Super Tuesday: il rematch Biden-Trump è servito
Se a livello presidenziale, con l'uscita di scena di Haley, diventa ufficiale lo scontro, tante sono state le elezioni a livello locale che meritano un approfondimento.
“L’America sta diventando un Paese del Terzo Mondo”. Senza nominare mai la sua sfidante Nikki Haley, Trump è salito sul palco del suo comitato, adibito per l’occasione a Mar-a-Lago, la sua residenza in Florida, per festeggiare e ricordare che il suo compito è riportare l’America alla grandezza. In molti gli avevano chiesto di seppellire l’ascia di guerra e non esacerbare lo scontro con i votanti di Haley, e la narrazione si è quindi focalizzata del tutto sullo scontro con il Presidente in carica, specificamente con toni sempre più cupi sul fenomeno migratorio. Nella notte poi, sono iniziate ad arrivare le prime indiscrezioni pubblicate dall Wall Street Journal, che evidenziano come Haley abbia deciso di sospendere la sua campagna elettorale, annunciandolo da Charleston, in South Carolina.
Com’è andato questo Super Tuesday? Ben quindici stati hanno espresso il loro verdetto nelle urne. La risposta facile è “più o meno come ci si aspettava”, ma questo non esula da alcune riflessioni. Nelle fila repubblicane Trump ha vinto tutti gli Stati meno uno, il Vermont, e lo ha fatto con notevoli distacchi. I primi delegati Haley li ha ottenuti solo in piena notte e il conto finale della serata è stato di 722 a 46. Non bastano però questi dati – francamente impressionanti – a far stare tranquillo Trump: ieri notte Haley non ha preparato un punto stampa in cui seguire i risultati e non ha parlato, mentre Olivia Perez-Cubas, sua portavoce, ha rimarcato come ancora una gran parte del Partito Repubblicano non vota Trump. Kyle Griffin, analista di MSNBC, ha scritto su X che oggi il 35% dei votanti alle primarie in Stati chiave come Virginia e North Carolina non sono sicuri che sceglieranno la proposta politica del tycoon. Come analizzato dal Washington Post, Haley non vince, non ha dei solidi bastioni da cui partire, ma ha ottenuto – anche se tutti sanno che non ha alcuna speranza – percentuali che, Stato per Stato, variano dal 16 al 30% dell’elettorato; per questo ha continuato a proseguire fino a questo punto della corsa, a raccontare di rappresentare un’America che si discosta dal rematch tanto annunciato; sarà comunque ricordata come l’ultima persona ad arrendersi all’inevitabilità del trumpismo di ritorno. Chi continua a non votare Trump sono gli indipendenti e molti residenti nelle grandi città ad alta scolarizzazione; dove c’è un’alta presenza di persone istruite, Trump soccombe, e così si spiega la sconfitta, seppur di misura, in uno Stato ricco, tendenzialmente indipendente e ad alta istruzione come il Vermont. L’obiettivo del prossimo mese dell’ex presidente, se vuole evitare altri spiacevoli intoppi, è quello di ottenere un pieno sostegno di Haley, che ancora non è stato concesso in caso di sconfitta, così da provare ad arginare quelle che potrebbero essere le perdite di votanti sia verso sinistra sia verso un possibile candidato centrista, sponsorizzato dalla misteriosa associazione No Labels, di cui tanto si continua a parlare.
Il Presidente Biden ha dovuto affrontare un nuovo attacco dal movimento spontaneo deciso a votare “Uncommitted”, ovvero “Astenuto”, che non lo sostiene momentaneamente per evidenziare le preoccupazioni per il ruolo statunitense nel proseguimento della guerra tra Israele e Hamas, a dire dei contestatori troppo vicino al governo di Tel Aviv. Dopo ciò che era accaduto in Michigan settimana scorsa lo Stato a cui guardare con attenzione era il Minnesota, perché lì è presente una comunità molto rumorosa di somali-americani; il risultato è stato buono, quasi 45.000 voti ottenuti senza i soldi e l’organizzazione che il movimento aveva avuto in Michigan. Anche Biden, quindi, ha il problema dei giovani ad alta scolarizzazione, di tendenze più filo-palestinesi e che stanno dando non pochi grattacapi all’Amministrazione, ma i numeri totali della serata rimangono positivi. Anche Biden – come Trump – ha perso una contesa, quella delle Samoa Americane: qui il presidente ha affrontato un candidato sconosciuto, Jason Palmer, che mai era stato sull’isola, ma che ha cercato di ascoltare le richieste dei locali attraverso alcune chiamate Zoom. Il risultato totale di un’elezione con 90 partecipanti è una vittoria per lo sfidante; i delegati risultano tre a testa, e quindi l’inquilino della Casa Bianca non avrà nemmeno il piccolo problema mediatico di una delegazione, seppur piccola, che non lo avrebbe sostenuto alla Convention. Va ricordato che gli abitanti delle Samoa Americane, diventati famosi per il grande pubblico grazie al recente film di Taika Waititi “Chi segna vince”, non sono cittadini statunitensi e quindi non potranno votare a novembre.
