USWNT: un Gioco da Ragazze
Luci ed ombre del calcio femminile negli Stati Uniti d'America.
È ottobre quando un grosso scandalo colpisce la National Women’s Soccer League, massimo campionato calcistico femminile negli Stati Uniti. Le accuse di molestie sessuali rivolte dalle giocatrici Sinead Farelly e Meleana Shim al coach della loro squadra, le North Carolina Courage, riverberano nel settore ed anche a livello internazionale, arrivando all’attenzione della FIFA che apre un’indagine preliminare sulla condotta della lega e della United States Soccer Federation che ne è a capo.
A farsi da portavoce delle calciatrici è la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti d’America, campionesse del mondo in carica e prime nel ranking FIFA e non estranee all’attivismo nel campo sociale e politico. Ad un osservatore esterno, l’importanza societaria del calcio femminile negli Stati Uniti può apparire strana, ancor più constatando la scarsa popolarità della versione maschile dello sport in America. Le ragioni profonde che hanno al contempo reso gli Stati Uniti la superpotenza quasi incontrastata del calcio femminile vanno ricercate in un elemento inusuale: gli stereotipi sessisti.
È il 1972 quando, sotto la spinta della deputata nippo-americana Patsy Mink e del senatore Birch Bayh, il Congresso vara un’ambiziosa riforma dell’istruzione volta a porre fine alla discriminazione di genere nei programmi scolastici sovvenzionati da fondi federali . Tale progetto di legge, noto anche come Title IX, ha un effetto sostanziale sul mondo degli sport scolastici: le scuole ed i college vengono obbligati ad offrire programmi sportivi anche per le ragazze, in proporzione alla loro presenza negli istituti. La predominanza maschile decennale in diversi sport, quali il football americano ed il basket, forza tuttavia i presidi ed i rettori americani a cercare uno sport alternativo per le ragazze, dinamico e relativamente economico da giocare anche nei periodi autunnali più rigidi.
La scelta, in buona parte delle scuole americane, ricade sul calcio, stereotipato come gioco ‘aggraziato’ e non troppo aggressivo, perfetto da proporre alle famiglie di classe media. Negli anni, lo stereotipo della madre di famiglia che accompagna le figlie agli allenamenti ha assunto vita propria, con il fenomeno delle ‘soccer moms’, madri la cui ossessione con le attività extrascolastiche della prole inizia a raggiungere livelli parodistici ed esagerati.
Il calcio, come altri sport scolastici americani, è un trampolino di lancio verso le università: le atlete liceali di buon livello hanno l’occasione di ottenere borse di studio sportive presso college facoltosi quali Stanford o Duke . Ogni anno, circa trecentomila calciatrici liceali e quarantamila universitarie competono nelle leghe scolastiche, un vivaio di talenti portentoso che si lega a filo diretto con le leghe professionistiche nazionali quali la NWSL e l’ambita convocazione nella nazionale femminile.
La storia della nazionale, nata inizialmente come selezione dell’Università della Carolina del Nord (Chapel Hill), è costellata di successi. Al loro debutto internazionale nella coppa del mondo femminile 1988, le statunitensi sbaragliano le favorite tedesche in semifinale e la Norvegia in finale, diventando subito campionesse in carica. Alle olimpiadi estive del 1996 ad Atlanta vincono la medaglia d’oro battendo la compagine cinese. Il rematch con le cinesi avviene poco dopo, nel 1999, in occasione dei mondiali femminili tenuti proprio negli Stati Uniti. Nella finale al Rose Bowl di Pasadena finita ai calci di rigore, la centrocampista Brandy Chastain celebra il gol della vittoria gettando la maglietta e rimanendo in reggiseno sportivo.
L’esultanza di Chastain, immortalata sulla copertina di Sports Illustrated, è il simbolo di quell’annata meravigliosa per la nazionale americana: ben novantamila spettatori riempirono gli spalti del Rose Bowl, mentre più di un milione di spettatori seguì il match da casa. I Mondiali del 1999 diedero il via ad una vera e propria mania per il calcio tra le giovani americane, solidificando la popolarità dello sport in quella demografia. Fu addirittura prodotta una bambola Barbie in tenuta calcistica.
Il cammino della nazionale di calcio femminile statunitense non è stato però sempre facile: come molte colleghe intorno al mondo, le calciatrici americane hanno sempre lamentato una certa disparità di salario rispetto ai professionisti maschi. Soltanto nel 2017, dopo una denuncia a livello federale, la federazione calcistica americana ha raggiunto un accordo di contrattazione collettiva con la squadra, migliorandone sensibilmente il salario, coprendone le spese di viaggio ed i congedi per maternità.
Complici i continui successi sul campo della nazionale ma anche il suo spiccato attivismo sociale, il calcio femminile negli Stati Uniti continua a crescere anche come realtà business: la finale della National Women’s Soccer League 2020/2021 tenutasi lo scorso novembre ha totalizzato ben mezzo milione di telespettatori, cifre vorticose se confrontate a quelle di pochi anni prima. Al netto delle difficoltà incontrate nella sua lunga e tortuosa storia, il calcio femminile americano può forse candidarsi ad avanguardia dello sport nelle Americhe e nel resto del mondo.