Esiste un nuovo "centro" della Corte Suprema
Oltre alle sentenze più clamorose, c'è un gruppo di giudici che ha ripreso a fungere come centro dell'organismo. Ecco chi sono i giudici che lo compongono
Sarebbe facile fermarsi alle tre sentenze della Corte Suprema che hanno destato maggior clamore: quella che ha sancito l’incostituzionalità della “affirmative action”, le “quote afroamericane” nelle iscrizioni alle università; quella che ha stroncato il provvedimento del Presidente Biden di condono dei mutui contratti per pagare le rette universitarie; e quella che ha posto la libertà di espressione davanti alla legge anti-discriminazione dando ragione alla web designer cristiana del Colorado che si è rifiutata di creare siti per le nozze gay.
Sarebbe dunque facile fermarsi qui e decretare che il bilancio di quest’anno giudiziario appena conclusosi conferma che la Corte Suprema degli Stati Uniti è ormai sistematicamente sbilanciata a destra.
Si tratta infatti di tre decisioni senza compromessi, approvate compattamente dalla “supermaggioranza” schiacciante dei sei giudici conservatori, con il voto contrario delle tre colleghe di sinistra relegato a disperata testimonianza, ma anche con una sostanziale irrilevanza del voto del Presidente della Corte John Roberts, il quale da tempo è considerato il più centrista e il più imprevedibile dei giudici “di destra”, a partire da quando nel 2012 si schierò a sorpresa con l’ala liberal della Corte (all’epoca quattro dei nove giudici) facendo da ago della bilancia e determinando clamorosamente la sopravvivenza della riforma sanitaria voluta da Obama e detestata dai Repubblicani.
Sarebbe facile, sì; tuttavia, fermarsi a quelle tre sole sentenze sarebbe un grave errore.
L’eccezione (e non la regola)
In realtà nell’ultimo anno lo schema di gioco che ha portato a quelle tre decisioni - i sei giudici “di destra” monoliticamente schierati contro le tre “di sinistra” - è stato più l’eccezione che non la regola; tant’è che solo cinque sentenze sono state deliberate in quel modo. Solo lo scorso anno erano state quattordici, il triplo.
Ben più ricorrente risulta essere stato, invece, l’isolamento dei due giudici conservatori di lungo corso, Clarence Thomas e Samuel Alito, dai quali Roberts si è spesso smarcato portandosi appresso anche il voto di alcuni dei tre presunti conservatori nominati da Trump, soprattutto quello di Brett Kavanaugh.
Thomas e Alito si sono quindi non di rado trovati marginalizzati, a fare da minoranza dissenziente.
Roberts, al contrario, ha votato con la maggioranza dei colleghi nel 95% dei casi; Kavanaugh lo ha addirittura lievemente superato, votando con la maggioranza nel 96% dei casi.
Sempre nel 95% dei casi, i due hanno votato nello stesso modo.
Ago della bilancia
“Ora sono Roberts e Kavanaugh a fare da ago della bilancia”, ha riassunto il Wall Street Journal. Sono emblematiche due recenti sentenze in materia di diritto di voto delle quali Roberts ha voluto essere anche l’estensore, cioè ne ha firmato lui stesso la motivazione.
La prima ha bocciato il tentativo dello Stato dell’Alabama, nel quale sono afroamericani più di un quarto degli elettori, di ridisegnare la mappa dei propri collegi elettorali per la Camera in modo che solo in uno dei sette collegi la maggioranza degli elettori fosse afroamericana: sentenza adottata con il voto del dinamico duo Roberts-Kavanaugh, sommato a quello delle tre colleghe di sinistra.
La seconda ha cassato la cosiddetta teoria della independent state legislature, secondo la quale la materia elettorale sarebbe appannaggio esclusivo dei parlamenti locali dei singoli 50 Stati membri, e sarebbe sottratta al vaglio dei giudici: la Corte Suprema ha rigettato questa visione, riaffermando il diritto dei cittadini di rivolgersi ai tribunali e alle Corti Supreme locali per contestare i provvedimenti che i parlamenti locali adottano in materia elettorale. In questo caso al voto di Roberts e Kavanaugh si è aggiunto quello di Amy Coney Barrett, che Trump nominò rocambolescamente al termine del proprio mandato, e della quale pure molti si erano affrettati a pronosticare un ruolo di ultraconservatrice che, alla prova dei fatti, non sta avendo.
Le altre decisioni
Un altro dato che smentisce il luogo comune della Corte Suprema “sbilanciatissima a destra” emerge dall’esame delle decisioni (numerosissime: migliaia ogni anno) che la Corte ha adottato in forma sommaria, senza dibattimento e senza motivazione: per lo più “decidendo di non decidere” un ricorso per ragioni di competenza o di legittimazione, oppure – soprattutto - decidendo se sospendere o no, in via cautelare, l’efficacia di una sentenza appellata.
La Corte ha deciso, ad esempio, di mantenere – in attesa della sentenza di merito – l’accesso all’aborto farmacologico anche dopo il superamento della sentenza Roe v. Wade; ha deciso di non sbloccare – sempre in via cautelare, in attesa della sentenza di merito – l’efficacia del divieto di accesso degli atleti transgender alle competizioni sportive in Virginia; e ancora, ha respinto la richiesta di congelare, in attesa della sentenza, le restrizioni al porto d’armi adottate nello Stato di New York. In tutti questi tre casi, i giudici Thomas e Alito si sono ritrovati isolati in netta minoranza.
Jonathan Chait sul New York Magazine si è addirittura spinto a definire Roberts come “l’ultimo politico Repubblicano”, alfiere di un conservatorismo pragmatico e sostenibile che, scongiurando il pericolo che la “supermaggioranza” di destra porti la Corte Suprema a una deriva troppo ideologica ed estremista, starebbe cercando un percorso per ricucire “lo scollamento tra gli elettori, che sono nettamente divisi in due ma con una lieve prevalenza dei Democratici, e il potere che i Repubblicani hanno accumulato attraverso la Corte Suprema, che è quasi-permanente e non vincolata da nessun altro ramo del sistema politico”.
Roberts era stato nominato nel 2005 da George W. Bush, inizialmente per sostituire Sandra Day O’Connor, prima giudice donna della Corte, che andava in pensione. Due mesi dopo, prima ancora che la nomina di Roberts avesse superato il vaglio del Senato, morì il Presidente della Corte William Rehnquist, un conservatore di ferro, e Bush a quel punto sparigliò annunciando che la candidatura di Roberts non era più alla successione della O’Connor, ma dello stesso Rehnquist. Una settimana dopo, nella prima sessione di audizione parlamentare per la conferma, Roberts fece di tutto per mettere in risalto la propria avversione per la figura del giudice “d’assalto”, del magistrato attivista politico. Dichiarò che, secondo lui, i giudici costituzionali devono avere "l’umiltà di riconoscere che operano all’interno di un sistema di precedenti", e che “non sono come i politici, che possono promettere determinate cose in cambio del voto. Sono piuttosto come degli arbitri: non creano le regole, si limitano ad applicarle”.
Il nuovo Presidente venne confermato con il voto di tutti i Senatori repubblicani, ma anche della metà esatta dei Senatori democratici. Cose che accadevano usualmente una ventina d’anni fa, anche se sembra passato un secolo.