La transizione energetica non si fermerà
Gli sforzi di Trump per smantellare le politiche climatiche potrebbero solo rallentarla

Sono trascorsi quasi cento giorni dal reinsediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e finora il Presidente non ha perso neanche un minuto nel portare avanti la propria campagna per la “liberazione dell’energia americana”. Nulla di nuovo o inaspettato rispetto a quanto promesso in campagna elettorale: dalla crociata contro le rinnovabili, eolico in testa, al rilancio delle fonti fossili, attraverso la rimozione di ostacoli burocratici e standard ambientali che impediscono a petrolio, carbone e gas di prosperare.
L’approccio adottato dall’amministrazione ha tutti i tratti dell’oscurantismo: è improntato alla censura di ogni possibile riferimento al cambiamento climatico, allo svilimento della ricerca scientifica e, di conseguenza, di quelle fonti energetiche che gli studiosi in modo pressoché unanime riconoscono come valide alleate nella lotta alla crisi ambientale. Nel mirino del Presidente, però, non c’è solo la comunità scientifica, ma anche gli Stati federati che sostengono la transizione ecologica con politiche e leggi mirate. Con un ordine esecutivo adottato l’8 aprile, alla Procuratrice Generale Pam Bondi è stato affidato il compito di individuare e dichiarare illegali tutte le leggi, i regolamenti, le cause di azione e le politiche statali e locali che impediscono la ricerca, lo sviluppo, la produzione e l’uso delle fonti fossili. La missione dell’Attorney General è di intercettare tutti gli atti che “pretendono di affrontare il ‘cambiamento climatico’ o che coinvolgono iniziative ‘ambientali, sociali e di governance’, ‘giustizia ambientale’, emissioni di carbonio o di ‘gas a effetto serra’ e fondi per la riscossione di sanzioni o tasse sul carbonio”. Le virgolette per indicare certe espressioni sono d’obbligo dal punto di vista dell’amministrazione, per screditare e demolire quella che a detta del Presidente è una vera e propria ideologia e nulla più.
La crisi climatica per Trump non è che una bufala, è risaputo; la vera crisi da affrontare è l’emergenza energetica nazionale, dovuta in massima parte alle politiche “dannose e miopi” della precedente amministrazione che hanno ostacolato lo sviluppo delle fonti fossili, che l’America vanta in abbondanza, “limitando la produzione di elettricità affidabile ed economica, riducendo la creazione di posti di lavoro e imponendo costi energetici elevati ai cittadini”. Tra le diverse fonti da rilanciare Trump punta molto sul carbone, che ha recentemente chiesto al National Energy Dominance Council di designare come minerale, così che possa beneficiare di tutte le semplificazioni adottate finora per le altre attività estrattive come quelle dedicate alle materie prime critiche.
Date le premesse, viene spontaneo chiedersi se nell’arco dei prossimi quattro anni Donald Trump riuscirà a invertire del tutto la rotta tracciata da Joe Biden e a ingranare la retromarcia. La risposta non è delle più ottimistiche, ma neanche catastrofista: la transizione energetica americana potrebbe rallentare, ma non si fermerà. Anche se le politiche ambientali attuali venissero smantellate dalla nuova amministrazione, il passaggio alle rinnovabili sembra ormai inevitabile.
Almeno, questo è quanto emerge dalle previsioni annuali sul futuro dell’energia rilasciate di recente dall’Energy Information Administration (EIA) e da Bloomberg NEF, che prospettano entrambi un aumento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili anche negli scenari più foschi, quelli in cui l’agenda di deregolamentazione di Donald Trump dovesse avere successo. I due studi non tengono conto delle ultime politiche adottate dal Presidente, ma si ancorano comunque alla realtà vagliando diverse ipotesi, più o meno pessimistiche, basate sulla sopravvivenza o meno delle norme promosse da Biden.
