Flash #59: l'accordo sulle terre rare ucraine visto in chiave anticinese
Dagli aiuti militari al controllo delle risorse strategiche: il mancato accordo e la sfida di Donald Trump a Pechino
“America First”: a distanza di poco più di un mese dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, quello che era uno slogan elettorale figura ora come una linea d’azione ben definita. Un principio che si riflette anche nella guerra tra Russia e Ucraina e nel contestato “Pax Mineralis”, l’accordo che legherebbe il sostegno americano a Kyiv a un ritorno sulle risorse strategiche, rafforzando la visione politica trumpiana del do ut des: nessun aiuto senza un vantaggio concreto per gli Stati Uniti.
Che cosa prevedeva l’accordo?
In un'intervista a Fox News , trasmessa in data 10 febbraio, Trump con il suo solito stile provocatorio, aveva dichiarato: “Ho detto loro [all'Ucraina] che voglio l'equivalente di 500 miliardi di dollari in terre rare. E hanno essenzialmente accettato, così almeno non ci sentiamo stupidi”. Affermazione che si omologa perfettamente con la solita tattica: sparare alto per poi guadagnare sul compromesso finale. Trump ha più volte affermato che gli Stati Uniti avrebbero speso più di 300 miliardi di dollari in aiuti a Kyiv. Tuttavia, questa cifra è stata smentita dal presidente ucraino Zelensky e da centri studi indipendenti: l’impegno americano nel Paese si aggira, infatti, intorno a 100 miliardi di dollari dall’inizio della guerra. Discrepanza, questa, che evidenzia le numerose difficoltà nel giungere a un accordo definitivo.
La bozza dell’accordo, di cui si prevedeva la firma nella giornata di venerdì 28 febbraio, era stata prima visionata e poi pubblicata dal Kyiv Independent dopo averla ricevuta da una fonte del governo ucraino. Il piano prevedeva l’apertura di un fondo destinato alla ricostruzione dell’Ucraina, gestito dagli Stati Uniti e a cui il governo di Kyiv avrebbe dovuto contribuire attraverso il 50% dei ricavi derivanti dalla futura vendita delle risorse minerarie ed energetiche presenti nel sottosuolo ucraino: dai minerali agli idrocarburi, includendo anche petrolio, gas naturale e altre materie prime estraibili, oltre che infrastrutture cruciali come terminali di gas naturale liquefatto e porti. Tuttavia, l’intesa escludeva il flusso di proventi derivanti dalle attività di estrazione già avviate come quelle di Naftogaz e Ukrnafta. Nel documento inoltre, non veniva menzionata la quota degli Stati Uniti, ma faceva riferimento ad accordi di “proprietà congiunta” su base paritaria, da precisare in accordi successivi così come restavano da definire la tempistica, l’ambito e la sostenibilità dei contributi. Prevista dall’accordo anche una clausola “di garanzia” in cui si negava a entrambi i Paesi la possibilità di vendere, trasferire o disporre, in maniera diretta o indiretta, di alcuna quota della propria partecipazione nel fondo senza prima il consenso scritto dell’altra parte.
Nonostante Trump avesse definito l'accordo come una garanzia sia per gli Stati Uniti che per l’Ucraina, la questione della concreta protezione di quest’ultima non era stata solo che accennata nel punto 10 della bozza. Qui, si parlava di un generico sostegno americano agli "sforzi ucraini” per ottenere le garanzie "necessarie a stabilire una pace duratura”. Inoltre, proseguiva con l’impegno delle parti a individuare misure a protezione degli investimenti reciproci, che avrebbero dovuto garantire una forma di tutela per l'Ucraina, in quanto Washington, vincolando i suoi introiti al territorio ucraino, sarebbe stata conseguentemente interessata alla tutela dello stesso. Zelensky si era espresso a riguardo definendo la bozza come un “primo accordo quadro” ma che doveva essere seguito da “patti più specifici”.
Come è noto, l’incontro di venerdì 28 febbraio tra i due Presidenti nello Studio Ovale è degenerato in un duro confronto politico, culminato con l'interruzione anticipata del colloquio e l’annullamento dell’accordo, rimettendo ancora una volta tutto in discussione.
USA-Cina: cosa si nasconde dietro l’interesse di Trump per le risorse ucraine?
L’Ucraina è uno dei Paesi europei con più giacimenti di terre rare, un gruppo di 17 elementi della tavola periodica dal valore attuale di mercato di 11 miliardi di dollari. Sono definite “rare” non perché presenti in scarsa quantità, ma per la loro complessità di estrazione e lavorazione. Tra queste figurano il lantanio, il cerio, il neodimio, il terbio, il disprosio, e perfino l’erbio e l’ittrio utili per la produzione di energia nucleare e tecnologia laser.
A queste si aggiungono altri materiali strategici sempre presenti sul territorio come grafite, litio, titanio, berillio e uranio, essenziali per la produzione di molti dispositivi tecnologici. Questi elementi sono fondamentali per guidare la transizione green e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, settori strategici da cui dipenderà la leadership globale dei prossimi decenni.
Tuttavia, nonostante un recente studio condotto dall'Istituto Geologico Nazionale Ucraino stimi le riserve totali ucraine intorno ai 2,6 miliardi di tonnellate, a detenere il primato mondiale nella produzione e commercio di terre rare è la Cina di Xi Jinping. Essa infatti domina incontrastata nel mercato delle materie critiche e in particolare delle terre rare, il cui export è cresciuto del 6%. Pechino detiene il 60% del mercato globale di questi materiali per un valore totale di 11 miliardi, ma che potrebbero diventare 21,7 miliardi entro il 2031 secondo le stime degli esperti.
Ecco che forse emerge il nodo della questione: l’intervento di Trump in Europa si inserisce all’interno di un più ampio scenario di guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, come già dimostrato dal recente annuncio del Tycoon di un ulteriore aumento dei dazi doganali ai danni del Paese del dragone.
In ultimo, un altro elemento chiave da tenere in considerazione, è la posizione geografica dei giacimenti ucraini. Infatti dei 6 principali giacimenti di terre rare in Ucraina, 3 sono concentrati nelle regioni a est e a sud del Paese, ovvero nelle zone più colpite o già occupate dall’esercito russo: i territori di Zhytomyr, Dnipro e Kirovohrad. Questa realtà evidenzia come la corsa alle terre rare e alle altre “risorse strategiche”, giochi un ruolo di primo piano all’interno del conflitto russo-ucraino tanto da poter diventare la chiave di volta per il raggiungimento di una pace il più possibile duratura.