Che succede nell’industria dei videogiochi americana? Arrivano tagli e licenziamenti
Il 2023 è stato uno dei migliori anni per i giocatori, ma uno dei peggiori per chi i giochi li crea. Drastici cambiamenti sconvolgono le aziende, ma si tratta di un riassestamento o una vera crisi?
Nel nostro paese, quando si parla delle novità nell’industria dell’intrattenimento, i temi trattati sono sempre quelli legati ai prodotti più classici: a farla da padrone sono film, serie tv, show e musica, con le loro sezioni dedicate su giornali, telegiornali e siti web. Eppure, ormai da decenni anche altri media si sono inseriti nelle nostre abitudini, raggiungendo non solo un grande pubblico, ma anche una qualità che non ha nulla da invidiare ai prodotti più tradizionali. Tra questi, l’industria videoludica è sicuramente il “nuovo” settore che più è cresciuto negli anni, con costi e ricavi tranquillamente paragonabili a quelli di Hollywood.
L’anno scorso, negli Stati Uniti, l’indotto economico dell’industria ha superato i 101 miliardi di dollari, supportando direttamente e indirettamente più di 350.000 posti di lavoro.1 Capolavori come Grand Theft Auto V, sviluppato dall’azienda americana Rockstar Games, si sono dimostrati capaci di superare i successi del cinema, generando, a più di dieci anni dall’uscita, un incasso di 9 miliardi di dollari a fronte di un budget di 265 milioni.2 Per fare un confronto, gli incassi di film come Via col Vento o Avatar, adeguati all’inflazione, si fermano a circa 4,2 e 3,8 miliardi ciascuno.3 Un settore enorme, quindi, che in Italia viene ancora oggi seguito soprattutto dagli specialisti e dagli appassionati, ma che negli Stati Uniti, in particolare dalla pandemia, riceve sempre più le attenzioni di giornali e media tradizionali.4 La loro attenzione, però, non si sofferma solo sulle nuove uscite, ma anche sui cambiamenti e i problemi che l’industria sta affrontando.
L’ultima di queste novità, che tiene banco da diversi mesi, è una serie di tagli e licenziamenti come non se ne vedevano da anni. Alcune stime contano circa 8.500 posti di lavoro persi nel 2022, 10.500 nel 2023 e già altri 8.800 per i primi mesi del 2024. Questi layoff coinvolgono tutta l’industria, ma, per via del ruolo degli Stati Uniti come primo mercato mondiale, il paese ne risulta colpito più di altri. Nella lista dei licenziamenti, compaiono aziende di ogni tipo: dai grossi publisher come Microsoft o Electronic Arts, ai team indipendenti, come Telltale, ma anche società che si occupano di mobile games, streaming o di motori grafici (per esempio Unity).5
Per chi conoscesse poco il settore, questa situazione potrebbe non sembrare grave. D’altronde, è facile immaginare come l’industria dei videogiochi, fatta di cicli di sviluppo che si susseguono, non fornisca posti di lavoro molto stabili: spesso si viene assunti per un progetto, vi si lavora finché non viene portato a termine (o cancellato), per poi essere lasciati a casa a qualche mese di distanza dalla pubblicazione. Questa volta, però, a causa del gran numero di licenziamenti e del minor numero di assunzioni, risulta difficile sconfiggere la concorrenza dei propri colleghi. Molti lavoratori sembrano quindi costretti a cambiare carriera, trasferirsi o, viceversa, a non poter lasciare il proprio posto di lavoro per la paura di non trovarne uno nuovo. Ma quali sono le cause di questo fenomeno? Per comprenderle, bisogna tornare indietro di qualche anno.
Siamo nel 2019: l’industria si avvicina alla fine del ciclo di Xbox One e Playstation 4, le vendite stanno un po’ calando, ma nel complesso il settore è in crescita, anche grazie al contributo del settore mobile. Alcuni tagli da parte di Activision Blizzard e di Electronic Arts destano preoccupazione, ma niente di paragonabile alla crisi odierna.6 Anzi, molti investitori si inseriscono, mentre aziende, già presenti, si espandono: Microsoft, per esempio, già nel 2018 aveva annunciato l’acquisizione di sei studi di sviluppo, tra i quali nomi storici come Obsidian e inXile Entertainment.7 Il 2020 si preannuncia un anno storico, con l’attesa uscita della Playstation 5 e della Xbox Serie X. Effettivamente lo sarà, ma per una ragione che nessuno può aspettarsi.
