Flash #26: Lo strano caso dei cristiani evangelici trumpiani
Trump è riuscito a stravolgere il significato dell'essere cristiano, assicurandosi il supporto di un gruppo chiave

Sembrerà strano, ma nel 1990 il 40% di chi negli Stati Uniti si identificava come bianco evangelico votava per il Partito Democratico. Tuttavia, la convivenza a volte conflittuale delle varie anime della coalizione che supporta il partito ha generato poi varie rotture nei decenni. Una di queste fu lo scisma con il cristianesimo bianco, protestante e cattolico. Prova di ciò, se anche i vari candidati alla presidenza fino a Obama provarono a presentare sé stessi e il partito come aperti ai credenti, Hillary Clinton neanche ci provò.
I Democratici, insomma, per non perdere gruppi demografici progressisti, meno o per nulla religiosi, non parlano più di fede, di moralità, di valori tradizionali. In un’epoca di politica identitaria, questo significa cedere gruppi che basano le proprie scelte elettorali sull’aderenza a principi dettati dalla religione all'altra parte. Specialmente se questa ne parla la lingua, come nel caso di Trump
Tuttavia, anche senza rendersene conto, questi gruppi, nella loro strana alleanza col più spregiudicato e amorale candidato (e poi Presidente) della storia recente, sono andati a rivoluzionare cosa vuol dire essere cristiani in America.
Un volume uscito da poco, Trump, White Evangelical Christians, and American Politics, descrive quest’evoluzione, descrivendo l’abbraccio ideologico sempre più stretto tra il GOP e un certo nazionalismo cristiano; l’idea, molto antica, che il Paese per salvarsi debba “tornare” a essere una nazione cristiana, in un nuovo Grande Risveglio religioso. Questo fenomeno, posizionatosi alla destra del partito, è cresciuto in parallelo a quello più visibile del populismo conservatore, coltivatore del risentimento di quel pezzo di Paese che si sente tradito e messo in pericolo dalle nuove istanze del progressismo. Le due parti si sono guardate a volte con scetticismo. Non dimentichiamo che Ted Cruz era il candidato preferito degli evangelici praticanti nel 2016.
Poi però è arrivato Trump e tutto è cambiato. Gli evangelici bianchi ormai avevano da tempo cominciato ad abbracciare istanze di quel conservatorismo della rabbia, e nel magnate newyorkese videro un’occasione. Egli prometteva importanti vittorie politiche, una Corte Suprema amica e soprattutto la fine di Roe v. Wade. Lo faceva usando una retorica che prendeva a piene mani dal nazionalismo religioso. Per la prima volta questo poteva convivere pienamente con il populismo di destra, anche a costo di sostenere un candidato atipico come Trump. L’azzardo politico ha ripagato, le promesse sono state mantenute. Ma a che costo?
Certo, gli evangelici sono l’unico gruppo religioso a vedere i propri numeri aumentare nell’ultimo decennio, ma sembra che la fede c’entri sempre meno. In un sondaggio del 2011, il 30% di loro (il 42% dei cattolici) sosteneva che una persona che commette atti immorali sia adatto a ricoprire cariche pubbliche. Nel 2016 era il 72%. L’adulterio, da legittima causa di impeachment (Clinton 1999), è diventato un affare privato. Il tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni attraverso un’insurrezione, un atto patriottico.
Essere evangelico non vuol dire più aderire ad una delle tante sette e chiese parte di questo macrogruppo, i cui dogmi non sono cambiati nel frattempo. Ci si dichiara evangelici per il significato politico che il termine rappresenta. In uno studio citato da Shadi Hamid per il Washington Post, il 43% di chi si dice evangelico non crede nella divinità di Gesù. Un altro sondaggio ha persino registrato risposte di musulmani ed ebrei repubblicani che si identificano come evangelici. In un paese in cui si va sempre meno in chiesa e si è sempre meno praticanti (il 40% di chi si dice cristiano protestante, il 28% se cattolico, dice di andare a messa ogni settimana), dichiararsi evangelici è ormai solo un altro modo di dirsi Repubblicani trumpiani, come ha scoperto in ritardo Mike Pence.
Insomma, il nazionalismo cristiano potrà anche aver conquistato il GOP (il 61% dei Repubblicani si dice a favore del dichiarare gli Stati Uniti una “Nazione Cristiana”), però sulla strada della strana alleanza con Trump e il populismo conservatore, forse ha perso la Fede.