#18 Brainstorm – L’arrivo dei dazi
L’impatto dei nuovi dazi nelle opinioni di Giacomo Stiffan, Emanuele Monaco e Niccolò Martelli
Perché guardare gli Stati Uniti dal buco della serratura? Quando serve una chiave di lettura la trovi su Brainstorm, la rubrica di Jefferson che raccoglie le opinioni della redazione sui fatti americani. A cura del vicedirettore Giacomo Stiffan.
Alla fine, i dazi di Trump sono arrivati. Presentati in pompa magna dal Presidente in persona, le nuove tariffe sono elevatissime. Ce n’è un po’ per tutti, con circa una settantina di Paesi colpiti, chi più e chi meno, come si evince dalle tabelle presentate alla stampa nelle quali appaiono i “dazi” che i Paesi esteri applicherebbero contro gli Stati Uniti e, a fianco, la magnanima risposta americana.
Ce ne parlano Giacomo Stiffan, Emanuele Monaco e Niccolò Martelli.
«La colpa più grande di Trump è essere un generatore d’incertezza, e l’economia odia l’incertezza»
di Giacomo Stiffan
Per riassumere i nuovi dazi con una massima popolare (ed edulcorata), Trump è il marito che si taglia gli attributi per fare un torto alla moglie. Convinto di dare un gancio a ogni furbacchione che si “approfitta” degli Stati Uniti, non si rende conto che dare un pugno a settanta facce significa ricevere settanta pugni sulla propria. Sarebbe tutto qui, se il problema si fermasse agli ovvi dazi ritorsivi degli altri Paesi che arriveranno a stretto giro, con la Cina che sta già facendo da apripista. Tuttavia, temo che la realtà sarà peggiore.
Al di là dell’effetto inflattivo dei dazi, di cui abbiamo già abbondantemente parlato qui su Jefferson in tempi non sospetti, nel momento in cui vengono innalzate barriere economiche iperboliche sia da una parte che dall’altra non si va solo a distruggere i mercati dove vendono le imprese, ma anche le catene di fornitura che permettono loro di produrre. Se tra un anno i dazi sparissero, sarebbe relativamente semplice tornare a vendere negli USA per noi e fuori dagli USA per le aziende americane. Certo, magari ci sarebbe da rimettere in piedi una rete commerciale sfilacciata, ma sarebbe fattibile.
Tuttavia, non è scontato un ritorno ai fornitori precedenti. Le supply chain non sono solo una questione di prezzo, ma anche di stabilità: chi si fiderebbe più a far dipendere la propria capacità produttiva da aziende che possono vedere i loro prezzi aumentare con percentuale a doppia cifra dall’oggi al domani? Come sostengo da tempo, la colpa più grande di Trump è infatti essere un generatore d’incertezza, e l’economia odia l’incertezza. I mercati lo stanno punendo per questo, a livelli che non si vedevano dalla pandemia. Forse è l'ennesima espressione della sua tattica escalate to de-escalate, e in breve tempo si siederà al tavolo per negoziare migliori condizioni nella convinzione che la crisi sarà breve e la ripresa successiva più robusta. Spoiler: quasi certamente non andrà così. La fiducia degli alleati nei suoi confronti se l’è bruciata, probabilmente per sempre.
Alla fine, il danno più grande Trump lo farà agli Stati Uniti: chi avrebbe pensato solo un anno fa che la Cina sarebbe stata l’adulto nella stanza? Eppure, ci troviamo in questa realtà; non è certo la statura di Pechino che è aumentata, quanto quella di Washington che è crollata.
C’è poi un altro elemento che vorrei sottolineare. Trump ha presentato i suoi come retaliatory tariffs, ovvero dazi di ritorsione a fronte di barriere economiche che sarebbero già poste in essere da altri Paesi contro gli Stati Uniti, presentandoli su due tabelle, in percentuale. “Dazi” a cui lui starebbe rispondendo in maniera addirittura pacata. Ecco, mi stupisco di come viene raccontata la cosa da buona parte dei commentatori. La questione non è tanto il “come” la Casa Bianca abbia calcolato questi “dazi”. Quello che si deve dire in maniera cristallina è che quelli che Trump chiama dazi contro gli Stati Uniti non sono dazi, quantomeno, non lo sono in larghissima parte. È una balla colossale. Se – come tanti stanno facendo – ci affanniamo a decifrare com’è arrivato a quei numeri strampalati, finiamo per mettere in secondo piano il fatto che si tratta di una premessa falsa, facendo quindi il suo gioco: sta mentendo agli americani e al mondo, va detto chiaramente.
