L’insostenibile brevità dell’inverno
Cade sempre meno neve, ma l’industria sciistica statunitense resta in piedi. In futuro però gli sport invernali saranno l’ultimo dei problemi
Durante le prime settimane di gennaio un’ondata di freddo intenso si è abbattuta sugli Stati Uniti. Milioni di americani si sono ritrovati in allerta meteo e, secondo i dati riportati da diverse autorità statali e federali, il gelo ha mietuto almeno un centinaio di vittime. In molte località del Midwest le stazioni meteo hanno registrato temperature fino a -40°, migliaia di abitazioni sono rimaste senza corrente elettrica, e i collegamenti aerei da e per le città più colpite sono stati interrotti per giorni, con forti ritardi in tutto il Paese.
Gli eventi meteorologici che hanno inaugurato il 2024 potrebbero far pensare alle classiche perturbazioni invernali, ma l’apparenza inganna: si è trattato di eventi eccezionali, in un contesto segnato da inverni sempre più caldi. A gennaio New York è tornata ad indossare il suo abito bianco, ma non nevicava in modo così consistente da quasi due anni. In generale, secondo il Rutgers University Global Snow Lab, tra il 1972 e il 2020 l’estensione media del manto nevoso in Nord America è diminuita a un ritmo di circa 1.870 miglia quadrate all’anno. Per rendere l’idea: è una superficie più o meno pari a quella del Delaware.
Nei prossimi anni non potremo più esimerci dal fare i conti con quella che gli scienziati definiscono siccità nevosa (snow drought), una locuzione usata in modo massiccio già verso la fine degli anni Settanta e tornata prepotentemente in auge nell’ultimo decennio. Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature dimostra come la riduzione del manto nevoso sia ampiamente imputabile all’impatto delle attività umane sull’ambiente. A causa del cambiamento climatico, cade sempre meno neve e alcuni importanti settori dell’economia statunitense – e non solo – iniziano a farne le spese.
L’industria sciistica, come una sentinella, scorge le prime avvisaglie dei problemi futuri, ed è sicuramente la prima che viene in mente quando si pensa alle conseguenze della siccità nevosa. È un settore che negli Stati Uniti copre un mercato da 3-4 miliardi di dollari. Stando a quanto riporta la National Ski Areas Association, durante la stagione invernale 2022-2023 gli americani hanno avuto a disposizione un totale di 480 impianti sciistici. Il Colorado, la patria di Aspen, paradiso degli sciatori, è solo uno dei trentasette Stati americani dove è possibile trovare strutture dedicate agli sport invernali. Lo Stato di New York è quello che ne conta di più, con 52 impianti attivi nella scorsa stagione, seguito dal Michigan, con 49, e da Colorado e Wisconsin, che contano 33 strutture ciascuno.
L’assenza di neve non è mai stata una novità per l’industria degli sport invernali, stagionale per definizione. Chi lavora in questo settore è abituato a un certo grado di incertezza, che potremmo definire intrinseco, ma il riscaldamento globale sta già rendendo necessaria l’adozione di alcune strategie di adattamento.
Nonostante l’aumento medio delle temperature, il minor numero e la minore durata delle nevicate, finora il settore è riuscito a mostrarsi resiliente e florido soprattutto grazie ai sistemi di innevamento artificiale. Fabbricare la neve è ciò che ha permesso all’industria di prosperare e di occultare, almeno fino a questo momento, i primi effetti del cambiamento climatico. Secondo la National Ski Areas Association, però, è una situazione che non può durare a lungo. Per quanto efficienti, anche gli impianti di innevamento più innovativi e moderni hanno dei limiti: servono le temperature giuste per trasformare l’acqua in neve. In un mondo sempre più caldo, il possesso di sistemi di innevamento all’avanguardia determinerà quali strutture saranno in grado di rimanere operative e competitive e quali, invece, saranno costrette ad appendere sci e slittini al chiodo. L’assenza dell’oro bianco infliggerà comunque un duro colpo a tutto il settore, soprattutto in termini di profittabilità e sostenibilità, dal momento che per produrre la neve saranno necessarie enormi quantità di acqua e di energia.
