Sopravvivere al caldo estremo
Mentre molte famiglie a basso reddito fanno i conti con l’incapacità di proteggersi dalle ondate di calore, i più ricchi vanno a caccia di condizionatori alla moda
Ad appena un mese dall’inizio della stagione estiva, la maggioranza della popolazione statunitense ha già sperimentato temperature estreme. Le ondate di calore hanno raggiunto anche località come Portland, che raramente nel corso della sua storia ha sperimentato fenomeni come quelli registrati a inizio luglio: si stima che in tutto l’Oregon il caldo abbia ucciso almeno quattordici persone. In California la stagione degli incendi è scoppiata in anticipo e il dipartimento per la protezione antincendio e la selvicoltura, Calfire, ha già fronteggiato più di 3.500 roghi in tutto lo Stato. Le fiamme hanno distrutto oltre 89.000 ettari di terra, una porzione cinque volte superiore alla media tipica della prima metà di luglio. Più di cinquanta città tra la California e il Nevada hanno registrato le temperature più elevate del loro repertorio, compresa Las Vegas, dove i termometri hanno toccato i 48,8 °C. Nella Death Valley la temperatura ha raggiunto addirittura i 53,3 °C.
Le autorità sospettano che negli Stati Uniti occidentali il caldo estremo abbia strappato la vita a più di cento persone dall’inizio di luglio, ma occorreranno mesi per determinare la causa di ogni decesso e verificare se si sia trattato di complicazioni dovute alle alte temperature.
La situazione non è migliore dalla parte opposta del Paese. Secondo il National Weather Service, che ogni giorno fornisce una mappa aggiornata delle aree più a rischio, nelle prossime settimane imponenti ondate di calore si abbatteranno soprattutto sul Midwest e sulla East Coast. Washington D.C. e le città limitrofe della Virginia sono in allerta siccità, mentre il New Jersey si appresta a diventare uno degli Stati più caldi d’America.
È innegabile che si tratti di situazioni anomale, per quanto sempre più frequenti. Nelle puntate precedenti abbiamo scritto di inverni dall’insostenibile brevità; oggi parliamo di estati incredibilmente aggressive e temperature asfissianti, che di anno in anno mietono sempre più vittime. Tutte queste situazioni hanno come denominatore comune il cambiamento climatico, che ne amplifica le conseguenze.
Innanzitutto, il caldo e il freddo estremi si traducono in un aumento della domanda di energia elettrica per gli impianti di climatizzazione, e in un Paese con reti datate e frammentate come gli Stati Uniti questo rende più frequenti interruzioni della fornitura e blackout. Il caso più noto è sicuramente quello del Texas, dove durante l’inverno del 2021 più di 4,5 milioni di case e attività commerciali sono rimaste al buio per parecchi giorni, in quella che è stata definita da diversi osservatori come la peggior crisi energetica dello Stato. A luglio 2024, ci si chiede se l’utility al servizio della città più popolosa dello Stato, Houston, sia in grado di sostenere l’aumento della domanda determinato tanto dalle condizioni meteorologiche estreme quanto dal boom demografico degli ultimi anni. Un altro aspetto da non sottovalutare, presente soprattutto in situazioni di siccità, è la necessità di limitare l’uso dell’acqua alle attività strettamente indispensabili. Ad esempio, diverse cittadine del New Jersey hanno già chiesto o imposto ai loro residenti di astenersi dal lavare le proprie auto o dall’irrigare i loro giardini.
L’uso dell’aria condizionata e una corretta idratazione, d’altronde, sono al primo posto tra i comportamenti raccomandati dalle autorità di tutto il mondo nei famosi vademecum su come difendersi dal caldo estremo, così come rimanere in casa durante le ore più calde, indossare abiti leggeri e proteggersi dai raggi solari.
