La convention democratica, giorno 1
Un soffitto di cristallo che si sta rompendo, la fine romantica di un politico di professione, tempistiche dei lavori da sequestro di persona.
(Autore: The White House - link: https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2021/01/20/inaugural-address-by-president-joseph-r-biden-jr/)
“America, I gave my best to you”. Con le parole tratte dalla canzone American Anthem di Gene Scheer Joe Biden ha chiuso la prima serata di Convention, portando a termine un discorso abbastanza diverso da quello che ci si aspettava. Per giorni il team Biden aveva fatto filtrare l’idea che, nel tempo a sua disposizione, avrebbe costruito un ponte tra la presidenza e la candidatura di Kamala Harris, in modo da delineare una prosecuzione chiara del mandato Democratico alla Casa Bianca. Tutto questo è avvenuto solo in parte: nei 45 minuti a lui concessi Biden ha voluto rimarcare i suoi successi in quattro anni di presidenza, dall’essere stato il primo Presidente a partecipare a un picchetto sindacale, all’aver contribuito alla ricostruzione della classe media, all’aver salvato la democrazia dal golpe del 6 gennaio. Il discorso non era quindi incentrato sulla figura di Kamala Harris e il suo rapporto con Biden, ma è stato un vero e proprio testamento del Presidente che ha una volta per tutte chiarito che la piattaforma Democratica con la quale Harris si candida è quella che lui ha costruito nel 2020. Oltre ai punti programmatici, per i quali vorrebbe essere ricordato, ha spiccato la sfida di Biden ai suoi detrattori degli ultimi mesi: ha criticato la stampa, con cui non ha mai avuto un grande rapporto, e ha parlato a voce molto alta, in un’ultima prova di forza verso chi ha voluto che si ritirasse. Oltre a questo è stato però anche un discorso romantico, quello di un uomo che sta abbandonando la carriera politica più di cinquant’anni dopo esservi entrato, che è arrivato al Senato «troppo giovane per diventare Presidente e che ora se ne va troppo vecchio per continuare», e il pubblico della Convention non ha esitato a farsi sentire per ringraziarlo. Biden ha lasciato Chicago alla fine del comizio e andrà una settimana in vacanza a Santa Barbara, in California, non seguendo più dal vivo quindi i lavori della Convention.
Un discorso di Biden non troppo dissimile da quelli della campagna elettorale, se non per gli ultimi minuti, in cui ha definito Harris «la miglior scelta fatta nella mia carriera». Un discorso che però paga una pessima gestione del tempo da parte del Partito Democratico. La paura principale dell’organizzazione era la gestione dell’ordine pubblico, per via delle proteste a favore della Palestina annunciate da giorni, che si sarebbero dovute svolgere a pochi passi dallo United Center, il palazzetto di Chicago in cui ha luogo la Convention. Nonostante la grossa esposizione mediatica la protesta non ha raccolto grandi numeri, tali da fare notizia, e l’unico aggiornamento arrivato durante la serata è stato l’arresto di una decina di manifestanti: avevano provato a forzare il cordone che li teneva a distanza di sicurezza dal palazzetto.
Se da questo punto di vista tutto è andato liscio, per quanto riguarda il tempo e l’esposizione televisiva c’è molto da migliorare. Se un tempo le Convention erano programmazione molto ambita dai network televisivi, in quanto si svolgevano in estate in un periodo in cui tutto era sostanzialmente fermo, garantendo così novità nel palinsesto, oggi hanno perso il loro interesse: i canali generalisti si collegano a partire dalla prima serata, all’incirca verso le 21, anche se i lavori iniziano quasi sempre tra le 18 e le 18.30, e mantengono la trasmissione fino alle 23, quando mandano in onda i telegiornali locali. Le tempistiche della prima serata sono state completamente sbagliate: Biden, che chiudeva, è salito sul palco solo alle 23.30, per chiudere il suo discorso a 00.15. Le reti hanno mantenuto la diretta fino alla fine, ma se già non è più così scontato che le persone si sintonizzino per seguire i lavori della Convention, ancora meno lo è se i discorsi più importanti arrivano così tardi nella serata. Giovedì sera Kamala Harris accetterà la nomination e parlerà diffusamente del suo programma, che molti statunitensi ancora non conoscono per nulla, e sarebbe importante per il partito che parlasse a un orario più comodo, per garantirsi il maggior numero di spettatori possibile.
Come detto, la serata è stata molto lunga, e neanche particolarmente intrattenente: l’idea, seguendo i lavori, è che l’organizzazione aveva semplicemente inserito troppe personalità, che legittimamente non potevano parlare meno di quanto hanno fatto. Questo ha causato ritardi e un programma sempre uguale a sé stesso che procedeva per ore. Va detto che uno dei pochi guizzi della serata è arrivato all’apertura del prime-time: alle 21, quando tutti gli americani si collegano, un video ha introdotto Harris, che si è a sorpresa presentata sul palco a salutare i delegati. Un momento televisivamente costruito bene, con una folla molto partecipe che ha regalato l’idea di un Partito Democratico finalmente unito attorno alla candidata. Non era per nulla scontato, dato che fino al mese scorso questa doveva essere la Convention dei veleni interni al partito, della ricandidatura di Biden senza un reale sostegno della base e di una probabile sconfitta contro Trump: a distanza di solo un mese ci troviamo di fronte a un partito unificato dalla candidatura di Harris, che crede fortemente di poter mantenere la Casa Bianca a novembre.
Un altro momento da ricordare è stato il discorso di Hillary Clinton, che si è presentata vestita di bianco, il colore delle suffragette, le donne che a inizio novecento avevano combattuto per ottenere il diritto di voto, e accompagnata dalla canzone Brave di Sara Bareilles, suo inno di campagna nel 2016. Una Clinton visibilmente emozionata ha fatto un excursus sulle donne che hanno cambiato la politica americana: da Shirley Chisholm, prima candidata Presidente alle primarie di un partito nel 1972, a Geraldine Ferraro, prima candidata Vicepresidente nel 1984, a lei stessa, prima candidata Presidente per uno dei due grandi partiti nel 2016. Clinton, che nella sua campagna ha subito la violenza verbale di Trump, ha detto che ogni donna ha contribuito a fare delle crepe nel cosiddetto soffitto di cristallo, metafora che indica la barriera discriminatoria al raggiungimento della parità dei diritti. Harris, che ha davanti a sé un soffitto già crepato dalle donne venute prima di lei, non deve fare altro che essere la prima a riuscirci. È stato un momento toccante e molto sentito dalle donne presenti al palazzetto, molte di esse in lacrime: Harris tra l’altro non parla mai del suo essere donna, proprio per non essere accusata di strumentalizzare la storicità di poter diventare la prima Presidente. È un tipo di campagna molto diverso da Clinton, che aveva come slogan “I’m with Her”, e che però venne brutalmente attaccata dai Repubblicani per questo motivo.
In chiusura si segnalano alcuni momenti più leggeri, tra cui la performance della cantante country afroamericana Mickey Guyton e il discorso dell’allenatore dei Golden State Warriors ed ex-giocatore dei Chicago Bulls Steve Kerr. Durante il discorso, Kerr ha mimato il gesto che il suo giocatore principale, Stephen Curry, fa agli avversari quando li batte, dedicandolo a Trump.