Flash #88: un futuro progressista per il Maine?
Il candidato al Senato Graham Platner: un emulo di Mamdani o qualcosa di più?

La vittoria di Zorhan Mamdani è solo l’ultimo degli eventi politici recenti che ha generato una riflessione nel Partito Democratico: qual è la via da perseguire per cercare successo tra il popolo americano, che è ormai sempre più disilluso?
La scelta pare sempre più binaria. Moderati come i Senatori Chuck Schumer (New York) e John Fetterman (Pennsylvania) cercano di avvicinarsi al centro, ritenendo che trovare un common ground, una comunione di intenti, sia la soluzione più efficace. Esempio lampante di questa strategia è la recentissima decisione di otto democratici di sciogliere il più lungo shutdown della storia statunitense.
Tuttavia, sempre più prevalente pare essere l’opinione che il partito debba offrire delle policy più radicali, e che le recenti sconfitte siano frutto di un metodo ormai obsoleto. Quando Bill Clinton si candidò nel 1992, introdusse la cosiddetta “terza via”: una nuova ondata di democratici moderati che avrebbero ottenuto un successo travolgente, contrastando la virata a destra di Ronald Reagan.
Il Partito Democratico ha sempre mantenuto in linea generale quest’ideologia centrista, come si può osservare, per esempio, con i candidati alle presidenziali: sebbene alcune proposte più a sinistra si siano palesate (primo fra tutti il senatore del Vermont, Bernie Sanders), i candidati più moderati hanno sempre prevalso.
Mai prima d’ora però lo status quo è in discussione: Bernie Sanders ha dichiarato apertamente che la sconfitta di Harris è dovuta non alle travagliate circostanze della campagna elettorale, ma alle idee politiche poste sul piatto della bilancia. Idee vicine all’establishment centrista, che ormai domina il partito da trent’anni.
La fazione progressista del partito è ormai sempre più prevalente, mettendo a rischio persino i seggi dei democratici più tradizionalisti. Molti ritengono quindi che solo riportando il partito a sinistra si potrà sconfiggere il Trumpismo.
Uno dei candidati radicali che nutrono tale speranza è Graham Platner, in corsa nelle elezioni del 2026 per diventare Senatore del Maine. Veterano della guerra in Iraq, Platner ha poi lavorato come coltivatore di ostriche. La sua campagna elettorale cerca di posizionarlo, per origini e carriera, nella working class americana.
Similmente all’ultimo candidato vicepresidente dei dem, il governatore del Minnesota Tim Walz, Platner ha usato i benefit previsti per i veterani per pagare l’università. Ha partecipato a scene di combattimento, raccontando di aver sviluppato a causa di esse un disturbo post-traumatico da stress.
Ora, qualcuno potrebbe ritenere che questo candidato sia un altro Mamdani. Due punti chiave del suo profilo lo rendono però marcatamente differente dal neoeletto sindaco newyorkese.
In primo luogo, Platner ha un approccio più cauto rispetto alla regolamentazione delle armi da fuoco, probabilmente dovuto al fatto che le comunità rurali del Maine tengono particolarmente ai diritti del Secondo Emendamento.
Inoltre, la sua esperienza sul campo di battaglia lo ha reso un acerrimo nemico delle forever wars, ossia di quella cultura politica, mista ai due partiti, secondo cui gli Stati Uniti devono usare le forza armata per svolgere il ruolo di polizia globale. In un post di critica alla sua avversaria, la senatrice repubblicana Susan Collins, Platner ha denunciato il suo voto per l’autorizzazione del Congresso a intraprendere le ostilità con l’Iraq.
Un altro mito da sfatare è quello secondo cui, data la popolarità dei democratici in Maine, la strada sia spianata per Platner. Sebbene sia vero che, tra Governatore, Senatori federali e membri della Camera dei Rappresentanti, Collins sia la sola repubblicana, non bisogna però sottovalutare la fedeltà del suo elettorato.
Collins è una centrista per eccellenza: ha votato insieme a John McCain per mantenere l’Obamacare ed è tra i repubblicani che hanno votato per il secondo impeachment di Trump. Il suo modus operandi bipartisan è chiarissimo se si osserva il suo pattern di voti con il tracker fivethirtyeight.com.
Collins inoltre ha una carriera ormai storica nel Senato statunitense: sono quasi trent’anni, dal lontano 1997, che la senatrice occupa il seggio del Maine. Platner deve perciò convincere l’elettorato ad abbandonare la vecchia guardia.
L’ultima battaglia di Platner è inoltre interna al partito. La sfidante più pericolosa alle primarie democratiche è la governatrice uscente, Janet Mills. Mills ha ottenuto l’endorsement di moderati come Schumer, mentre Platner gode del supporto dell’ala progressista-populista del partito, Sanders in testa.
Ad esso vanno aggiunti alcuni piccoli scandali mediatici: uno fra tutti, un tatuaggio, ora coperto, di una testa di scheletro che pare somigliare a un simbolo delle SS naziste. Platner sostiene di non essere stato a conoscenza del significato del simbolo e lo ha recentemente coperto con un altro tatuaggio.
In generale, però, siamo di fronte senza dubbio a un progressista che cerca di scuotere le aule di Washington. «Non abbiamo ottenuto la settimana lavorativa di 40 ore perché qualcuno ha scritto una lettera cortese al suo congressman» dichiara Platner in una Town Hall. L’idea è dunque quella di una politica “rivoluzionaria”, che sia sempre più sensibile ai bisogni dell’americano medio.


