Condividere il sole per alleggerire le bollette
Il 2024 è stato l’anno d’oro delle comunità solari negli Stati Uniti: il record potrebbe rimanere imbattuto, e non solo per colpa di Trump

Atterrando a New York, qualcuno tra i passeggeri delle centinaia di voli che arrivano ogni giorno all’aeroporto John F. Kennedy potrebbe accorgersi che non troppo lontano dalle piste si estende una vasta distesa di pannelli solari. Dall’alto sembrano dei grossi tabelloni metallici, merlati dai paraurti di migliaia di automobili e contornati da fitte linee di asfalto. Di tanto in tanto ci passano accanto lentamente un Suv o un’utilitaria, che all’improvviso si fermano e ripartono scattando, per poi sparire sotto quei giganteschi rettangoli scuri. Bastano pochi secondi per capire che si tratta di un parcheggio, per la precisione uno di quelli a lunga sosta, che garantisce ai viaggiatori fino a 3.000 posti auto coperti. A riparare i veicoli ci pensano delle tettoie composte da un numero pannelli fotovoltaici sufficienti a coprire un’area grande quasi quanto undici campi da football: un impianto autorizzato a produrre 12 megawatt di energia, affiancato da un sistema di accumulo a batteria che trattiene e conserva quella generata nei momenti di picco per rilasciarla quando il sole non c’è.
Questa immagine è il frutto di un’iniziativa annunciata e promossa quasi due anni fa dall’Autorità per l’energia dello Stato di New York e dall’Autorità portuale di New York e New Jersey. I lavori per l’installazione delle tettoie fotovoltaiche sono partiti ad aprile 2024 e a portarli avanti è la società TotalEnergies, che alla fine possiederà, gestirà e manterrà l’intero impianto. L’energia prodotta da queste pensiline è in parte destinata all’aeroporto e all’AirTrain, il treno senza conducente che collega i terminal tra loro e con diverse stazioni ferroviarie e della metropolitana. Il progetto non si fermerà ai confini del JFK e prevede anche la nascita di una comunità solare. A partire dal 2026, attraverso il programma di generazione distribuita di comunità dello Stato di New York, l’impianto dovrebbe fornire energia all’utility Con Edison e alimentare le case di migliaia di famiglie nel Queens, alleggerendo le loro bollette.
L’iniziativa non è certo l’unica a perseguire allo stesso tempo l’obiettivo di produrre energia pulita e garantirne l’accesso alle famiglie, soprattutto quelle a basso reddito. Nella città di New York esistono centinaia di progetti di autoconsumo diffuso simili a questo. Molti degli impianti fotovoltaici installati sui tetti dei centri commerciali di Brooklyn o delle Università del Bronx alimentano parecchie famiglie, imprese ed enti no profit, anche distanti tra loro. In un’area urbana così densa, dove lo spazio per installare pannelli fotovoltaici è limitato e molte persone abitano in case in affitto, l’unica soluzione per passare all’energia pulita spesso è proprio l’adesione alle comunità solari.
Come funziona? Generalmente, chi aderisce a una comunità solare negli Stati Uniti sottoscrive un abbonamento per una quota dell’energia generata da un impianto, ottenendo in cambio un credito in bolletta calcolato in base alla sua quota di partecipazione. Di solito gli sconti si aggirano tra il 5 e il 20 per cento. L’impianto di per sé può appartenere a un’utility, un’associazione o un’azienda, come nel caso delle tettoie solari dell’aeroporto, ma anche agli stessi membri della comunità solare. Può essere installato sull’edificio che alimenta, ma può essere anche situato altrove: ciò che conta è che l’energia che produce e immette in rete venga misurata, in modo da quantificare i benefici che spettano a ciascuno degli aderenti. La possibilità di partecipare a sistemi di autoconsumo virtuale, cioè a distanza, permette di beneficiare dell’energia pulita anche a chi non può installare fisicamente dei pannelli sul proprio tetto, per limiti di spazio, risorse o vincoli condominiali. In questo modo, ad esempio, un giovane che abita in un piccolo appartamento nel cuore di Manhattan può risparmiare sulla bolletta elettrica contando su un impianto che svetta sul fienile di una fattoria nella contea di Westchester. Non sarebbe raro trovarsi di fronte a casi del genere: secondo le stime del National Renewable Energy Laboratory (Nrel), oggi quasi la metà delle famiglie e delle imprese americane non ha la possibilità di installare pannelli fotovoltaici.
