#3 Brainstorm – La Corte Suprema secondo Biden
Il Presidente Biden ha presentato la sua proposta di riforma della Corte Suprema. Le opinioni di Emanuele Monaco, Laura Gaspari, Giacomo Stiffan e Antonio Junior Luchini
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson – Lettere sull’America che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
La scorsa settimana Joe Biden ha presentato la sua proposta di riforma della Corte Suprema. Si tratta di un argomento sul quale ci confrontiamo da molto tempo in redazione, tanto che solo un anno fa ci avevamo dedicato un Carteggio.
Spesso la stampa generalista italiana parla delle sentenze della SCOTUS, come ad esempio quella che ha eliminato la tutela federale al diritto di abortire. Tuttavia, di rado evidenzia i problemi che stanno a monte e le loro ricadute, in particolare sulle elezioni in corso. Per questo motivo abbiamo deciso di dedicare questo episodio di Brainstorm alla proposta di Biden e a ciò che essa comporta.
A seguire, i punti di vista di Emanuele Monaco, Laura Gaspari, Giacomo Stiffan e Antonio Junior Luchini.
«Le proposte non vedranno la luce del sole in tempi brevi»
di Emanuele Monaco
Meglio tardi che mai. Dopo quasi tre anni dalla pubblicazione delle raccomandazioni della commissione presidenziale, Joe Biden ha fatto sue tre proposte per riformare la Corte Suprema, presentate in un pezzo di opinione sul Washington Post. Al di là della loro bontà, propongo tre considerazioni.
1) Le proposte non vedranno la luce del sole in tempi brevi. Questa è la più ovvia. Due delle riforme suggerite, fissare un limite al mandato dei giudici (18 anni) e limitare l’immunità presidenziale, richiedono un emendamento costituzionale. Come Jill Lepore di Harvard ha scritto tempo fa, emendare la costituzione è «un’arte perduta». Ogni emendamento richiede una supermaggioranza di due terzi delle camere e un processo di ratifica da parte di almeno tre quarti dei singoli Stati. Buona fortuna. Se non consideriamo il 27° emendamento (della cui storia, 202 anni di attesa per la ratifica, consiglio la lettura), è dal 1971 che non viene modificata la carta fondamentale della democrazia americana. La polarizzazione politica degli ultimi 50 anni, la rabbiosa lotta sull’Equal Rights Amendment negli anni Settanta e la progressiva perdita di fiducia nel processo dell’articolo V ha fatto sì che la Costituzione rimanga immodificabile.
2) In ogni caso, è un bene che il Presidente abbia reso pubbliche le sue intenzioni di riforma. Politicizzare un simile cambiamento del funzionamento della Corte Suprema aggiungerà temi reali alla campagna elettorale su cui discutere, dibattere, litigare. Sono tra l’altro proposte molto popolari anche tra gli elettori di Trump, ed è giusto che siano parte del discorso pubblico. Dopotutto la Corte, con le sue decisioni, i suoi piccoli scandali, i suoi nuovi componenti, è stata la protagonista dell’attualità politica americana ormai per quasi un decennio: gli elettori hanno il diritto di far sentire la loro voce in merito a un’istituzione diventata così importante per il processo legislativo.
3) La terza considerazione parte proprio da quest’ultimo punto. Nel momento in cui la Costituzione è diventata immodificabile, si è aperta la porta all’enorme potere che la Corte ha attualmente, unica istituzione capace di re-interpretarne il testo. Il fatto che Biden sia partito proprio da recenti sentenze come motivo di urgenza per la riforma testimonia ormai la resa della politica di fronte a un potere legislativo che i padri fondatori non avevano mai immaginato per i Supremes. Ma questa è un’altra storia.
«Questa SCOTUS ha dei rate di impopolarità alti»
di Laura Gaspari
Joe Biden si è tolto un fastidiosissimo sassolino dalla scarpa. La SCOTUS ultimamente è una grossa spina nel fianco, non solo per lui ma anche per la democrazia degli Stati Uniti in generale. Da Roe v. Wade – ma non solo – la SCOTUS a trazione GOP è sempre più impopolare, e giustamente oserei dire. Mi dispiace per le tre giudici Dem, Jackson, Sotomayor e Kagan, che a volte si trovano a combattere contro dei letterali mulini a vento.
Tuttavia, mi ha sempre lasciata perplessa come siano provabili gli agganci di alcuni dei justices, come Alito e Thomas, con figure di dubbia moralità tramite viaggi, vacanze e regali (o bandiere in giardino) e non si possa fare davvero qualcosa; impuniti, questi continuano a rilasciare sentenze e pareri sgraditi, alcuni da far accapponare la pelle. Joe Biden, a una settimana dal ritiro della corsa per la nomina Dem, non ci sta e riprende proprio una delle ultime sentenze, quella sull’immunità presidenziale, per ribadire con forza che nessuno è sopra la legge. Neanche il Presidente, neanche la SCOTUS. Una SCOTUS che secondo lui va riformata. Il parere di riforma di Joe Biden di non è solo suo personale: questa SCOTUS ha dei rate di impopolarità alti, con Gallup che al 1 luglio 2024 registrava un disapproval al 52 per cento.
