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L'anello WNBA sulle dita di Las Vegas
Le Aces vincono le finali e portano il loro primo titolo nella capitale mondiale del gioco d'azzardo. Dietro la vittoria il genio di coach Becky Hammon, pronta a fare il salto definitivo in NBA.
All’esterno della Colonial Life Arena a Columbia, sede della University of South Carolina, c’è una statua. Una statua che raffigura una giocatrice di basket, A’ja Wilson, protagonista assoluta della storia sportiva di quell’università tra 2015 e 2018. A’ja Wilson ora gioca nella WNBA, è stata scelta con il numero uno nel draft del 2018, da quella stagione milita nelle Las Vegas Aces e da pochi giorni è anche campionessa WNBA, ultimo titolo a mancarle in una carriera tuttora giovanissima.
Las Vegas
Le Las Vegas Aces, battendo 78-71 in gara 4 le Connecticut Sun, domenica scorsa hanno portato nella città celebre soprattutto per il gioco d’azzardo il primo titolo professionistico della storia. Già da qualche anno Las Vegas si sta rifacendo il trucco, per trasformarsi da città del weekend a luogo bello da vivere, e il maquillage passa pure attraverso lo sport, iniziato proprio con il trasferimento di una franchigia WNBA da Dallas, poi con la fondazione di una squadra di hockey su ghiaccio (nel deserto!), i Golden Knights, nell’ambito del programma di espansione della NHL e ancora con il trasferimento della compagine di football dei Raiders da Oakland.
I Golden Knights sono andati vicini alla vittoria nella prima stagione della loro storia, ma sono le Aces ad avere avuto l’onore della prima parata per le strade della città del deserto. Hanno chiuso da trionfatrici una stagione che ricorderemo purtroppo anche per l’assenza di Brittney Griner, ancora ingiustamente detenuta in Russia.
Premi
Può non vincere la lega una squadra che conta nei propri ranghi la miglior giocatrice della stagione (A’ja Wilson), la miglior difensora della stagione (A’ja Wilson), la giocatrice più migliorata della stagione (Jackie Young) ed è allenata dalla allenatrice dell’anno (Becky Hammon)? Certo, può… ma non è successo nel 2022. E pensare che il titolo di MVP delle Finals lo ha vinto Chelsea Gray, l’unica del quintetto-base delle Aces a non essere stata selezionata per l’All-Star Game.
Attenzione… “quintetto-base”, espressione d’altri tempi che racconta di un basket dove giocavano in cinque, c’era un cambio piccole, un cambio lunghe e magari una giocatrice di rottura (se volete volgere al maschile, fatelo pure, quello era la pallacanestro di qualche tempo fa).
Ecco, Becky Hammon ha organizzato le Las Vegas Aces in questo modo: il quintetto Young-Plum-Gray-Hamby-Wilson, Williams a cambiare le piccole e Stokes a cambiare le lunge. Il resto, tutto sommato, è mancia. Non basta però ripercorrere il passato per vincere il presente e, da coach geniale qual è, Hammond ha saputo innovare nel tempo della necessità.
Momenti
Un primo momento si è presentato più o meno a metà stagione, quando le Aces dopo un inizio a tutte vittorie hanno iniziato a zoppicare. Lì non sono state tanto le innovazioni tattiche, quanto la creazione di una nuova sintonia di squadra a mettere le cose a posto, tanto da recuperare la vetta della classifica in conclusione alla stagione regolare.
Un secondo momento si è presentato proprio alla resa dei conti, quando Dearica Hamby si è fatta male e nei playoff ha giocato pochissimo. Ci sono due svolte che raccontano la storia delle Finals vinte contro Connecticut. In gara uno, quando dopo una partenza decollata sulle ali di Wilson le Aces si sono trovate in difficoltà, rimontate e con poche idee difensive. Dalla panchina è uscita l’acciaccata Hamby, che con grinta, classe e sapienza tattica ha messo le cose a posto. E poi in gara quattro, quando in un finale che pareva punto a punto Becky Hammon si è giocata il quintetto con quattro piccole (Young-Plum-Wilson-Gray, assieme all’imprescindibile Wilson), mentre il suo collega Curt Miller (grande coach, ancora senza anelli) ha optato per le quattro lunghe (Bonner-Thomas-B. Jones-J. Jones, insieme con la non proprio imprescindibile Williams).
Smentendo la massima che fa del basket un gioco per alti, hanno stravinto le piccole, guidate dalla protagonista meno prevista, Riquna Williams, in uscita – e che uscita! – dalla panchina.
Leggo ora come in molti si aspettino che Becky Hammon sia la prima donna a sedere su una panchina NBA, già lo ha fatto come assistente di Greg Popovich, guidando in qualche occasione la squadra da head coach. Io spero proprio di no, sarebbe una grave perdita per la WNBA, che si conferma il campionato più bello del mondo. E poi, scriviamolo, se rimanesse a Las Vegas chissà che non le arrivi in omaggio una statua, come capitato alla giocatrice oggi più forte del mondo.