Anthony Fauci: lo scienziato e l’uomo
La medicina dal volto umano ai tempi della pandemia di AIDS.
Uno dei volti più noti della pandemia di COVID-19 oltreoceano è sicuramente quello di Anthony Stephen Fauci. Un nome che abbiamo sentito pronunciare spesso in questi due anni, tra elogi e critiche, dichiarazioni e teorie del complotto.
Un faro di speranza per alcuni, un bersaglio da attaccare per altri, l’immunologo Dottor Fauci più di tutti è stato l’incarnazione dello scienziato edotto in materia che sedeva a fianco della politica in un momento così disperato come una pandemia, prima con Donald Trump e poi con Joe Biden.
Fauci ha servito il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), l’ente del National Institute of Health che tratta di ricerca e prevenzione delle malattie infettive e correlate ad allergie, per più di quarant’anni. Dopo aver ricoperto il ruolo di Direttore dal 1984, ha annunciato quest’anno la volontà di ritirarsi, all’età di 81 anni, lasciando anche il ruolo di medical advisor della Presidenza.
Il Fauci della pandemia di COVID-19 lo conosciamo tutti. Quello di cui nessuno parla più è il Fauci di un’altra pandemia, silenziosa e letale, che ha stigmatizzato per tutti gli anni ‘80 la comunità LGBTQ+ mondiale e con cui oggi ancora combattiamo una feroce battaglia: la sindrome da immunodeficienza acquisita, meglio nota come AIDS, provocata dal virus HIV.
La pandemia di AIDS, tra ricerca e stigma
Lo stigma nei confronti della comunità LGBTQ+ fu fortissimo fin dai primi giorni rampanti dell’epidemia. Inizialmente la malattia venne chiamata GRID, gay-related immune deficiency, ma guadagnò nomi molto discriminatori come “cancro gay”, “piaga gay”, “sindrome omosessuale” che fece aumentare esponenzialmente lo stigma sociale, oltre che teorie antiscientifiche. Tuttavia, la realtà dei fatti era che quasi la metà dei pazienti con la nuova malattia non era appartenente alla comunità LGBTQ+. Altri pazienti erano gli emofilici o i consumatori di droghe per assunzione intravenosa. Ciò portò i CDC nel 1982 a coniare un nuovo termine, neutro e scientificamente più corretto: Acquired Immune Deficiency Syndrome, appunto AIDS.
La rabbia e lo sgomento della comunità LGBTQ+ di fronte le discriminazioni fecero nascere un forte attivismo che trovava leader in personalità come il drammaturgo Larry Kramer, fondatore dell’associazione Gay Men's Health Crisis. Rabbia e sgomento anche verso una comunità medica e politica che non ascoltava le istanze degli attivisti, per una lentezza delle istituzioni draconica e per così tante vite spezzate. In questo clima teso e disperato, Anthony Fauci ha dovuto essere sia medico che essere umano, nell’equilibrio tra scienza ed empatia che ancora oggi è un dibattito molto acceso nella comunità scientifica.
Fauci il medico
«La mia carriera e la mia identità sono veramente state definite dall’HIV» affermava Fauci in un’intervista al Guardian nel 2020 parlando della sua carriera.
Fauci era all’epoca un medico che potremmo definire “classico”: la ricerca doveva essere neutrale e i trial clinici non dovevano nell’immediato pensare alla salute dei pazienti. Sembra un ossimoro, tuttavia il livello di distacco era tale da non ascoltare gli attivisti e i pazienti, come ha ammesso lo stesso Fauci in un’intervista al New Yorker di due anni fa. I medici e i ricercatori erano granitici e incontestabili portatori di verità, distaccati e paternalistici e i processi di approvazione dei farmaci rigorosi. Tutto per portare sul mercato farmaci sicuri ed efficaci. Non è sbagliato se ci si pensa, tuttavia si dimenticava spesso che quel farmaco poi veniva usato da un essere umano che ne aveva davvero bisogno nel contesto di una pandemia drammatica come quella di AIDS.
Anthony Fauci entrò nel NIAID nel 1968 come clinico e ricercatore, a soli 28 anni. Si sospetta che l’AIDS circolasse già come malattia sconosciuta, ma fu solo nel 1981 che i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) inserirono nel report settimanale degli strani cluster di polmonite da Pneumocystis jirovecii - un tipo di fungo patogeno - in alcuni uomini omosessuali di Los Angeles. Il fenomeno si ripeteva anche in altre città, con l’insorgenza anche di altre malattie comuni nei pazienti immunodepressi, come il sarcoma di Kaposi, una forma cancerogena della pelle.
Letto quel report, Fauci capì che la situazione sarebbe esplosa in fretta in qualcosa di incontrollabile e mai visto. Decise dunque di dedicare anima e corpo nello studio della nuova malattia che stava mietendo sempre più vittime. L’obiettivo era trovare un vaccino o almeno una cura efficace.
La ricerca e la corsa contro il tempo per una malattia simile non sono semplici. Fauci, fin da subito, sapeva che non bisognava parlare di una malattia esclusiva di un segmento particolare di popolazione e lo fece presente in un paper prima rifiutato dal New England Journal of Medicine, poi pubblicato su The Annals of Internal Medicine. Scriveva Fauci: «Qualsiasi ipotesi che la sindrome rimarrà ristretta a un particolare segmento della nostra società è veramente un'ipotesi senza base scientifica»1. Razionalmente, la scienza non discrimina, a differenza di chi usava l’AIDS come scusa per alimentare odio omofobo.