Tutti questi accorgimenti potranno sembrare scontati, ma per migliaia di persone non lo sono affatto. Nelle grandi città le ondate di calore colpiscono più aggressivamente le fasce più povere della popolazione e le minoranze: il caldo estremo è come un serial killer che prende di mira le sue vittime sulla base di dinamiche socioeconomiche e razziali. A New York, ad esempio, il numero di morti per stress da calore registrato tra i neri è due volte superiore a quello riscontrato tra i bianchi; è solo una delle tante facce del razzismo sistemico che caratterizza gli Stati Uniti.
In generale, a soffrire maggiormente gli effetti negativi del caldo sono le famiglie a basso reddito. Questa disparità non dipende solo dalla possibilità di acquistare un climatizzatore o di pagare le bollette, né esclusivamente dalle condizioni della casa in cui si abita. Diversi studi hanno dimostrato che i quartieri a basso reddito sono più caldi rispetto a quelli più ricchi, a causa dei minori investimenti in soluzioni pensate per mitigare il cosiddetto effetto “isola di calore”. Le aree urbane abitate dai ceti più poveri solitamente presentano una più alta densità di edifici e popolazione, un’elevata concentrazione di superfici e pavimentazioni che trattengono il calore, unite alla minore presenza di alberi: tutti elementi che contribuiscono a rendere roventi le temperature. Il luogo in cui si vive diventa così un elemento cruciale nel determinare la propria capacità di resistere ai cambiamenti climatici e di sopravvivere alle loro manifestazioni più estreme. L’unico modo realmente efficace per affrontare la questione è l’adozione di politiche mirate, che tengano conto delle esigenze delle persone più fragili. Nel frattempo, molte città provano ad affrontare la questione con soluzioni temporanee, trasformando tutti i centri ricreativi e gli spazi pubblici al chiuso in cooling centers, piccole oasi climatizzate per offrire sollievo a chi non ha l’aria condizionata in casa.
A livello federale, in questi anni, l’amministrazione Biden ha varato diverse misure per aiutare i ceti più poveri a migliorare il grado di efficienza energetica delle loro abitazioni e a ridurre gli importi delle bollette, ma è chiaro che serviranno anche azioni concrete, a livello locale, per mitigare gli effetti delle ondate di calore nei centri urbani. Occorrono, probabilmente, dei piani ad ampio raggio che considerino ogni singolo aspetto della questione, compreso il ruolo degli ospedali chiamati a prestare soccorso alle vittime del caldo. I medici, infatti, temono che il sistema sanitario sia ancora scarsamente attrezzato per gestire l’afflusso di pazienti colpiti dalle temperature estreme.
Una buona strategia non deve sottovalutare neanche la tutela dei lavoratori: secondo il Bureau of Labor Statistics, tra il 2011 e il 2022 ne sono morti 479 in tutto il Paese per l’esposizione a temperature estreme. Lo sa bene l’amministrazione Biden, che ha appena proposto un nuovo regolamento per tutelarli dai rischi connessi alle ondate di calore. Si tratta di una norma che l’Occupational Safety and Health Administration ha in cantiere da oltre due anni e che dovrebbe proteggere almeno 35.000 lavoratori, ma le aziende di molti settori, dall’agricoltura all’industria, la reputano inutile e lesiva della concorrenza. È quasi certo che verrebbe abbandonata se Donald Trump vincesse le elezioni, ma anche nel caso in cui i democratici rimanessero alla Casa Bianca non entrerebbe in vigore prima del 2026.
Nonostante la gravità della situazione, non mancano i paradossi. Mentre le minoranze e le fasce più povere della popolazione fanno i conti con l’incapacità di proteggersi dal caldo, i ricchi sostituiscono i loro vecchi climatizzatori con apparecchi all’ultima moda. L’importante è che siano più belli da vedere, e che magari facciano pendant con l’arredo. In molti casi si tratta di climatizzatori più efficienti dal punto di vista energetico, ma che difficilmente riescono a compensare le emissioni generate per produrli.
Insomma, le ondate di calore sono l’ennesimo promemoria del fatto che il cambiamento climatico non è solo un tema ambientale. La crisi climatica è anche una questione di giustizia sociale e razziale. Non è vero che non guarda in faccia nessuno, e non si può neanche dire che non faccia i conti in tasca alla gente.