Lunga vita al petrolio! Aumentano le trivellazioni di petrolio e gas sotto l'amministrazione Biden
Secondo una nuova ricerca, con l’amministrazione Biden più permessi alle trivellazioni di petrolio e gas.
Potrebbe essere lo slogan di un volantino di una qualsiasi grande società petrolifera statunitense agli albori degli anni Ottanta. E invece è proprio ciò che verrebbe da esclamare guardando i risultati di una recente ricerca pubblicata da Public Citizen, che mostra l’aumento dei permessi di trivellazione approvati dall’amministrazione Biden. Un numero ormai superiore ai permessi approvati dal precedente inquilino della Casa Bianca, pubblicamente riconosciuto come un convinto negazionista e storicamente vicino all’industria petrolifera.
Public Citizen, un’organizzazione a scopo di lucro fondata nel 1971, mette in luce l’inconsistenza delle promesse fatte ormai un anno fa dal Presidente Biden durante la sua campagna elettorale, quando dichiarò che nel suo programma elettorale non c’era spazio per le trivellazioni sul territorio federale. Un abbaglio strategico, un errore di calcolo rispetto alle effettive possibilità di realizzazione del divieto o semplicemente la necessità di assicurarsi il sostegno dell’elettorato ambientalista?
Non si può di certo negare che Biden e la sua amministrazione abbiano tentato, sin dai primi giorni d’insediamento a Washington, tutte le strade possibili per provare a tenere in piedi un’agenda climatica di per sé traballante. E il passo verso la caduta definitiva – lo sappiamo – è stato piuttosto rapido. Il punto di caduta era già stato ampiamente raggiunto quando ogni tentativo di mediazione si è infranto di fronte all’inamovibilità del senatore Joe Manchin, restio a qualsiasi forma di concessione sulla strategia dei Democratici per consentire una maggiore produzione di elettricità da fonti rinnovabili e il progressivo abbandono dei fossili (si trattava del Clean Electricty Performance Plan, ne avevamo parlato qui).
Non bisogna neppure trascurare il ruolo e soprattutto la funzione dei tribunali negli Stati Uniti. Basta ricordare un episodio cruciale che risale a quest’estate, quando il giudice Terry Doughty (era il 16 giugno), davanti ai tentativi di Biden di fermare le perforazioni, concesse un’ingiunzione preliminare alla Louisiana e ad altri 14 Stati che avevano citato in giudizio il Presidente e il Dipartimento degli Interni per il congelamento di alcune aste, bloccando di fatto la decisione presidenziale. La motivazione? Secondo il giudice del distretto occidentale della Luisiana (uno dei più importanti hub statali per la produzione di greggio offshore), erano in gioco “milioni e forse miliardi di dollari”.
Esattamente due mesi dopo, il 16 agosto, il Dipartimento degli Interni ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava la decisione di impugnare l’ingiunzione preliminare emessa da Doughty, presentando ricorso contro la sua decisione alla Corte d’Appello del Quinto Circuito degli Stati Uniti. Nel frattempo, l’amministrazione è di fatto costretta ad attuare la decisione del tribunale distrettuale, acconsentendo all’attività onshore e offshore sul territorio federale.[1]
Passiamo adesso ai dati da cui siamo partiti. Prendendo in esame i numeri forniti dal Bureau of Land Management, Public Citizen sostiene che durante il primo anno del suo mandato, Biden avrebbe concesso in media 333 permessi di perforazione ogni mese (circa 4.000 permessi in un anno). La cifra supera di oltre il 35% il numero di permessi concessi dall’amministrazione precedente, con una media di 245 permessi al mese. Si tratta tuttavia di un numero superato in occasione delle concessioni accordate nel 2020, quando l’amministrazione Trump acconsentì – probabilmente in vista delle successive elezioni – ad una media di 452 permessi mensili.
Tuttavia, è interessante notare che, eccezion fatta per il picco di autorizzazioni concesse nel mese di aprile (652), si registra, da quel mese e per tutto il 2021, una tendenza a diminuire il numero di permessi concessi. Tendenza che sarà presumibilmente confermata negli anni avvenire (e nonostante la decisione del tribunale distrettuale della Luisiana occidentale) dato il forte condizionamento esterno dovuto agli impegni presi dagli Stati Uniti alla COP26, se si considera il ruolo di leadership che il Paese punta a ricoprire sullo scacchiere internazionale.
Agli impegni presi in campagna elettorale e davanti alla comunità globale dovranno prima o poi corrispondere risultati concreti, nonostante questa amministrazione non abbia ancora dato seguito alle promesse fatte. Anzi, sembra proprio che l’indirizzo recentemente adottato vada in direzione opposta: nell’attesissimo rapporto sullo stato delle trivellazioni di petrolio e gas pubblicato all’indomani del giorno del Ringraziamento dal Dipartimento degli Interni (fu commissionato a gennaio), viene prevalentemente delineata la necessità di introdurre alcune riforme fiscali a favore dei contribuenti, con un aumento dei tassi delle royalty federali. Che letteralmente si legge “potete continuare a inquinare ma da adesso in poi vi costerà più caro”.
Gli attivisti di tutto il Paese speravano in una salda presa di posizione e in un forte riconoscimento dell’impatto irreversibile delle perforazioni sull’ambiente e sulla salute umana ma hanno ottenuto solo un evidente segno di riluttanza a intraprendere azioni mirate a discapito di un’industria che da troppo tempo gode del favore di Washington. Si tratta di scegliere come affrontare una delle sfide più complesse per l’amministrazione in carica, che, secondo Erik Schlenker-Goodrich, direttore del Western Environmental Law Center, poteva essere sostenuta con maggiore “forza, velocità e agilità”.
E dall’inizio di questa amministrazione di forza, velocità e agilità, per ora, nemmeno l’ombra.
[1] I tempi della giustizia, si sa, non sono mai brevi e siamo ancora lontani dalla risoluzione della controversia; chi come noi volesse tenersi al passo con il processo, qui troverà ogni aggiornamento.