La convention democratica, giorno 3
L’arringa di un allenatore di football, Oprah travestita per non rovinare la sorpresa e delle tempistiche ancora non abbastanza buone
«È il quarto quarto, mancano tre minuti alla fine della partita e siamo tre punti sotto. Ma abbiamo noi la palla, siamo noi in attacco!». Sono le parole che probabilmente definiscono in maniera migliore il discorso di Tim Walz, che stanotte ha accettato la candidatura a vicepresidente degli Stati Uniti con un discorso che ha avuto vari momenti più vicini al pep talk (il discorso che gli allenatori fanno durante i time-out ai propri giocatori) che non ai tradizionali momenti da convention. Walz, governatore del Minnesota, fino al mese scorso poco conosciuto dal grande pubblico, è stato introdotto dalla senatrice del suo Stato Amy Klobuchar, già candidata alle primarie democratiche per la presidenza nel 2020, e da un suo ex allievo che ha portato sul palco l’intera squadra di football della scuola superiore di Mankato, paese da cui proviene il candidato, che aveva allenato.
È difficile raccontare un discorso che, come in tutta questa convention, aveva pochissimi passaggi riguardanti politiche effettive e invece una grossa volontà di costruire un messaggio ottimistico per il Paese. Walz deve infatti confrontarsi – e lo farà anche con un dibattito il primo ottobre – con il vicepresidente della campagna Trump, JD Vance, anch’egli uomo del Midwest. Questa sfida, che si potrebbe definire in modo semplicistico come un derby della Middle America, rappresenta invece due visioni diverse di cosa sia questa fascia di territorio degli Stati Uniti. Walz, originario di una famiglia contadina del Nebraska poi trasferitosi a Mankato, in Minnesota, fa parte del mondo agrario; Vance, nato in una famiglia povera dell’Ohio, proviene invece dalla fascia post-industriale, che più ha sofferto la mancanza di posti di lavoro e dove è nato il concetto di America dimenticata. Se Vance nei suoi discorsi utilizza campi semantici affini al risentimento e alla rabbia, Walz si rifà invece alla gioia e alla volontà di trovare il piacere nelle piccole cose, nell’aiutare i vicini a spalare la neve, nel guardare il football scolastico il venerdì sera; attività che anche dall’esterno associamo agli Stati Uniti più rurali. Walz, nel suo porsi come avversario di Vance, rimarca che da governatore del Minnesota non ha lasciato indietro nessuno, garantendo pasti gratis a tutti i bambini che ne avessero bisogno.
Due passaggi del discorso di Walz sono temi chiave di tutta la convention, che si sono ritrovati in vari interventi in questi tre giorni. Il primo è l’appropriazione del concetto di libertà, a partire dalla canzone usata dalla campagna, Freedom di Beyoncé e Kendrick Lamar. Siamo abituati a pensare al Partito Repubblicano come a quello della libertà, in una visione ancora vicina all’uso che Reagan faceva della parola in contrasto all’Unione Sovietica, ma i democratici in questi giorni hanno rimarcato che oggi i repubblicani non lasciano le persone libere: vietare libri e distruggere i diritti riproduttivi sono atteggiamenti lontani da quella che dovrebbe essere la libertà americana, ha detto Walz, che ha chiuso il suo discorso con la canzone Keep on Rockin’ in the Free World di Neil Young. L’altro tema è la contrapposizione tra Kamala Harris, che combatte per «voi», contro Donald Trump, che combatte per «sé». Trump viene dipinto come un uomo ricco che vuole migliorare la vita ai suoi amici ricchi, fingendo di voler combattere per una classe operaia che non conosce. La figura pubblica di Walz, ex membro della Guardia Nazionale, coach di football e insegnante, è costruita poi in contrasto al tipo di mascolinità che veniva propagandata nella convention repubblicana: quella di Hulk Hogan e di Dana White, degli uomini «che combattono», dei veri e propri fighter.
