He's risen: il Vangelo secondo Trump
Donald Trump, da archetipo dell'infedele, è riuscito a catalizzare masse di credenti al suo seguito, diventando lui stesso una icona religiosa
Negli Stati Uniti, politica e religione s’intrecciano da tempo immemore. Dal Destino Manifesto di divina soprintendenza, alla storica mobilitazione e politicizzazione dei grandi gruppi evangelici, è difficile ripensare alla storia statunitense e individuare con precisione un momento in cui le due sfere del potere non si sono trovate a interdipendere.
Secondo alcuni esperti, l’impegno politico dei grandi gruppi cristiani statunitensi segue ciclicamente lo stesso percorso, vivendo sulla propria pelle fasi di dedizione, delusione, isolamento e nuova dedizione. Prendendo ad esempio la politica americana dagli anni Ottanta a oggi, è di facile intuito notare come la fase inaugurale di dedizione e quella conclusiva di nuova dedizione combacino perfettamente con la presidenza Reagan, la prima, e con il mandato di Donald Trump, la seconda.
Se, da un lato, gli anni di Ronald Reagan alla Casa Bianca hanno significato la nascita e il consolidamento di una forte Destra Religiosa - intesa come coalizione di influenti evangelici conservatori emersa come movimento politico negli anni Settanta e dietro spinta di figure come Paul Weyrich, Jerry Falwell, Robert Billings, Ed McAteer, Richard Viguerie e Howard Phillips, a cui poi si aggiungerà l’anti-comunista, anti-femminista e fervente conservatrice Phyllis Schlafly - la presidenza Trump ha, invece, coinciso con l’affermarsi di un culto personalistico, una religione abbracciata dalle frange cristiane conservatrici della popolazione statunitense e incentrata sulla esaltazione del tycoon come icona religiosa.
Per molti credenti, infatti, Trump è il «vascello di Dio, un moderno Re Davide» o, addirittura «una Regina Esther contemporanea», come illustra il giornalista Jeff Sharlet nel suo racconto del culto di Trump. Un peccatore, tuttavia consacrato e plasmato da Dio, il quale gli permette di fare ciò che non avrebbe mai potuto compiere con le sue sole forze terrene.
Nella narrazione nazionalista cristiana bianca - ormai dominante negli ambienti di estrema destra statunitense - Trump s’inserisce come salvatore, indipendentemente dalla sua perfetta aderenza o meno ai dettami del cristianesimo. È sufficiente che il tycoon si sia proposto negli anni come il perfetto portatore del verbo trasmesso dalla Prosperity Theology, secondo la quale il principale obiettivo di un fedele dovrebbe essere «mettersi in regola con Dio, arricchendosi» come racconta Sharlet. Non è un caso, infatti, che la telepredicatrice e principale sostenitrice del movimento “Health, Wealth and Prosperity”, Paula White abbia presenziato alla cerimonia di insediamento di Trump nel gennaio 2017.
L’amministrazione Trump si è così riempita di apostoli, trasformando il volto - oltre che la mission politica - della Destra Religiosa e rendendola più forte di quanto non fosse sotto Reagan: è l’effetto del Vangelo secondo Trump, dove la promessa di una guerra spirituale continua contro poteri oscuri e nascosti, dà spazio all’inclinazione alla paranoia e all’autocommiserazione dei suoi seguaci. In questo schema, i peccati di Trump (tra cui spiccano i 34 capi d’accusa legati al caso “Stormy Daniels”) passano in secondo piano, e i procedimenti giudiziari degli ultimi tempi diventano vere e proprie persecuzioni contro un martire della politica, riecheggianti le storiche campagne oppressive vissute dalle comunità cristiane nel corso della storia.
