I campioni del football NCAA sono (di nuovo) i Georgia Bulldogs
Secondo titolo di seguito per l'università guidata da coach Kirby Smart.
Non serve uno sforzo di fantasia per trovare il titolo di questo articolo, basta riprendere quanto scritto lo scorso anno a aggiungere una piccola parentesi. La storia si è ripetuta e l’Università di Georgia ha vinto di nuovo, a conclusione di una stagione perfetta, zero sconfitte e quindici vittorie, l’ultima delle quali con un roboante 65-7 nella finale giocata contro TCU (Texas Christian University).
Inutili statistiche
Cominciamo dalla fine, un atto conclusivo difficile da commentare se non con il rischio di indugiare su frasi fatte come per esempio “non c’è stata partita” oppure con l’analisi di statistiche talmente clamorose da non meritare neppure un’interpretazione. Limitiamoci ai nove touchdown contro uno e alle 589 yards totali contro 188. No, per capire almeno qualcosa di questa non-partita pare più interessante muoversi verso un punto di vista diverso: quello del sorriso di Stetson Bennett, quarterback di Georgia. A riguardare gli highlights dell’incontro chissà che non stupisca quanto ha stupito seguendo la diretta: l’assoluta tranquillità di Bennett, la fiducia in se stesso e nei compagni, la leadership e, sì, anche quello, l’amore per il gioco. Quel “love for the game” che induceva Michael Jordan a prevedere nei propri non certo economici contratti il permesso di giocare nei playground o dovunque capitasse.
La storia di Bennett negli Stati Uniti è stata oggetto di svariati articoli e dicono sia pure perfetta per Hollywood. A noi basta qui ricordare che ha iniziato la carriera senza neppure avere una borsa di studio per giocare nell’università di casa e la finisce da leader incontrastato di una delle migliori squadre della storia del football NCAA. Ha partecipato in carriera a quattro partite di playoff NCAA e in tutte è stato votato MVP e in questa ultima sfida della propria carriera universitaria è uscito all’inizio dell’ultimo quarto (mancavano ancora 13 minuti e 25 secondi) per lasciare spazio e tempo al quarterback che lo sostituirà a partire dalla prossima stagione. Ovazione meritata, mentre sul suo futuro in NFL si discute molto.
Detto di Bennett, una riflessione la merita TCU, che in una perfetta sintesi tra parole e immagini ha ricevuto dai cronisti di ESPN una lapidaria descrizione dello stato mentale di una squadra senza più forze. Si era al quinto drive offensivo di Georgia (tutti a punti i primi quattro e lo sarebbe stato anche il quinto, come persino il sesto) e le facce della difesa di TCU hanno ispirato questa considerazione: “The expression of the stress of a Championship game”. Tutto il contrario dei sorrisi di Bennett.
La strada fino lì
Non è stata facile però per Georgia arrivare all’atto conclusivo, anzi. Nella semifinale giocata contro Ohio State i futuri campioni hanno quasi sempre inseguito, sorpassato a cinquanta secondi dalla fine e si sono limitati a sperare, magari a soffiare cercando di deviare la traiettoria del calcio da 50 yard, malamente sbagliato dal kicker di Ohio State Noah Ruggles mentre il tempo scadeva.
Era una trasformazione difficile ma non impossibile e il modo in cui è stato eseguito potrebbe rimandare alla manifestazione dello stress di una semifinale di playoff. Dura la vita del kicker, che di norma quando segna fa semplicemente il proprio dovere e quando sbaglia – specie se all’ultimo secondo – lascia un segno difficilmente cancellabile nella storia della propria carriera. Che vincesse Georgia ce lo aspettavamo un po’ tutti, molto meno che TCU riuscisse a guadagnare la finale battendo Michigan, tra l’altro all’esito di una partita che non è per niente esagerato definire meravigliosa, un 51-45 frutto di rimonte mancate e riprese impreviste, con TCU sempre al comando e noi spettatori ad aspettare che da sfavorita inciampasse. Non è successo, se non che le energie sono finite lì e per la finale non è rimasto più nulla in bisaccia.
Mi sia consentita una licenza mnemonica. Guardando il 65-7 di Georgia-TCU mi è risalita alla mente una finale di Wimbledon vista da bambino, quando nel 1983 il carneade o quasi neozelandese Chris Lewis, tennista che al top in carriera avrebbe raggiunto al massimo il numero diciannove, arrivò fino a sfidare John McEnroe nel Championship game. E non vide palla, sopraffatto dallo stesso stress toccato ai giocatori del Texas.
Way too early
Un gioco che appassiona gli esperti di sport di là dall’Atlantico è quello delle previsioni insensate, chiamiamole così. Il gioco è contagioso e le previsioni sono insensate se fatte con tale anticipo da non potere avere a disposizione neppure un quadro preciso di chi giocherà dove, nella stagione i cui risultati si vogliono anticipare. Questo succede perché il football NCAA è sempre più legato al puzzle dei trasferimenti, che per esempio lo scorso anno portò coach e quarterback da Oklahoma a USC. Lo scrivo perché nel gioco del “troppo presto” avevo puntato su Oklahoma, salvo scoprire poche settimane dopo che la squadra non sarebbe stata la stessa. Quindi per sapere chi vincerà nel gennaio 2024 sarebbe bene sapere almeno quali saranno i roster e chi li allenerà. Certo, le indicazioni ci sono, ma restano incomplete.
Premesso questo, stiamo però al gioco, secondo il quale la prossima stagione sarà molto simile a quella appena conclusa, con Georgia al top, seguita da Michigan, Ohio State e la solita Alabama. Nessuno crede a un replay del miracolo TCU, mentre io che picchietto sui tasti del PC mi aspetto grandi cose dai Notre Dame Fighting Irish.