpiano, reo di andare contro gli interessi statunitensi nel mondo, e primariamente colpevole di abbandonare l’Ucraina al suo destino. Un ticket presidenziale tra Donald Trump e J.D. Vance con ogni probabilità avrà una posizione fortemente isolazionista, ma Haley ha deciso di sostenere lo stesso apertamente i candidati; la sua presenza non è stata molto gradita dai delegati della convention, che l’hanno fischiata.
Molto meglio di lei è andato l’altro sfidante di Trump alle primarie: il Governatore della Florida Ron DeSantis. C’è da dire che se la candidatura di Haley si basava su evidenti differenze di piattaforma, quella di DeSantis non ha mai dato l’impressione di essere diversa da Trump, tanto che quando Trump era alla Casa Bianca si parlava apertamente di DeSantis come possibile successore. Sul palco DeSantis non si è riferito – come Haley – a un blocco di elettori delusi dal trumpismo, ma ha dato energia alla base e il pubblico lo ha molto apprezzato.
Da segnalare il Governatore del West Virginia, Jim Justice, che si è presentato sul palco con il suo bulldog, Babydog, che ha predetto il futuro al pubblico della convention: interrogato dal Governatore, il cane ha vaticinato la vittoria Repubblicana sia alla Casa Bianca che nelle due Camere. Il motivo? «Perché ce lo meritiamo», ha tradotto il Governatore.
La seconda serata di Convention è andata. Con Jefferson seguiremo anche le prossime due, raccontandovi i momenti salienti e interessanti. Tireremo poi le conclusioni in una puntata esclusiva di Magic Minute questo sabato.