Zohran Mamdani, la rivoluzione a 33 anni: il socialismo fa breccia a NY
Zohran Mamdani ha sconfitto Andrew Cuomo alle primarie Dem per il sindaco di New York. È il trionfo (temporaneo?) del socialismo, tra campagne virali, case popolari e classe media radicalizzata
Zohran Mamdani ha vinto e a New York ha trionfato il socialismo. Per ora. Da qualche giorno tutti parlano della nuova star della sinistra americana, il 33enne deputato statale socialista che ha battuto Andrew Cuomo alle primarie democratiche per la candidatura a sindaco della Grande Mela. Una vittoria partita da lontano, con sondaggi bassissimi, ottenuta superando l’ex governatore dello Stato di New York, meglio piazzato in termini di capitale politico, con endorsement di peso come quello di Bill Clinton, e capitale finanziario con l’appoggio di grandi finanziatori. Tanto è stato lo stupore per la vittoria di Mamdani, perché giovane e inesperto, perché apertamente socialista e perché musulmano. Ma anche perché solo a febbraio i sondaggi lo davano intorno all’1 per cento delle preferenze, mentre Cuomo era in testa con circa il 33 per cento. La vittoria di Mamdani è il punto di caduta di un processo partito da lontano, di una radicalizzazione e allo stesso tempo de-diabolizzazione del concetto di socialista. Quasi la conferma che, in fondo, nel lontano 2011 il popolo di Occupy Wall Street aveva ragione.
Il terremoto politico nella città simbolo della ricchezza, sede della finanza mondiale, diventa così la cartina di tornasole dell’attuale stato della politica americana, di quanto sia diviso il Paese e di quale sia lo stato di salute del Partito Democratico a oltre sei mesi dalla sconfitta elettorale che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca.
Il messaggio agli elettori
Per capire il ribaltamento politico impresso da Mamdani e soprattutto le sue conseguenze, bisogna guardare al suo messaggio e a come è stata costruita la sua campagna elettorale. Hank Sheinkopf, consulente politico sentito dal Wall Street Journal, ha sintetizzato benissimo il momento: «Mamdani era fresco, mentre tutti gli altri candidati sono apparsi stanchi». Questa “freschezza” è composta da tre elementi intrecciati tra loro: il programma, lo stile comunicativo e la macchina elettorale.
La proposta socialista di Mamdani, che ricalca in parte quella degli altri socialisti illustri che lo hanno appoggiato, Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, è soprattutto un manifesto economico, meno legato ai temi delle guerre culturali. Si tratta di aumenti delle tasse per i più ricchi, di un piano da 70 milioni di dollari per la costruzione di alloggi, del congelamento degli affitti esistenti e della stabilizzazione dei canoni, in aggiunta a una proposta di creare dei negozi gestiti dal comune per permettere l’accesso a beni di prima necessità a prezzi calmierati, a cui si aggiunge la proposta di rendere gratuiti alcuni trasporti pubblici della città.
In una città in cui le disuguaglianze sono profonde, il programma ha fatto breccia. Come già dimostrato alle presidenziali del 2024, il tema di salari e costo della vita rimane un elemento primario nell’orientamento degli elettori, cosa che a un pezzo del Partito Democratico sembra essere sfuggito.
Questo pacchetto socialista è stato poi veicolato sia con un uso arrembante dei social, come già visto con Ocasio-Cortez, sia con un approccio allegro alla campagna elettorale. Parlava di affitti da calmierare in modo “virale”, ma soprattutto lo faceva interagendo con gli elettori secondo lo schema kitchen-table focus, che di solito piace molto agli americani: sedersi al tavolo della cucina e parlare di aspetti economici pratici che interessano l’elettore nel quotidiano. A un certo punto, il sorriso di Mamdani era ovunque e faceva da contraltare a quello severo e a tratti eccessivamente legato all’aspetto “legge e ordine” di Cuomo, che invece di parlare di costo della vita spingeva sulla necessità di mettere in sicurezza la metropolitana con più polizia.
Questi aspetti hanno poi avuto applicazione nelle campagne porta a porta per la città. Camille Rivera, strategist Dem che ha aiutato la campagna, ha detto che Mamdani ha mobilitato oltre 50mila volontari, alcuni anche alla primissima esperienza, che nei mesi di campagna sono arrivati a bussare a oltre un milione e mezzo di porte, moltissime in quartieri che solitamente sono esclusi dalle campagne elettorali. Un fenomeno che si è poi legato anche alla raccolta fondi. Il comitato elettorale di Mamdani ha più volte detto che i fondi sono arrivati in gran parte da piccoli donatori, in netto contrasto con i super-Pac che hanno dato a Cuomo un portafoglio di oltre 25 milioni di dollari.