L’innevamento artificiale potrà aiutare i gestori delle strutture a mitigare gli effetti visibili del cambiamento climatico, mantenendo relativamente stabile nel tempo la durata della stagione sciistica, come avvenuto finora. L’assenza di neve naturale non impedirà agli americani di sciare, ma questa forma di turismo è destinata a diventare sempre meno sostenibile e decisamente più costosa da tenere in piedi.
Allargando la visuale e guardando più in là nel tempo, i problemi del settore degli sport invernali sembrano poca cosa rispetto agli impatti che la siccità nevosa avrà sull’agricoltura e sulla sicurezza idrica. Almeno l’80% della popolazione dell’emisfero settentrionale dipende da fiumi alimentati dalla neve che hanno già superato la soglia critica oltre la quale la siccità non potrà che aumentare. Tra questi ci sono il Mississippi, il Rio Grande e il Colorado. Più di 2,1 miliardi di persone in tutto il mondo vivono a valle di montagne che immagazzinano neve per tutto l’inverno e che contano sul suo scioglimento per soddisfare il proprio fabbisogno idrico. Per fare un esempio, la neve che si deposita sui monti Catskill, negli Appalachi, garantisce alla sola città di New York circa 1,2 miliardi di litri d’acqua ogni giorno. Dalla parte opposta del Paese, in California, le cittadine meridionali più popolose ma meno ricche d’acqua contano sui fiumi che scorrono nelle aree settentrionali e le riforniscono quotidianamente attraverso una fitta rete di acquedotti e stazioni di pompaggio. Il Golden State stima che la terra irrigata grazie a questo sistema di gestione della risorsa idrica, noto come State Water Project, garantisca la produzione di 19 miliardi di dollari di colture e prodotti agricoli ogni anno. Proprio la California e il Southwest, però, dall’inizio del 2000 si trovano a vivere la peggiore “megasiccità” degli ultimi 1.200 anni, per via delle minori quantità di neve che si depositano sui monti della Sierra Nevada.
I rischi connessi alla siccità nevosa non finiscono qui. Rimanendo sul piano ambientale, la neve è fondamentale per arrestare o quantomeno ritardare l’inizio della stagione degli incendi. Ne è la prova quanto accaduto a giugno dello scorso anno in Canada, dove l’assenza di neve del 2022 ha contribuito a rendere ancora più devastanti gli incendi divampati nei boschi l’anno successivo. Il fumo è arrivato ad investire anche New York, costringendo le persone a prendere d’assalto supermercati e grandi magazzini in cerca di mascherine, mentre lo skyline della città veniva coperto da una fitta coltre arancione. Uno scenario quasi apocalittico.
Ma anche gli incendi peggiorano la siccità, portando la neve a sciogliersi più rapidamente del dovuto. Al contrario di quanto si possa pensare, ad accelerarne lo scioglimento non è il calore bensì il colore. Il candore della neve ne riduce il tasso di fusione, mentre la fuliggine e la cenere che vi si depositano a causa degli incendi la rendono più scura, portandola ad attirare più luce solare e a sciogliersi più velocemente. Allo stesso risultato conduce anche l’assenza degli alberi, distrutti dalle fiamme, che priva il manto nevoso della protezione di fronde e foglie, esponendolo direttamente alla luce del sole.
Tutte queste considerazioni non valgono solo per gli Stati Uniti. L’assenza di neve e la necessità degli operatori dell’industria sciistica di ricorrere all’innevamento artificiale per mantenere stabili gli introiti del settore sono già realtà anche in Europa e in Asia. I rischi legati all’approvvigionamento idrico e irriguo riguarderanno anche chi vive lungo le sponde del Danubio o del Fiume Giallo, tra gli altri. Il cambiamento climatico non guarderà in faccia nessuno.