Flash #33: Donald Trump ha cambiato (di nuovo) opinione sul diritto all'aborto
Le volatili prese di posizione dell’ex Presidente sul fronte dei diritti riproduttivi sollevano diversi interrogativi tra gli americani in vista del voto di novembre
Non è la prima volta che Donald Trump muta, in maniera funzionale, la propria posizione su diritti e libertà personali. Con l’avvicinarsi di alcuni referendum a cui si voterà in concomitanza con le presidenziali nello Stato della Florida, si moltiplicano le notizie concernenti cambi repentini o rivendicazioni di supposte “storiche” opinioni di Donald Trump.
Se in queste ore si sta discutendo, infatti, della posizione dell’ex Presidente sulla legalizzazione della marijuana per uso personale, ancora più rumore ha fatto l’improvviso cambio di rotta di Trump sul tema dell’aborto – rettificato poi nelle 24 ore successive passando da una agenzia di stampa all’altra.
Se il candidato Repubblicano è inizialmente parso contrario a un limite massimo di sei settimane per abortire imposto dal Governatore della Florida ed ex candidato alle primarie Repubblicane Ron DeSantis, il giorno dopo aver rilasciato una simile dichiarazione per la NBC News Trump ha rettificato e dichiarato per Fox News che, seppur ritenga troppo stringente un tempo limite di sei settimane, voterà comunque contrario al referendum che avrebbe inserito nella Costituzione del Sunshine State il diritto all’aborto – di fatto abrogando la restrizione voluta da DeSantis.
Nell’intervista che ha lasciato intendere una improbabile svolta pro-choice di Trump, il candidato ha anche affermato che imporrà al governo o alle compagnie assicurative di coprire i costi per i trattamenti di fecondazione in vitro (FiV), senza mai chiarire come. Il supporto di Trump alle procedure di FiV non sembra essere mutato, diversamente da come accaduto per il diritto all’aborto: da quando una sentenza della Corte Suprema dell’Alabama ha sancito lo scorso febbraio che embrioni congelati formati attraverso la FiV vadano considerato bambini, il tycoon si è sempre detto contrario alla decisione – ma, anche in quel caso, non ha mai chiarito come risolvere politicamente e a livello federale le molteplici controversie nel campo dei diritti riproduttivi.
Sull’aborto, Trump oscilla più di un pendolo e non prende mai una ferma posizione: dall’aver supportato apertamente un divieto federale di aborto a partire dalla sedicesima settimana di gestazione, all’aver lasciato intendere una evoluzione femminista della propria posizione, all’accusa – in ultima istanza – ai Democratici di spingere per misure troppo permissive che permetterebbero l’aborto sino al nono mese di gravidanza, e anche dopo la nascita. Quella dei cosiddetti partial-birth abortion (interruzioni di gravidanza successive al primo trimestre) è una strategia retorica reazionaria che ha portato in diversi Stati all’adozione di misure estremamente restrittive, vietando anche procedure sicure come la D&E (dilation and evacuation).
Il dietrofront sembrerebbe non essergli comunque valso particolari guadagni elettorali, anzi: la confusione del tycoon è apparsa in netto contrasto con le posizioni adottate ufficialmente dal Partito Repubblicano in occasione della convention chiusasi a luglio a Milwaukee, che interpreterebbero il XIV emendamento come il tramite per garantire agli embrioni lo status giuridico di persona. Diversi leader evangelici, inoltre, hanno dichiarato che non appoggeranno Trump, mentre altri, come la leader di Students for Life Kristan Hawkins, continuano a vedere nel candidato Repubblicano la loro possibilità per un divieto federale di aborto, nonostante i recenti malumori suscitati nel movimento.