L’arrivo della pandemia sconvolge i piani di tutte le software house. Da un lato, le persone, chiuse in casa, hanno molto più tempo libero, e lo vogliono spendere distraendosi da quel che sta succedendo fuori, magari in compagnia degli amici online. Dall’altro, gli studi di sviluppo, costretti improvvisamente allo smartworking, devono affrontare le stesse difficoltà del resto dell’industria dell’intrattenimento, con costanti ritardi e rinvii di giochi e prodotti. I giochi già disponibili o in dirittura d’arrivo, però, fanno vendite enormi, soprattutto quelli multiplayer: pensate a casi come Animal Crossing: New Horizons, Roblox o Minecraft, che permettono alle persone di giocare e tenersi in contatto a distanza. Anche le console e i PC aumentano le vendite a dismisura, in certi casi di più del 50% rispetto a quelle pre-Covid.8
Di fronte a questa crescita, gran parte dell’industria videoludica si convince di stare assistendo a un vero cambiamento culturale, i cui effetti sarebbero destinati a restare anche dopo la fine della pandemia. Con questa speranza e il denaro portato dalle vendite, tutte le aziende si mettono a fare grandi investimenti, ampliando gli studi, comprandone di nuovi (con casi estremi, come l’acquisto di Activision Blizzard da parte di Microsoft per quasi 70 miliardi di dollari) e commissionando nuovi giochi. È una scommessa ambiziosa, che nasconde però grossi rischi.
La fine della pandemia presenta presto il conto. Nel 2022, la rapida crescita dell’inflazione, provocata dall’impatto sull’economia della politica “zero Covid” cinese e dall’invasione russa dell’Ucraina, fa aumentare i costi di produzione dei giochi e diminuire gli acquisti da parte dei consumatori. Inoltre, l’uscita in contemporanea dei tanti giochi che erano stati rimandati o commissionati durante il Covid scatena un’enorme concorrenza sul mercato videoludico: a questa si aggiunge quella degli altri media di intrattenimento e, soprattutto, della vita reale delle persone, le quali dopo i lockdown spesso abbandonano le nuove abitudini che avevano acquisito. Le conseguenze di questi fenomeni si ripercuotono velocemente sull’industria. Gli investimenti rallentano, sia da parte degli investitori esterni, che dei publisher, i quali devono cancellare anche una parte dei giochi previsti per gli anni successivi. Insieme ai giochi, vengono chiusi, accorpati o venduti molti degli studi di sviluppo e delle aziende che se ne occupavano.9
Così arriviamo alla situazione che descrivevamo all’inizio: nell’arco di due anni, migliaia di dipendenti sono stati lasciati a casa, in un processo che non sembra essere ancora finito. Una delle risposte per affrontare la crisi è la creazione di nuovi sindacati, in un settore dove tradizionalmente non sono presenti.10 Allo stesso modo, sembra esserci una rinnovata solidarietà tra colleghi, anche in una situazione di grande concorrenza come quella attuale.11 La speranza, in ogni caso, è che questa situazione sia destinata a stabilizzarsi presto. Nonostante la crisi, i videogiochi sono presenti più che mai nella cultura pop, anche grazie alle continue uscite di film e serie tv di successo come Super Mario Bros. - Il film o Fallout. Nel 2023, i videogiocatori si sono potuti godere capolavori come Baldur’s Gate 3, The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom e Spider-Man 2, mentre per il 2025 tutti sono in attesa di Grand Theft Auto VI. Ci vorrà ancora un po’ di tempo per tornare a una nuova normalità, e certamente alcuni cambiamenti resteranno, ma non è ancora il momento per la fine del mondo dei videogiochi.