La coalizione elettorale
Tutto questo lavoro ha costruito una coalizione elettorale che il Partito Democratico dovrebbe osservare con attenzione. Per prima cosa, ha convinto alcuni dei segmenti elettorali che i Dem vorrebbero riportare a sinistra dopo anni in cui è stato difficile farlo. Stando ai dati preliminari, ha preso voti da elettori bianchi, asiatici e dai latinos di Brooklyn, Manhattan e Queens. Come ha sottolineato il New York Times, dopo aver condotto una campagna elettorale per la working class basata su tasse e affitti bloccati, Mamdani ha ottenuto voti in zone ricche come le aree di Park Slope, Cobble Hill e Clinton Hill a Brooklyn, e le zone ricche del centro come East Village e Midtown. Certo, non tutto è andato per il meglio. Cuomo si è preso senza fatica i voti delle enclave ebraiche di Brooklyn, dei ricchi dell’Upper West e l’East Side e pure quelli degli afroamericani di Bronx e Queens.
La spaccatura nei Dem
L’innegabile successo di Mamdani nasconde anche tante ombre per i Dem. Parlando con il Times David Axelrod, storico stratega di Barack Obama, ha messo bene in fila i problemi: per prima cosa, le posizioni del socialista sulla guerra a Gaza e su Israele mettono il partito in una posizione delicata. Mamdani ha parlato di genocidio e in passato è stato criticato per non aver condannato la frase “globalize the intifada”, anche se in più di un’occasione ha sostenuto l’esistenza dello Stato di Israele.
«Non c’è dubbio che Trump e i Repubblicani lo useranno per descrivere cos’è oggi il Partito Democratico». Cosa che è già successa. «I democratici hanno superato il limite, Zohran Mamdani è al 100 per cento uno Schizzato Comunista», ha scritto Donald Trump su Truth. Mentre altri deputati e senatori sono corsi a condividere sui social una vignetta in cui la Statua della Libertà viene raffigurata con il burka. In aggiunta, non è da escludere che nelle prossime settimane prendano piede teorie cospirative per il fatto che il giovane candidato, nato in Uganda, ha ottenuto la cittadinanza americana solo nel 2018. Non a caso c’è già chi chiede di “denaturalizzarlo” e deportarlo.
La questione sul tavolo, ora come ora, è se e come il partito digerirà questo passaggio epocale. Il problema è duplice perché da un lato la sconfitta di Cuomo è l’ennesimo segno di una profonda stanchezza e debolezza del vecchio establishment del partito. Dall’altro, più di qualcuno sta iniziando a dire che il modello non può essere replicabile altrove. Mentre lo spazio di manovra elettorale si assottiglia lontano dai grandi conglomerati urbani – è il ragionamento delle correnti moderate – difficilmente le ricette radicali di Mamdani e della frangia socialista potranno portare voti. Sullo sfondo resta poi un altro problema, il rapporto con i grandi finanziatori. Le politiche anti-oligarchia di Mamdani, Sanders e Ocasio-Cortez potrebbero irritare alcuni finanziatori, allontanarli o semplicemente spingere ancora di più sui candidati moderati. In questo senso, le elezioni a sindaco del prossimo autunno saranno un banco di prova, soprattutto se Cuomo dovesse correre da indipendente.
Non è tutto socialista quello che luccica
Il successo di Zohran Mamdani che lo eleva a nuova stella democratica racconta solo una parte della storia. Ci sono infatti due narrazioni che conviene guardare con occhio critico. La prima riguarda la biografia stessa di Mamdani. A differenza di Sanders e Ocasio-Cortez, il 33enne non ha origini da working class. Il padre, Mahmood Mamdani, è un rinomato professore di antropologia e relazioni internazionali, mentre la madre, Mira Nair, è una regista acclamata nominata all’Oscar. Un elemento che lo colloca in quell’élite culturale che per anni ha nutrito le frange più liberal della sinistra americana, con risultati discutibili.
A questo si collega un secondo punto: chi ha votato davvero per lui. Secondo un’elaborazione del New York Times, Mamdani ha superato Cuomo tra gli elettori con redditi alti e medi (in particolare questi ultimi), mentre l’ex governatore ha vinto con un margine di 11 punti tra chi aveva redditi più bassi. In sostanza il 33enne si è imposto sì con una ricetta economica radicale e socialista; a “comprare” questa ricetta, però, non sono stati i più poveri, ma la classe media newyorchese. Questo apre ad analisi di vario tipo, dall’impoverimento della classe media che in una città come New York nell’era Trump si radicalizza a sinistra; fino alla difficoltà dei liberal con i ceti più popolari. Un paradosso che Mamdani (e il Partito Democratico) dovranno trovare il modo di risolvere.