Uno dei pregi del discorso di Walz è che è durato poco. Per la terza sera di fila bisogna parlare delle tempistiche di questa convention: a partire dal discorso di Bill Clinton, che ha raddoppiato il tempo concessogli, la convention ha rischiato di finire nuovamente a orari proibitivi. Non è successo solamente perché il candidato vicepresidente l’ha fatta breve. Come avevamo scritto durante la prima sera, più ci avviciniamo ai momenti finali della convention più è importante che le persone apicali della campagna parlino a orari accessibili televisivamente: i repubblicani a Milwaukee avevano fatto una grossa selezione dei discorsi, chiudendo tutte le serate in tempo tranne l’ultima, quando Trump ha parlato lungamente a braccio. I democratici sembrano voler prediligere invece un’atmosfera più festosa, in cui tutti hanno il loro spazio per parlare, ma che può essere controproducente dal punto di vista del coinvolgimento delle persone a casa. Domani Harris parlerà a lungo – solitamente un discorso di accettazione della candidatura, che dovrebbe anche fare dei passaggi di policy, non dura meno di 45 minuti – e iniziarlo alle 23:20, l’orario in cui stasera è salito sul palco Walz, non è auspicabile.
Uno dei motivi per cui le tempistiche sono naufragate è un intervento fiume e in gran parte off-script di Bill Clinton, alla sua dodicesima convention. Alle convention l’ex presidente ha avuto momenti importanti, in cui ha riscritto la storia del partito, e momenti imbarazzanti. Questo è parso più vicino al Clinton del 1988, che doveva introdurre il candidato presidente Dukakis e ha sforato per minuti nel disinteresse generale, tanto che il più grande applauso lo hanno ottenuto le parole «in conclusion», che a quello del 2012, quando il suo stile oratorio semplice e vicino alle persone aveva aiutato un Obama in difficoltà nel raccontare i risultati del suo primo mandato. Oggi Clinton ha parlato molto, senza coinvolgere troppo la folla: probabilmente è stata la sua ultima convention e nessuno lo ha fermato, ma non è stato un momento riuscito. Qualche battuta è stata più efficace, come quando ha detto che, nonostante sia stato definito l’«explainer in-chief», cioè l’uomo che riesce a spiegare tutto, ancora non ha capito perché Trump citi costantemente nei suoi discorsi «il grande Hannibal Lecter», il personaggio cannibale dei romanzi di Thomas Harris. In generale, un pubblico poco ricettivo e la ripetizione di concetti resi più efficaci da altri oratori in maniera più breve inseriscono questo discorso tra quelli meno riusciti di Clinton alle convention.
Un momento inaspettato – e rivelato dalla CNN a pochi minuti dall’inizio della convention – è stata la partecipazione della star televisiva Oprah Winfrey. Spiegare in poche parole chi è Oprah e cosa rappresenta, soprattutto per le donne di colore più anziane, non è semplice: basti dire che la sua decisione di dare un endorsement pubblico a Obama nelle primarie contro Hillary Clinton ha una pagina Wikipedia a sé stante. Nel 2016 Hillary Clinton provò a convincere Oprah, che è registrata come indipendente, a darle un endorsement contro Trump, ma non avvenne. Oggi la star televisiva ha parlato per la prima volta a una convention democratica: non è importante quello che ha detto, ma il fatto che fosse presente.
Per chiudere, come sempre qualche passaggio meno serio. Pare che Oprah abbia provato il suo discorso in gran segreto per non rovinare la sorpresa: si è vestita con un cappello largo, occhiali da sole e una maschera. Finito il discorso avrebbe incrociato l’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi, che l’avrebbe salutata senza riconoscerla. Altro momento leggero l’intervento di Mindy Kaling, l’attrice famosa per aver recitato in sit-com di grande successo come The Office. Kaling, di origine indiana, nel 2019 aveva girato un video in cui cucinava insieme a Harris, parlando dell’India e di quando si vanno a trovare i parenti lontani.
Infine, domani sarà la grande serata di Kamala Harris. Vari giornali si chiedono se sarà anche la serata in cui apparirà con una performance live Beyoncé: sembra che di lei non ci sia traccia nell’albergo dove solitamente ha base quando si trova a Chicago, ma la sorpresa Winfrey, riuscita fino all’ultimo minuto, fa pensare che sia possibile che una delle più grandi pop star mondiali introduca con la sua canzone Harris domani sera.