Potremmo aprire dibattiti su dibattiti su quanto le proposte siano irrealizzabili nel breve periodo e su come una riforma costituzionale sia una strada estremamente tortuosa. Di questa SCOTUS, però, bisogna parlare e discutere. Joe Biden ha deciso di mettere le basi per una strada che la sua vice e neonominata candidata per i Dem Kamala Harris deve seguire e su cui deve basare uno dei pilastri della sua campagna elettorale. Lei poi, che è stata attorney general, la legge la conosce molto bene, mentre il suo avversario decisamente meno. La democrazia americana è in bilico su un filo di lana e forse quello di Biden è un long shot: qualcuno però quella freccia doveva lanciarla e, a parer mio, chi meglio di un Presidente uscente che non ha davvero più nulla da perdere?
«In tutto questo, Harris si trova in una posizione ideale»
di Giacomo Stiffan
Siamo ormai in piena campagna elettorale ed è fondamentale per entrambi gli schieramenti avere a disposizione numerose frecce di scorta per il proprio arco. Se sotto questo aspetto Trump sembra essere a corto di munizioni, dal lato dei Democratici la faretra della comunicazione politica è bella piena, come abbiamo evidenziato nell’ultima puntata del podcast di Jefferson, Magic Minute. Tuttavia, ogni dardo ha le sue caratteristiche: alcuni hanno target specifici, altri hanno maggiore o minore capacità di penetrare il bersaglio. Altri ancora hanno un bel candelotto di dinamite attaccato al fusto, come in questo caso.
Abbiamo visto quanta sporcizia ci sia dietro alcuni giudici supremi Repubblicani. Nonostante questo sia evidente a tutti, sono intoccabili: si tratta di un sistema che evidentemente non funziona e scontenta la maggioranza degli americani. Aggiungiamo un tassello: questa è la stessa Corte che ha garantito l’immunità al Presidente. Si tratta di un’aberrazione del sistema democratico americano dal potenziale devastante. Immaginiamo cosa significherebbe avere Trump alla Casa Bianca e questa SCOTUS completamente sotto il suo controllo: in due parole, «illimitato potere», per usare una citazione cinematografica.
Questa argomentazione ha una grande potenza, che Biden aveva finora poco usato, conscio che essere candidati e al contempo cercare di cambiare le regole in corsa avrebbe potuto generare un ritorno di fiamma. Tuttavia, adesso è libero di poter agire senza dover guardare troppo ai sondaggi. In tutto questo, Harris si trova in una posizione ideale: da una parte è dentro l’amministrazione e può far sua in maniera indiretta questa battaglia, agli occhi dei sostenitori; dall’altra, non è lei che la sta portando avanti, cosa che disabilita le eventuali contro-argomentazioni repubblicane sulla sua persona.
Mi permetto una facile previsione: «No one is above the law» è un claim che sentiremo e leggeremo molto spesso, da qui in avanti.
«L’unico modo per cambiare la rotta della SCOTUS è vincere»
di Antonio Junior Luchini
Le proposte di Biden sono di buonsenso, necessarie al corretto funzionamento del massimo organo giudiziario di una grande democrazia. Non passeranno mai, per via del complesso quanto arduo meccanismo di emendamento della Costituzione, per via della graduale estinzione della bipartisanship e per via del sempiterno ostacolo posto dalla filibuster in Senato.
Emendare la Costituzione è difficile: servirebbero due terzi di entrambe le camere del Congresso o quattro quinti di una convention di tutti gli Stati, una mobilitazione irrealistica in quest’epoca. La proposta bideniana di aggiungere una clausola contro l’immunità giudiziaria degli ex Presidenti rimarrebbe lettera morta, insieme alla proposta di sottoporre il mandato dei justices della Corte Suprema a un limite temporale. L’interpretazione attuale della Corte Suprema è che «la buona costituzione del giudice» di cui parla il suo atto fondativo implichi che un justice possa rimanere al suo posto fino al decesso.
Questione diversa per quanto riguarda la proposta del Presidente di introdurre un codice di condotta per i justices, che proibisca loro di esprimere preferenze politiche in pubblico e di ricevere “regali” da figure esterne al sistema giudiziario. Questo codice potrebbe essere adottato con un semplice atto legislativo del Congresso, ma riscontrerebbe presto dei limiti: alcuni justices conservatori come Alito ritengono una proposta del genere incostituzionale, e in ogni caso abolire i regali privati non fermerebbe comunque un estremista come Thomas dall’esprimere pareri giuridici drastici.
L’unico modo per cambiare la rotta della SCOTUS è vincere. Vincere contro Trump. Vincere al Congresso. Sperare nel naturale ricambio dei giudici della Corte. Può sembrare una strategia disperata, ma le decisioni estreme dell’attuale SCOTUS sono disprezzate da una maggioranza di americani, a partire dalla decisione antiabortista Dobbs che ha decretato la sconfitta repubblicana alle midterms del 2022 e che genera rogne notevoli per Trump ora e per tutti i candidati repubblicani al Congresso.