I progressi iniziavano comunque a farsi sentire. Il laboratorio di Fauci aveva iniziato a comprendere il funzionamento del virus già nel 1983, prima che venisse identificato come HIV. La cura però sembrava ancora molto lontana e mancavano dei pezzi a quel complesso puzzle. Ci vollero anni prima che si potesse offrire una cura efficace, arrivata a fine anni ‘80, per dare speranza a molte persone e spegnere una rabbia sempre più crescente.
Fauci l’essere umano
Nel 1988 degli attivisti si riunirono presso il NIH in Maryland per protestare contro una risposta poco decisa. Fauci era diventato in quel contesto, volente o nolente, il volto contro cui prendersela. Una storia che tutto sommato abbiamo visto anche in questi due anni. Complice anche l’inazione dell’amministrazione Reagan, che si muoveva ancora troppo lentamente, o dell’FDA e delle sue rigide procedure.
Larry Kramer fu tra i più feroci contestatori di Fauci e più volte lo chiamò incompetente o asservito all’establishment medico. Addirittura lo bollò come assassino e lo paragonò a Eichmann. A Fauci fu contestata la lentezza per l’approvazione di cure efficaci e la mancata apertura di trial clinici a volontari che avrebbero ricevuto trattamenti sperimentali, cose su cui non aveva controllo. Indubbiamente, si può dire, in una situazione così disperata e senza informazioni certe sulla malattia, la ricerca e i suoi protagonisti hanno fatto degli errori che hanno avuto un costo.
Alla luce di questo odio e queste proteste, e consapevole del suo ruolo forse, Anthony Fauci capì una cosa fondamentale: era ora di dare ascolto agli attivisti e trovare un terreno comune per uscire da quell’inferno. «Nei loro panni avrei fatto la stessa cosa», ha affermato. Toltosi il freddo e bianco camice, Anthony Fauci iniziò ad avvicinarsi alle associazioni e alla comunità LGBTQ+ e diventare egli stesso un attivista: per la scienza, per la salute, per la medicina, per i pazienti.
Durante le manifestazioni del 1988 Fauci chiese alla polizia e all’FBI di non arrestarli e li invitò nel suo ufficio a discutere su cosa bisognava fare. Di rimando, le associazioni LGBTQ+ iniziarono a invitare Fauci nel loro mondo. Lavorò sodo per oliare i processi di reclutamento nei trial clinici, garantendo ai malati di AIDS accesso a cure sperimentali. Si costruì un rapporto di fiducia che è necessario, fondamentale, in crisi sanitarie così drammatiche.
La rivoluzione
L’AIDS e lo stigma che l’accompagna non sono ancora sconfitti. La ricerca però continua e le possibilità sono maggiori, anche se ancora la strada è lunga. Tuttavia, sempre più nuovi farmaci venivano testati e approvati. Gli antiretrovirali, fondamentali per rallentare il decorso della malattia, iniziavano ad essere sul mercato. Gli attivisti e i pazienti venivano sempre più coinvolti, nei trial e nel processo di approvazione dei farmaci: FDA oggi si consulta anche con rappresentanti dei consumatori finali.
Fauci e Kramer nel frattempo sono diventati amici e alleati, con quest’ultimo - scomparso nel 2020 - che ha definito l’immunologo un vero eroe nella lotta all’AIDS. Fauci ispirò uno dei suoi personaggi, il Dottor Anthony Della Vida, nella pièce The Destiny of Me.
La ricerca scientifica di Fauci per l’AIDS/HIV è stato indubbiamente un passo enorme per l’umanità. Fauci è stato tra gli architetti del PEPFAR (President's Emergency Plan for AIDS Relief) lanciato dell’allora Presidente George W. Bush nel 2003, l’iniziativa governativa statunitense globale per combattere l’AIDS/HIV e che ha salvato milioni di vite, specialmente in Africa. Non solo: Fauci era presente anche con l’influenza suina del 2009, la West Nile, l’Ebola, lo Zika Virus e il SARS-CoV-2.
Secondo il suo statement, non intende appendere il camice al chiodo, ma solo seguire una nuova fase del suo lavoro, incarnando lo spirito di un inarrestabile scienziato, che ne dicano i suoi detrattori. «Grazie al potere della scienza e agli investimenti nella ricerca e nell’innovazione, il mondo è stato in grado di combattere le malattie mortali e salvare vite in tutto il mondo. Sono fiero di essere stato parte di questo lavoro e non vedo l’ora di continuare ad aiutare a farlo in futuro», scrive.
Fauci è parte e protagonista di una grande rivoluzione, che possiamo riassumere nelle stesse parole: «Ci sono dei principi scientifici molto ferrei che devono essere rispettati in medicina. Allo stesso tempo, è necessario un contatto umano per trattare con le persone. Bisogna combinare aspetti sociali, etici, personali con la fredda e pulita scienza». Il medico è una guida, ma anche un ascoltatore attento dei suoi pazienti quando i tempi si fanno bui.
Fauci, A., The Syndrome of Kaposi's Sarcoma and Opportunistic Infections: An Epidemiologically Restricted Disorder of Immunoregulation, The Annals of Internal Medicine, 1 June 1982, Volume 96, Issue 6 Part 1, pagg. 777-779, doi: https://doi.org/10.7326/0003-4819-96-6-777