«I dazi di per sé non sono un problema, sono un mezzo tra i tanti. Ma cosa succede se diventano essi stessi il fine, senza che venga annunciato un orizzonte di politica commerciale?»
di Emanuele Monaco
Se in queste settimane un individuo proveniente da un altro pianeta, ma con la nostra stessa comprensione dei processi economici, arrivasse a New York e leggesse i fondamentali dell’economia americana, vedrebbe dei segnali contrastanti. Crescita economica stabile, alta occupazione, inflazione relativamente sotto controllo, tassi su una traiettoria discendente. Dall’altra parte però, leggendo il Wall Street Journal, vedrebbe borse in calo, alte aspettative di recessione e la fiducia dei consumatori al livello più basso dal 2020.
Cosa sta succedendo? Ebbene, il governo americano ha deciso di introdurre il più grande aumento delle tasse di sempre in tempo di pace, addirittura vantandosene, dicendo che produrrà entrate per 6 trilioni in un decennio. A quanto sembra, la logica dietro l’effetto dei dazi (se li usi per restringere le importazioni ma vedi aumentare le entrate evidentemente non stanno funzionando, no?) sfugge allo staff di comunicazione della Casa Bianca. Trump lo ha fatto in modo confuso, senza reali motivazioni, al di fuori delle regole del WTO, seguendo logiche astruse.
I dazi di per sé ovviamente non sono un problema, sono un mezzo tra i tanti. Ma cosa succede se diventano essi stessi il fine, senza che venga annunciato un orizzonte di politica commerciale? Succede che arrivano caos e una stupida guerra commerciale globale senza senso. Il fine della mossa è infatti lasciato alla fantasia dei commentatori.
“Stiamo parlando di Trump, è solo una trovata negoziale, magari inusuale, per abbassare le barriere non daziarie dei Paesi alleati”; “No, è una cosa permanente, le persone che gli stanno intorno hanno deciso di ristrutturare il funzionamento del commercio globale”; “Rientrerà tutto appena i membri repubblicani del Congresso cominceranno a temere per il proprio lavoro a causa dei prezzi”; “Visto che a livello di politica estera siamo tornati agli anni Trenta, perché non riportare indietro le lancette anche per la politica commerciale?”.
La mia opinione? Niente grand strategy, semplicemente qualcuno (dopo aver “letto”, di fretta guardando le foto, un libro su McKinley) deve aver convinto Trump da qualche tempo che i dazi sono un ottimo modo da una parte per incrementare le entrate senza doverli chiamare tasse e senza passare per il Congresso, dall’altra per estorcere condizioni migliori da altri Paesi. Succede quando la Casa Bianca diventa una mera cassa di risonanza. Intanto, nel mondo reale, di fronte al caos di fini e mezzi, su cosa investirebbe (o non) l’alieno, sempre che sia riuscito a passare i controlli al confine senza finire a El Salvador? Io un’idea ce l’avrei.
«La grande nazione assente in questa lista? La Russia di Putin»
di Niccolò Martelli
Chiunque avesse sperato in qualcosa di diverso dal caos e dalla confusione mondiale per un secondo mandato di Trump, dopo poco più di due mesi probabilmente ha già cambiato idea ed è tornato sul binario della follia. Chiunque abbia un portafoglio di investimenti in questo momento starà agendo in diversi modi: cercare di limitare le perdite, se si lavora nel trading o se si investe in un’ottica di breve termine; disinteressarsi di cambiare strategia di investimento e continuare imperterriti in un’ottica di medio-lungo periodo; approfittare di “sconti” veri e propri su azioni, ETF e simili che fino a pochissimo tempo fa costavano anche il 20 per cento in più.
Nella giornata di ieri, in mezzo allo sgomento generale, Trump ha annunciato la sua politica di dazi reciproci con praticamente tutti gli Stati del mondo. Il 20 per cento all’UE, il 34 per cento alla Cina, il 31 per cento alla Svizzera e così via. La grande nazione assente in questa lista? La Russia di Putin. Lascio a voi i commenti, io me li tengo stretti come gli investimenti che ho scelto di fare negli ultimi anni. Sarà però necessario attendere la risposta europea per capire meglio come muoversi. Si parla molto di contrarietà alla misura commerciale della Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e di molti esponenti del suo governo. La Cina, la cui Borsa ha da poco chiuso registrando una minima variazione negativa, ha dichiarato di voler adottare delle contromisure.
Non sappiamo quello che avverrà ma sappiamo quello che non avverrà, e cioè che Trump farà passare sogni tranquilli alle economie e alle aziende non statunitensi.
P.S.: Se volete seguire da vicino cosa faranno e come si muoveranno Trump, la Borsa statunitense e le aziende statunitensi, dalla prossima settimana seguite la nostra nuova rubrica Moneyland. Vi racconteremo in modo approfondito e comprensibile come si sta muovendo l’economia del primo Paese al mondo sotto la guida di Donald Trump.