Come la manosphere è entrata nelle stanze del potere americano
Dalla trasformazione di Zuckerberg alla Casa Bianca del secondo Trump: una frangia di pensiero dalle sfumature misogine e sessiste che ha raggiunto il mainstream
Il mese scorso Mark Zuckerberg è stato ospite al podcast di Joe Rogan, dove ha detto una cosa: la cultura aziendale americana deve recuperare la sua virilità. “Il mondo delle aziende è piuttosto castrato culturalmente”, ha affermato l’amministratore delegato di Meta. “Una cultura che celebri un po' di più l’aggressività ha i suoi meriti”. “L’energia maschile, a mio avviso, è positiva”, ha concluso. Più o meno nello stesso periodo, Elon Musk, il CEO di Tesla, ha condiviso un post in cui diceva che solo i “maschi di alto livello” dovrebbero guidare il Paese. Nel frattempo, la Casa Bianca ha eliminato le politiche per la diversità, l’equità e l’inclusione e lo stesso hanno fatto diverse aziende, da Target a McDonald’s.
Si tratta di affermazioni forti, soprattutto quelle di Zuckerberg che, per anni, è stato considerato un modello di inclusione a livello aziendale. Zuckerberg aveva infatti affidato a Sheryl Sandberg, la principale sostenitrice del femminismo aziendale, il potere di gestire le operazioni quotidiane della sua azienda. Questo cambio di rotta sembra sorprendente, ma è da molto tempo che la corrente maschilista nella cultura e nella politica americana è cresciuta, in gran parte negli spazi digitali al di fuori dei media tradizionali e dell’intrattenimento. Ora è arrivata anche nel mainstream. Si tratta della manosphere, o uomosfera, un insieme di spazi online, blog e podcast all’interno dei quali si sviluppano diversi gruppi che promuovono la mascolinità, la misoginia e l’opposizione al femminismo. All’interno di questo ecosistema troviamo gli involontariamente celibi o incel, i men’s rights activists (MRAs), gli attivisti per i diritti degli uomini, i Men Going Their Own Way (MGTOW) e gli artisti del rimorchio, i pick-up artists (PUA). È un mondo variegato, ma il minimo comun denominatore è sempre uno: le relazioni tra uomini e donne sono strettamente transazionali e le donne sfruttano gli uomini per il proprio tornaconto personale. Li sfruttano perché sono le donne a scegliere con chi avere rapporti sessuali, sono le donne che hanno sempre la custodia dei figli in caso di separazione e sono sempre le donne ad avere, alla fine, più diritti. Almeno secondo chi frequenta questi ambienti.
E se prima questo poteva essere un fenomeno legato all’online, l’elezione di Donald Trump ci ha dimostrato come non sia né di nicchia né isolato. Ed è proprio il modo in cui internet è cambiato ad aver aiutate la manosphere a raggiungere prima il mainstream e poi le stanze del potere. Le piattaforme online hanno rimodellato radicalmente le dinamiche di potere nella sfera pubblica. I luoghi digitali hanno abbassato in modo significativo le barriere alla partecipazione ai dibattiti pubblici, consentendo agli individui di aggirare quelli che sono sempre stati dei limiti esterni, come il controllo delle notizie da parte dei media tradizionali. Gli utenti adesso possono diffondere liberamente contenuti politici online, spesso in forma anonima e con un impatto minimo da parte delle politiche di moderazione dei contenuti tipicamente lassiste delle piattaforme. Questa possibilità ha contribuito a creare opportunità per gruppi che si percepiscono come politicamente emarginati dalle piattaforme mediatiche tradizionali, ma che possiedono le risorse e le capacità per far sentire la propria voce. Una voce sempre più arrabbiata, che non si sente considerata. Anzi, arriva a sentirsi addirittura in pericolo perché è messo in pericolo quello che considera l’ordine naturale delle cose. Le donne sono troppo indipendenti e si sottraggono a quello che in realtà sarebbe il loro dovere: prendersi cura della casa e del marito e mettere al mondo dei figli. Una prospettiva profondamente anacronistica, che arriva a negare la discriminazione di genere sostenendo che, invece, siano proprio gli uomini a essere discriminati.
Gli attacchi misogini fanno parte del panorama dei social media da anni. Tuttavia, come ha sottolineato il think-tank Frances-Wright, il linguaggio che glorifica la violenza contro le donne o celebra la possibilità che i loro diritti vengano cancellati è aumentato dopo le elezioni. I commenti che invitano le donne a “tornare in cucina” o ad “abrogare il diciannovesimo emendamento”, che ha concesso loro il diritto di voto, sono sempre più frequenti. Nei giorni che hanno preceduto le elezioni, i primi dieci post su X che chiedevano l’abrogazione del diciannovesimo emendamento hanno ricevuto un totale di oltre 4 milioni di visualizzazioni. Nessuna di queste affermazioni online è stata direttamente amplificata da Donald Trump o da qualcuno della sua cerchia. Ma Trump ha una lunga storia di attacchi misogini, soprattutto durante la campagna contro la candidata democratica Kamala Harris. Finalmente, la sua seconda vittoria permette a chi fa parte della manospehere di sentirsi capito e rappresentato: adesso un loro alleato ha finalmente il controllo sulla politica americana. E le aziende, sono pronte ad allinearsi, come anni prima avevano fatto con le politiche per l’inclusione. Adesso, come ha sottolineato Zuckerberg, è il momento dell’energia maschile.