In quest’ottica le solar community possono rappresentare degli ottimi alleati della transizione ecologica. Se si considera poi l’opportunità di implementarle per agevolare l’accesso all’energia pulita delle famiglie a basso reddito, che di norma non possono permetterselo e spesso pagano le bollette più alte, questi progetti di autoconsumo diffuso diventano anche uno strumento utile a promuovere una transizione giusta, che non lasci indietro nessuno.
A prescindere dalla formula adottata rispetto alla proprietà degli impianti, alla loro posizione o alla ripartizione delle quote di energia, negli ultimi anni le comunità solari hanno vissuto una fase di grande diffusione negli Stati Uniti, seppur con ritmi e regole diversi sul territorio. Una frammentazione che ha portato alcuni Stati a brillare più di altri e il mercato a svilupparsi a macchia di leopardo. Gli ultimi dati disponibili evidenziano che le comunità solari sono presenti in 43 Stati e nel Distretto di Columbia, ma il 75 per cento della capacità installata si concentra solo in quattro: Florida, New York, Massachusetts e Minnesota.
Le enormi potenzialità dell’autoconsumo diffuso sono state riconosciute in molte legislazioni statali, non solo in termini di produzione di energia, riduzione delle emissioni climalteranti e abbattimento dei costi delle bollette, ma anche per la loro concreta valenza sociale. In 24 Stati sono state promosse politiche a sostegno di questi progetti e in 20 casi sono stati anche previsti specifici programmi per coinvolgere le famiglie a basso reddito, sia direttamente che tramite associazioni e enti non profit.
Secondo la Coalition for Community Solar Access (Ccsa), l’installazione di un solo gigawatt di nuova capacità fotovoltaica nell’ambito delle solar community sarebbe in grado di generare un indotto di 2,8 miliardi di dollari a livello statale, favorendo a cascata la creazione di più di 18.000 posti di lavoro. Nonostante i benefici economici, ambientali e sociali che potrebbero garantire, le prospettive future di crescita delle comunità solari non sono delle più rosee. E non c’entrano solo le politiche dell’amministrazione Trump.
Il 2024 è stato un anno d’oro per il mercato delle comunità solari, con l’installazione di 1,7 gigawatt di nuova capacità fotovoltaica, in aumento del 35 per cento rispetto al 2023. È stato un anno da record, ma ci sono alte probabilità che rimanga imbattuto.
Un rapporto pubblicato da Wood Mackenzie, in collaborazione con la Ccsa, prospettava già a inizio anno il rischio di un rallentamento delle installazioni da qui a fine decennio, stimando una contrazione media annua dell’8 per cento fino al 2029. Gli Stati che hanno adottato una legislazione dedicata alle comunità solari si sono spesso limitati a varare dei programmi pilota temporanei e hanno fissato dei tetti massimi alle quantità di energia da destinare all’autoconsumo diffuso o alle dimensioni dei singoli impianti. Oggi i mercati statali più maturi, che finora hanno trainato lo sviluppo del settore a livello nazionale, sono quasi saturi e non saranno in grado di sostenere gli stessi livelli di crescita a lungo termine. Dall’altro lato, invece, i mercati emergenti faticano a ingranare e i tetti massimi previsti per le dimensioni dei progetti ne limitano l’espansione, impedendo loro di compensare il calo dei mercati più grandi. A queste circostanze si affianca l’estrema incertezza generata dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Nei primi sei mesi del 2025 le installazioni sono diminuite del 36 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024. All’inizio dell’estate è arrivata la One Big Beautiful Bill e per Wood Mackenzie gli scenari di mercato a lungo termine sono peggiorati. A settembre, i suoi analisti hanno aggiornato le previsioni di inizio anno, dichiarando che la capacità installata a livello nazionale potrebbe subire una contrazione media del 12 per cento annuo entro il 2030.
Oggi, in totale, la capacità installata ammonta a 9,1 gigawatt e si prevede che supererà di poco i 16 entro il 2030. Se tutti gli Stati adottassero un quadro normativo stabile e favorevole all’espansione del mercato, questo valore potrebbe aumentare, nonostante il taglio degli incentivi federali e la generale ostilità dell’amministrazione Trump nei confronti delle rinnovabili. In caso contrario, il potenziale delle comunità solari potrebbe rimanere in parte inespresso e molte famiglie a basso e medio reddito perderanno un utile alleato contro il caro bollette.


