Voto proibito: la democrazia limitata dei condannati
Nella “land of the free” non tutti sono liberi di partecipare alle elezioni se hanno ricevuto condanne penali e questo è un problema.
Il diritto di voto negli Stati Uniti non è uguale per tutti: 48 Stati su 50 impediscono a chi ha precedenti penali di votare. Questo fenomeno si chiama felony disenfranchisement, la privazione del diritto di voto in seguito a una condanna penale, ed è molto diffuso negli Stati Uniti. Secondo i dati raccolti dalla ong The Sentencing Project nel 2020 è stato impedito di votare a più di 5 milioni di cittadini americani. 11 Stati limitano il diritto di voto alla maggior parte delle persone anche dopo che hanno finito di scontare la pena e non sono più in libertà vigilata, impedendo al 58% della popolazione di esercitare i propri diritti politici. Il felony disenfranchisement colpisce principalmente le persone non bianche che vivono in Stati a maggioranza repubblicana.
Il diritto di voto negli Stati Uniti è regolato sia da leggi statali che da leggi federali. All’interno della Costituzione sono presenti tre emendamenti, il Quindicesimo, il Diciannovesimo e il Ventiseiesimo, che impediscono la discriminazione su base razziale o di censo per andare alle urne, ma non sono abbastanza per permettere un accesso paritario al voto. Il Mississippi ha il tasso più alto di felony disenfranchisement, circa il 10% contro lo 0.5% di Illinois e Oregon. Mentre altri Stati come Alabama, Florida, Kentucky, Iowa, Virginia, Louisiana e New York hanno approvato delle leggi per fare in modo che le persone che hanno ricevuto una condanna penale possano tornare a votare, il Mississippi di fatto non è mai andato oltre le leggi Jim Crow, approvate tra il 1877 e il 1964 per mantenere la segregazione razziale all’interno della vita pubblica. Attualmente è precluso il diritto di voto a chi è stato condannato per omicidio, violenza sessuale, rapina, furto, appropriazione indebita e incendio doloso, crimini ingiustamente associati alle persone non bianche. Solo Maine e Vermont non limitano il diritto di voto delle persone che hanno ricevuto una condanna penale, comprese quelle che si trovano ancora in prigione.
L’aumento della diffusione di leggi che limitano il diritto di voto viola lo stato di diritto in diversi modi. Considerato fondamentale anche dalla Costituzione Americana, lo stato di diritto è l’assetto istituzionale che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini. Ciò nonostante, il felony disenfranchisement stigmatizza le persone condannate, come se fossero dei cittadini di seconda categoria che non meritano diritti. In questo modo, anche commettendo un reato minore, la persona condannata non può esercitare un diritto che la Corte Suprema considera «il diritto che tutela tutti gli altri». All’interno delle comunità marginalizzate il diritto di voto risulta depotenziato, finendo per punire le persone non bianche per le condizioni in cui si trovano, senza concedere possibilità di riscatto. Anzi, le isola ancora di più, impendendo loro di partecipare alla vita politica del Paese. Quando a un'intera classe di cittadini, come le persone con precedenti penali, è negato il diritto di voto, significa che non possono cambiare la struttura di potere che li ha emarginati e che continua a farlo sulla base di una pena che, nella maggior parte dei casi, hanno già scontato. Inoltre, secondo numerosi studi ripristinare il diritto di voto è fondamentale per avere dei tassi di recidiva inferiori in seguito al reinserimento nella vita pubblica. L’analisi condotta da Christopher Uggen e Jeff Menza, dimostra che in un gruppo di persone con precedenti penali, il 27% che non può votare è stata arrestata di nuovo, contro il 12%, che è tornato alle urne.
Per impedire che gli Stati repubblicani continuino a limitare l’accesso al voto è necessario approvare una legge federale che garantisca a tutti i cittadini il diritto di voto, sorpassando le leggi statali. Un primo tentativo c’è stato nel 1965 con il Voting Rights Act, promulgato dal Presidente Lyndon Johnson negli anni di massima tensione tra il governo e il Movimento per i diritti civili. Negli anni è diventato un punto di riferimento per le leggi successive, perché garantisce il diritto di voto a tutte le minoranze del Paese, in particolare negli Stati del sud. Nonostante sia stato fondamentale e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti lo consideri « provvedimento più efficace della legislazione federale sui diritti civili mai adottata nel Paese», non è bastato per eliminare le discriminazioni.
Negli ultimi anni i democratici hanno presentato altri due disegni di legge per combattere il felony disenfranchisement: il For the People Act e il John Lewis Voting Rights Advancement Act, dedicato all’omonimo attivista per i diritti civili morto nel 2020 a causa di un tumore al pancreas. Entrambe le leggi sono state approvate dalla Camera, dove i democratici avevano la maggioranza, ma sono state affossate in Senato a causa del filibustering, una pratica di ostruzionismo che rende necessaria la maggioranza di 60 su 100 senatori per approvare una legge. Il Presidente Joe Biden all’epoca fu molto duro con i senatori che bloccarono l’iter legislativo. Tuttavia, non ha fatto proposte per limitare, o anche proibire, la pratica del filibustering, comportamento che ha scontentato numerosi osservatori progressisti.
Negli ultimi mesi la discussione sul tema si è spenta, ma ciò non toglie che negare il diritto di voto alle persone con condanne penali indebolisce lo stato di diritto e non favorisce un effettivo reinserimento nella società civile. Molti Stati stanno superando il felony disenfranchisement, ma la strada è ancora lunga prima che gli Stati Uniti possano definirsi davvero “the land of the free”, promuovendo la piena partecipazione democratica di tutti i suoi cittadini, senza violazioni dello stato di diritto.
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