Vent'anni di John Roberts, o Mr. Free Speech
In vent'anni il Presidente della Corte Suprema si è mosso facendo proprio il Primo Emendamento, aprendo a scenari discutibili riguardanti il destino della libertà di espressione
Gli ultimi vent’anni, sono forse quelli che hanno visto più fortemente venire rivoluzionata l’anima della Corte Suprema: lo stesso arco temporale coperto dalla Presidenza del Giudice John Roberts.
Nominato alla guida del supremo organo giudiziario nel 2005, per alcuni Roberts ha passato due decadi a “smantellare la democrazia americana”, senza essere guidato da una chiara ed identificabile filosofia giudiziaria.
Apparentemente contraddittorio e incostante su molteplici temi, l’unico faro al centro dell’operato di vent’anni è sempre stato il I Emendamento. “Sono forse il più aggressivo difensore del I Emendamento” dice il Giudice Roberts di sé stesso spiegando al pubblico quelle che non sembrano altro che crescenti antinomie, “ad alcuni potrebbe sembrare che ciò non sia del tutto in linea con la mia giurisprudenza in altri ambiti, ma noi non facciamo politica, noi applichiamo la legge”.
Accuse di schizofrenia giuridica liquidate in una frase semplice, ma dai dettagli che mettono punti fermi anche su battaglie che Roberts, nel suo ruolo di Giudice Presidente, deve farsi venire la voglia di combattere: perché tutto cambia dal dire che si applica la legge al pensare di interpretarla, come tanti Giudici della Corte Suprema hanno aspirato a fare.
A dieci anni dal suo insediamento da Giudice Presidente, nel 2015, veniva già definito il “campione della libertà d’espressione”, forse - appunto - l’unico tratto chiaro della personalità giuridica di Roberts e non passibile di particolari accuse.
L’arbitro di uno dei diritti fondativi e identitari della democrazia statunitense ha spesso deciso quello che si definirebbe “il bello e il cattivo tempo” in termini di libertà di parola. Checché, quindi, l’interesse per il tema sia lampante e pressoché indiscutibile, è altrettanto vero che, guardando ai record decisionali sul tema, anche in questo campo Roberts ha mancato di agire in maniera prevedibile e trasparente, rendendo le accuse di estrema volubilità più concrete che mai.
Per alcuni commentatori affini all’ambito giudiziario, infatti, il montante interesse della Corte Roberts per il Primo Emendamento sembrerebbe, più che da “campioni”, distorto e personalistico: la guida della Corte Suprema sembrerebbe intravedere libertà di espressione solo laddove è d’accordo con l’opinione sotto i riflettori giuridici e in discussione, e non aprioristicamente come ci si aspetterebbe da un battagliero del I Emendamento.
Statisticamente, Roberts è stato l’autore di più del doppio delle opinioni di maggioranza sulla libertà di parola: al 2020, nel 95% dei casi relativi al I Emendamento discussi e decisi nei suoi 15 anni di mandato, Roberts si è trovato nella maggioranza guidandola in prima persona nel 30% dei casi.
Ronald Collins, accademico esperto del I Emendamento, si è trovato spesso a discutere dell’operato del Presidente Roberts e, nelle sue analisi, sembra aver ricondotto l’imprevedibilità del Giudice Supremo, anche nel campo della libertà di espressione, a un chiaro obiettivo del Presidente dell’istituto giudiziario: ricercare l’unanimità, evitare una maggioranza risicata 5-4 che possa trasmettere l’immagine di una Corte Suprema divisa e, soprattutto, prescindere dalle categorie politiche e dalle ideologie. Roberts, infatti, rifugge le etichette “conservatore” o “liberale”; principalmente a parole, perché il Giudice Presidente, nello schierarsi con la maggioranza o scrivere opinioni, si è sempre ritrovato tra i conservatori.
Se si considerano, infatti, i casi presi ad esempio dallo stesso Collins relativi alla libertà di espressione - Garcetti v. Ceballos (legato alla libertà di parola di dipendenti governativi); Morse v. Frederick (riguardante la libertà di espressione degli studenti); Harris v. Quinn (sulla libera espressione dei sindacati); National Institute of Family and Life Advocates v. Becerra (sul conflitto tra una legge a tutela dei diritti riproduttivi della California e il I Emendamento); Manhattan Community Access Corp. v. Halleck (sull’applicabilità a operatori privati di programmi televisivi ad accesso pubblico della responsabilità costituzionale siglata dal I Emendamento), ciascuno di questi è stato deciso 5-4. Per ciascuno di questi, Roberts ha trovato posto tra i ranghi della maggioranza conservatrice. Tutto il contrario, quindi, rispetto alle aspirazioni teoriche del Presidente Roberts rispetto alla sua auspicata gestione della Corte Suprema.
In anni più recenti - a dimostrare che nell’arco di vent’anni l’interesse di Roberts per il I Emendamento non si è mai spento e non si è mai spostato dalle sue personali interpretazioni - Slate titolava “la Corte di Roberts ha trasformato il I Emendamento in una palla da demolizione”. Secondo Joseph Pace, infatti, la decisione della Corte Suprema 303 Creative v. Elanis, andava a rappresentare uno spartiacque definitivo nella giurisprudenza attorno alla libertà di espressione. La decisione andava a mettere in discussione una legge contro le discriminazioni del Colorando e accusava lo Stato di violare il I Emendamento nel passaggio in cui quest’ultimo vieta ogni forma di compelled speech, espressione forzata e non libera.
Per quanto 303 Creative v. Elanis non abbia rappresentato il primo incontro della Corte Suprema degli Stati Uniti con le leggi anti discriminazione attivate da singoli Stati, Pace sottolinea nell’articolo come questo non abbia mai fermato, in passato, il supremo organo giudiziario dal porre un freno proprio a chi lamentasse una forma di censura derivante da quel genere di leggi. “Parafrasando la famosa affermazione del giudice Oliver Wendell Holmes” scrive Pace, “proprio come il mio diritto di agitare il pugno finisce dove inizia il tuo naso, il diritto di un bigotto di esprimere le proprie opinioni finiva quando si scontrava con il diritto delle minoranze di godere di pari accesso all’istruzione, all’occupazione e al mercato”. Un principio che con la Corte di Roberts è stato ribaltato.
Come tante sentenze prima di Elanis, la Corte ha proceduto con l’ignorare volutamente il contesto che ha spinto lo Stato ad attivare una simile norma anti discriminazione a monte; il tutto per poter servire una agenda esplicitamente conservatrice che metta il I Emendamento a servizio di una causa più strumentale di quanto sembri. Eppure, come ricordava la Giudice Kagan in occasione del dibattimento sul caso Janus v. AFSCME, “il I Emendamento voleva servire uno scopo migliore”, più alto.
E certamente più super partes di quanto lo abbia mai trasmesso proprio il campione della libertà di espressione, arbitro dei propri principi più che del vero significato costituzionale trasmesso dal I Emendamento.