Il Super Tuesday, però, non è fatto solo della corsa presidenziale. Un’altra sfida importante è quella per il Governatore della North Carolina, uno degli Stati più in bilico nel 2020, in cui Trump aveva alla fine prevalso. Il democratico Roy Cooper ha raggiunto il limite di due mandati consecutivi e a sfidarsi a novembre saranno l’Attorney General Josh Stein per il Partito Democratico e il Lieutenant Governor Mark Robinson per il Partito Repubblicano. Questo finale è ciò che speravano i democratici: Robinson è infatti un estremista, che ha detto frasi molto pesanti su ebrei, facendo proprie le tesi della cospirazione giudaica e citando persino Adolf Hitler, e omosessuali, definiti spregiativamente “feccia”. Trump lo ha definito “Martin Luther King 2.0”. Il Partito Repubblicano ha molta paura di questa sfida; i ricordi sono alle elezioni del 2022, quando ci si aspettava una netta affermazione del Partito che fu di Lincoln e Reagan, che venne però punito dagli elettori per candidati francamente impresentabili, come Herschel Walker e Doug Mastriano. Perdere questa elezione in un anno presidenziale vuol dire che esiste la possibilità che le persone, in astio a Robinson, votino anche Biden, spostando abbastanza voti da far perdere a Trump uno Stato in cui parte in vantaggio. Nel suo discorso di vittoria, il candidato democratico Stein ha subito definito le tesi del suo avversario “disturbanti”.
Altra grande sfida che si attendeva era quella per il seggio della defunta senatrice Feinstein in California. Nello Stato vige il sistema della Jungle Primary, e quindi tutti i candidati sono presenti sulla stessa scheda, con i primi due più votati che proseguono la corsa, quale che sia il loro partito. A sorpresa la sfida non sarà interna ai democratici: ad arrivare rispettivamente primo e secondo sono stati Adam Schiff, democratico già supportato da Nancy Pelosi e principale promotore dell’inchiesta del primo Impeachment a Donald Trump nel 2019 e Steve Garvey, repubblicano ed ex-giocatore di baseball. Le due democratiche rimaste escluse, Barbara Lee e Katie Porter, hanno attaccato pesantemente il loro avversario interno, reo a loro dire di aver utilizzato le sue notevoli possibilità economiche rispetto agli altri candidati per fare pubblicità gratuita al candidato repubblicano. Garvey, infatti, aveva condotto una campagna piuttosto anonima ma Schiff ha tappezzato lo Stato di sue immagini che lo definivano “estremista” e “conservatore”; questo fa capire come il deputato temesse molto di più la sfida che, in uno Stato molto liberal, poteva arrivargli da sinistra, piuttosto che quella blanda che avrà da destra. Secondo i sondaggi Schiff ha circa 15 punti di vantaggio sul rivale.
Un seggio che potrà essere utile per le speranze dem di riconquistare la Camera si è materializzato in Alabama; a seguito del processo di ridisegno delle mappe (redistricting ndr) il secondo distretto, prima fortemente repubblicano, è diventato di maggioranza democratica. Barry Moore, rappresentante repubblicano del secondo distretto e membro del Freedom Caucus – la corrente più di destra dei repubblicani al Congresso – ha preferito non ricandidarsi lì e affrontare invece una primaria fratricida col Repubblicano Jerry Carl, rappresentante del Primo distretto, dove ha più speranze; Moore ha vinto e quindi Carl non sarà più deputato a partire dalla prossima legislatura.
In Texas la prima cosa da segnalare era comprendere chi sarebbe stato lo sfidante di Ted Cruz al Senato; nella primaria democratica che nel 2018 fece brillare per qualche mese la stella di Beto O’Rourke si è imposto il deputato Colin Allred, deputato ed ex-linebacker di football americano. Si posiziona nell’ala moderata del Partito, tanto che, insieme ad altri tredici democratici alla Camera, ha apposto la firma a una risoluzione repubblicana concernente i problemi ai confini esterni. Le cose più interessanti in Texas sono avvenute però nelle primarie repubblicane per i deputati della camera statale; qui si sono consumate due vendette contrapposte. La prima è quella del Governatore dello Stato, Greg Abbott, che sta cercando di far perdere tutti coloro che hanno votato contro un suo progetto di legge che prevedeva l’estensione di fondi statali a molte scuole private; la seconda è quella del Procuratore Generale statale Ken Paxton, che da quella stessa Camera ha subito un impeachment. Odiato da entrambi è lo Speaker repubblicano a Austin, Dade Phelan, che dovrà affrontare un difficile ballottaggio a maggio contro David Covey, uno sconosciuto che non ha mai ricoperto una carica elettiva, ma sostenuto fortemente da Paxton. Per Phelan la situazione è molto complessa, e a peggiorare la situazione il dato storico che evidenzia come nessuno speaker perde una rielezione dal 1972. Gli attacchi di Abbott, andati numericamente più a segno, e in parte anche quelli di Paxton, che ha sparato più nel mucchio ma ha portato a casa alcuni scalpi, dimostrano che, soprattutto nella politica statale, essere il deputato in carica non ha la stessa sicurezza rispetto ai deputati federali. Il prossimo Congresso sarà quindi molto più vicino al Governatore Abbott.
Il Super Tuesday è molto di più delle primarie presidenziali, è la notte in cui tantissimi candidati, ad ogni livello, pongono le basi per le loro speranze a novembre; per questo, anche in una notte povera di emozioni dal punto di vista presidenziale, tante sono state le sfide da analizzare.