Uno scenario in cui Trump è, tuttavia, sempre attento a non auto-definirsi “salvatore”, riconoscendo, come fece a un incontro a Dallas nel 2021, che «questo Paese ha un salvatore e non sono io - è qualcuno molto più in alto di me». L’oneroso compito è lasciato ai suoi fedeli, che non perdono tempo nel creare continui raffronti tra la figura del tycoon e quella di Gesù: in prima linea, la Repubblicana e MAGA frontliner Marjorie Taylor Greene, la quale ha più volte sottolineato come «sia Gesù che l’ex Presidente sono stati arrestati da governi radicali e corrotti», in quella che la Repubblicana dalla Georgia interpreta come campagna diffamatoria riassumibile nell’iperbole: “la crocifissione di Donald Trump”.
Nel cavalcare l’onda della sua esaltazione religiosa, Trump ha compiuto l’ulteriore passo di diventare sponsor di Bibbie a 60 dollari, prestando al servizio della causa anche il suo celeberrimo “Make America Great Again”, diventato per l’occasione “Make America Pray Again”. La “God Bless the USA Bible” viene recapitata impacchettata in una bandiera americana e vanta in appendice la Costituzione, il Bill of Right e il Pledge of Alliance; una pubblicazione che secondo l’ex Presidente tutti dovrebbero avere in casa - essendo «il suo libro preferito» (e del quale, solo nel 2016, non sapeva citare nemmeno il suo passo preferito).
L’apice della immedesimazione messianica dell’ex Presidente è stata raggiunta lo scorso aprile, quando - come riportato dal New York Times - Trump stesso ha condiviso su Truth un disegno similmente ambientato in un tribunale raffigurante sé stesso seduto di fianco a Gesù in un video che ripeteva come Dio avesse dato Trump agli statunitensi per guidare il Paese.
Il successo dell’ex Presidente nell’aver saputo scindere la propria persona dalla politica nel tentativo di appellarsi agli elettori religiosi l’ha portato ad attrarre sempre più sostenitori evangelici: secondo il docente di storia alla Messiah University in Pennsylvania, John Fea, Trump «ha diviso l’atomo tra personaggio e politica, emergendo come l’unico ad aver ascoltato le rivendicazioni degli evangelici prendendole sul serio. Gli importerà davvero degli evangelici? Non lo so, ma ha costruito un messaggio che si rivolge direttamente a loro». D’altra parte, come non sostenere un presidente che è stato in grado di sancire lo spostamento definitivo a destra della Corte Suprema e ottenere risultati tanto agognati dalla destra evangelica come il rovesciamento definitivo di Roe v. Wade e la negazione di ogni fondamento costituzionale del diritto all’aborto (poco importa, poi, che Trump non sia favorevole a un divieto federale di aborto come richiesto dagli stessi evangelici pronto a votarlo).
Come ha scritto recentemente Robert P Jones, Presidente e fondatore del think tank Public Religion Research Institute, la chiave di questo processo di fidelizzazione è stata la trasformazione di Trump in un simbolo. Un passaggio che spiega tutto il potere del movimento MAGA oltre che «la logica di un mondo capovolto in cui un verdetto di colpevolezza unanime in un processo equo si traduce in sostegno solidificato, in una raccolta fondi record e in una disperata difesa Cristiana del condannato».
Semplice, dunque, proiettare attraverso quest’ottica anche un assalto come quello del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, dove non sono mancati cowboy evangelisti e sciamani con copricapo importanti. Per alcuni, l’evento non è stato che una “rivolta cristiana”: un esempio ne è Pauline Bauer, tra coloro che hanno assediato il Campidoglio e che sotto processo ha scritto a una giudice di essere «una ambasciatrice di Cristo», o Jake Chansley, lo sciamano di QAnon che ha pregato Cristo su una tribuna del Senato e si definisce un «essere multidimensionale».
I fedeli del Vangelo secondo Trump sono certamente variegati, ma uniti da una solida convinzione: esattamente come gli attuali processi, un gravoso evento come l’assalto a Capitol Hill non avrebbe mai potuto fermare la profezia incentrata sul ritorno di Trump alla Casa Bianca: il loro simbolo e Salvatore tornerà, secondo loro, a sedere sul più alto scranno governativo, facendosi interprete del volere di Dio. Qualora non dovesse succedere, sarà da vedere a quali conseguenze porterà la campagna dell’ex Presidente per trasformarsi nel Messia.