Woody Guthrie contro due Trump
Nel 1950 il cantautore folk scrisse dei versi contro le strategie immobiliari discriminatorie di Fred Trump. Sessant'anni dopo quel caso è tornato alla ribalta.

“Beach Haven is Trump’s Tower
Where no black folks come to roam,
No, no, Old Man Trump!
Old Beach Haven ain’t my home!”
Questi versi sembrano poter uscire da una canzone di protesta contemporanea, ma hanno più di settant’anni. Sono stati scritti da Woody Guthrie, leggendario cantautore folk della prima metà del Novecento, e non si riferiscono a Donald Trump, bensì a suo padre, Fred.
Il vagabondo e il miliardario
Negli Stati Uniti, la musica folk ha sempre avuto un ruolo che va ben oltre l’intrattenimento. È stata la colonna sonora di movimenti sindacali, marce per i diritti civili, proteste contro la guerra e battaglie per la giustizia sociale. Dai canti degli schiavi afroamericani ai brani antimilitaristi di Pete Seeger, passando per Bob Dylan, Joan Baez e più tardi Bruce Springsteen, il folk americano ha costruito una contro-narrazione delle cronache ufficiali, dando voce a operai, contadini, immigrati e comunità emarginate. In questo contesto, Woody Guthrie rappresenta una figura chiave: la coscienza musicale della working class americana del Novecento.
Nato nel 1912 in Oklahoma, Woody Guthrie ha attraversato i momenti più bui della storia americana: la Grande Depressione, il Dust Bowl, la guerra e il Maccartismo. Armato solo di una chitarra (su cui campeggiava la scritta “This Machine Kills Fascists”), Guthrie ha raccontato l’America che viaggia sui treni merci, che lavora nelle fabbriche, che sciopera e sogna un futuro migliore. Le sue canzoni parlano di disuguaglianza, diritti, dignità e rabbia.
Nel dicembre del 1950, Guthrie si trasferì con la moglie e i figli nel Beach Haven Family Project, un complesso residenziale a Brooklyn costruito da Fred Trump, magnate dell’edilizia e padre dell’attuale presidente Donald Trump. La struttura, edificata con fondi pubblici nell’ambito dei programmi federali post-bellici, si presentava come un’oasi per veterani e famiglie della classe media bianca. Ma a Guthrie bastò poco per capire che quel paradiso apparente nascondeva una realtà inquietante: l’accesso agli appartamenti era di fatto negato agli afroamericani.
Senza espliciti cartelli di “Whites Only”, Trump applicava una serie di pratiche discriminatorie sistematiche, come pressioni sugli agenti immobiliari, omissioni, rifiuti pretestuosi e controlli selettivi che impedivano alle famiglie nere di affittare. Era una segregazione silenziosa, ma efficace. Guthrie, profondamente colpito da questa ingiustizia, lasciò ripetute testimonianze, sotto forma di lettere e canzoni, della ferocia del sistema di Beach Haven.
Nel periodo vissuto a Beach Haven, Guthrie compose una serie di testi rimasti inediti fino a pochi anni fa, oggi noti con titoli come Old Man Trump, Beach Haven Race Hate e Beach Haven Ain’t My Home. In questi versi, Guthrie non si limita a lamentarsi dell’affitto elevato o delle condizioni abitative: accusa direttamente Fred Trump di fomentare l’odio razziale nel “calderone del cuore umano”, di aver tracciato una “color line” invisibile, ma invalicabile, trasformando Beach Haven in una “Jim Crow city”, un quartiere residenziale che riproduceva le logiche della segregazione del Sud.
Si trattava di accuse radicali, lanciate in un periodo in cui parlare apertamente di razzismo sistemico metteva a rischio carriere e libertà. Non a caso, pochi anni dopo, Guthrie — già sotto osservazione dell’FBI per le sue simpatie socialiste — fu completamente estromesso dai circuiti ufficiali della musica e iniziò il suo declino personale, segnato dalla malattia neurodegenerativa che lo avrebbe portato alla morte nel 1967.
Da Fred a Donald: l’eredità dei Trump
Fred Trump fu uno dei protagonisti assoluti del boom edilizio del dopoguerra americano. Costruì decine di migliaia di appartamenti nell’area di New York, approfittando dei finanziamenti pubblici destinati alla ricostruzione urbana. Alla fine degli anni Sessanta, questo impero immobiliare lo aveva reso uno degli uomini più ricchi e influenti d’America.
Questa eredità economica e imprenditoriale rappresentò la base su cui il figlio Donald ha costruito prima la propria carriera imprenditoriale, e poi quella politica. Nonostante abbia spesso affermato di essersi costruito da solo la propria fortuna, l’attuale Presidente degli Stati Uniti deve molto al patrimonio – politico economico e relazionale – lasciatogli dal padre.
Anche nella visione del mondo la mela non sembra essere caduta molto lontana dall’albero. Nel 1973, il Dipartimento di Giustizia intentò una causa contro la Trump Management Corporation per discriminazioni razziali sistematiche. Secondo le accuse, gli inquilini afroamericani venivano scartati con pretesti fittizi, e i loro dossier marcati con la lettera “C” (per “colored”). Donald Trump, che all’epoca ricopriva già un ruolo dirigenziale nell’azienda, respinse le accuse, ma nel 1975 accettò un accordo extragiudiziale per mettere fine al processo, pur senza ammettere alcuna colpa.
Oltre a questi episodi, nel corso della sua candidatura repubblicana, Donald Trump si è trovato più volte a dover rispondere a domande sul passato controverso del padre. In particolare, ha fatto discutere il fatto che nel 1927 Fred Trump fu arrestato — e successivamente rilasciato — durante una manifestazione del Ku Klux Klan a New York. Sebbene le circostanze dell’arresto non siano del tutto chiare, quell’episodio è stato spesso richiamato per mettere in discussione l’ambiente ideologico in cui è cresciuto il futuro Presidente.
Memoria in musica
I testi anti-Trump di Guthrie rimasero sepolti per oltre sessant’anni, fino a quando Will Kaufman, docente e biografo dell’artista, li riportò alla luce durante le sue ricerche negli archivi del Woody Guthrie Center a Tulsa, Oklahoma.
La forza di quei testi ha ispirato una nuova generazione di artisti a riportare in vita Old Man Trump. Nel 2016, il cantante folk Ryan Harvey, insieme ad Ani DiFranco e Tom Morello (storico chitarrista dei Rage Against the Machine), hanno messo in musica e inciso per la prima volta il brano. L’intento era chiaro: attualizzare i testi di Guthrie per sensibilizzare sul passato, non propriamente luminoso, della famiglia Trump. Uno sforzo che non ha impedito al tycoon di vincere le elezioni presidenziali del 2016, ma che ha aggiunto una prospettiva sulla storia familiare di un personaggio allora piuttosto sconosciuto alle cronache politiche.
Ma, in questo senso, l’opera di Harvey, DiFranco e Morello è perfettamente in linea con la missione di conservazione e riproduzione della memoria che è da sempre parte integrante della cultura folk. I versi di Woody Guthrie hanno gettato nuova luce su un aspetto dell’eredità di Trump che era rimasto sepolto, e che adesso sarà difficile dimenticare. Come ha detto Tom Morello in un’intervista a margine della pubblicazione: “Quando un’idea è potente, quando una canzone racconta la verità, puoi seppellirla quanto vuoi — ma prima o poi tornerà a galla”.