L’EIA prevede un’espansione massiccia delle rinnovabili a prescindere dal destino degli standard ambientali varati dall’Environmental Protection Agency negli ultimi anni: la produzione di energia da rinnovabili potrebbe triplicarsi da qui al 2050, mentre già nei primi anni Trenta le rinnovabili potrebbero diventare la principale fonte energetica del Paese. Bloomberg NEF concorda, prevedendo che entro il 2035 la capacità solare triplicherà mentre quella eolica raddoppierà. L’istituto di ricerca, tuttavia, ha ridimensionato le proprie proiezioni rispetto al report precedente, proprio tenendo conto del programma di Trump: nel caso dell’eolico, ad esempio, la vecchia proiezione superava la nuova del 15 per cento. Sono meno ottimistiche anche le previsioni relative alle emissioni climalteranti, che secondo l’ultimo rapporto di Bloomberg NEF diminuiranno del 16 per cento entro il 2035, contro il 24 per cento della scorsa edizione.
Secondo le proiezioni dell’EIA, in tutti gli scenari, dal più al meno ottimistico, l’impiego di petrolio, carbone e gas naturale diminuirà nei prossimi decenni, ma il ritmo di questo declino dipenderà dalle decisioni politiche che verranno prese in questi anni. Il carbone, ad esempio, sembra destinato a un declino strutturale e anche nello scenario più favorevole per le fossili la produzione dovrebbe crollare del 70 per cento entro il 2050. Lo studio non tiene conto degli ultimi ordini esecutivi adottati da Trump per rilanciare l’industria carbonifera nazionale, ma diversi osservatori concordano sul fatto che difficilmente si assisterà a un vero revival del settore. Se nel 2010 gli Stati Uniti generavano quasi la metà della loro elettricità grazie al carbone, nel 2024 la percentuale è scesa al 15 per cento. Gli operatori hanno già chiuso diverse centinaia di impianti in disuso e le centrali ancora attive sono ormai vetuste e costose da gestire; nessuno sta pensando di costruirne di nuove. Le semplificazioni varate dall’amministrazione potrebbero però dilungare i tempi previsti per la chiusura degli impianti ancora attivi. Bloomberg NEF, esattamente come l’EIA, prevede un declino di carbone e petrolio, ma non si sbilancia sulla rapidità con cui la curva tenderà verso il basso.
Un altro elemento che emerge da entrambi gli studi è l’aumento della domanda di energia elettrica, trainato soprattutto dall’intelligenza artificiale e dalla costruzione di nuovi data center. È probabile che almeno nel medio periodo per soddisfarla si ricorrerà a fonti come il gas naturale, il nucleare e la geotermia.
I numeri diffusi dall’Eia e da Bloomberg NEF chiaramente sono solo stime, che potrebbero non coincidere con la realtà dei prossimi decenni. Ciò che è certo è che l’amministrazione non intende arretrare di un passo nella sua battaglia contro la transizione energetica. Subito dopo la pubblicazione dello studio dell’Energy Information Administration, il Dipartimento dell’Energia (DOE) ha deciso di dire la propria, dando alle proiezioni una connotazione negativa. La crescita delle rinnovabili e il declino delle fonti fossili, d’altronde, non rientrano affatto nei piani del Presidente. «Il report riflette il disastroso percorso che la produzione energetica americana ha intrapreso sotto l’amministrazione Biden – un percorso che è stato sonoramente respinto dal popolo americano lo scorso novembre», ha dichiarato la portavoce del DOE Andrea Woods. «Sotto la guida del presidente Trump, il Dipartimento dell’Energia sta tracciando una nuova strada per il futuro energetico degli Stati Uniti».
A remare contro i provvedimenti del DOE, però, potrebbero essere proprio le scelte di Donald Trump. L’aggressiva politica commerciale intrapresa dal Presidente potrebbe penalizzare parecchio il settore energetico, a causa dell’imposizione di dazi su una vasta gamma di beni che il comparto utilizza in modo massiccio, come l’acciaio. Il costo dei progetti sembra destinato a lievitare non solo nel caso delle rinnovabili ma anche per le infrastrutture necessarie ad aumentare la produzione di energia da petrolio, gas e carbone. In più, i produttori di combustibili fossili temono che un’eventuale recessione economica innescata dai dazi possa ridurre la domanda per i loro prodotti.