Uno, nessuno, centomila: chi è veramente Mitch McConnell?
Aveva iniziato come politico pragmatico, per diventare poi reaganiano, neoconservatore e infine trumpista per convenienza. Riflessione sul grande enigma della politica americana
Come mai un grigio burocrate che dal 1984 solca le aule congressuali può trasformarsi nella figura più polarizzante della politica americana prima dell’avvento di Donald Trump? Chi è davvero quel politico che si nasconde spesso dietro i “no comment” e le esperessioni facciali enigmatiche? Facciamo un passo indietro.
Guardiamo una foto in bianco e nero, risalente al 1977. Addison Mitchell McConnell ha trentacinque anni e sta festeggiando la sua elezione come giudice capo della contea di Jefferson, dove si trova la città di Louisville, in Kentucky. McConnell, detto Mitch, ha ottenuto la massima carica esecutiva nel territorio che contiene Louisville, la più grande città dello stato. Sua moglie Sherrill gli accarezza il viso, sorridente, ma commossa. Insieme a lui sono genitori di tre figlie. Per lui ha momentaneamente abbandonato i suoi studi sul femminismo. Sa che il marito, pur essendo nato in Alabama, nel Profondo Sud, ha idee illuminate sui diritti civili. Quando era uno stagista al Congresso, il suo eroe era il senatore John Sherman Cooper, un moderato Repubblicano che promuoveva l’agenda progressista del Presidente Democratico Lyndon Johnson, anche contro il parere dei suoi elettori, che gli scrivevano lettere infuocate di protesta. Cooper diceva al suo stagista: «C’è un tempo in cui bisogna seguire gli umori della gente e un altro in cui bisogna guidarli». Ecco il suo modello in poche parole. Ascolto gentile, ma leadership. Attenzione ai diritti civili, conciliandoli con gli interessi del mondo dell’impresa, senza dimenticare una certa attenzione alla contrattazione sindacale. Un approccio pragmatico, simile a quello dell’amministrazione di Gerald Ford, che ritiene necessario per uno stato come il Kentucky, povero e bisognoso d’investimenti federali in tutti i settori.
Facciamo un balzo temporale in avanti, rimanendo però sempre in Kentucky, in un edificio di pertinenza dell’università di Louisville. Siamo nel 2009, McConnell non è più quel politico che era qualche anno fa. Ora è il potente leader del gruppo Repubblicano al Senato. Del suo idealismo giovane ormai resta ben poco. L’opinione pubblica pensa che lui incarni la partigianeria politica di Washington e l’amore per il potere fine a sé stesso.
Lui non se ne cura, ormai è riuscito a farsi rieleggere Senatore per cinque volte consecutive, quasi sempre per la debolezza degli avversari, dei quali cerca sempre i punti deboli per sfruttarli a suo vantaggio in campagna elettorale. Una cosa è rimasta rispetto a trent’anni prima: l’interesse per la legge e la sua applicazione. Ormai però non pensa più che le cose si possano cambiare. Ora gli interessa che il sistema legislativo blocchi il più possibile i provvedimenti dei Democratici e del nuovo Presidente Barack Obama, che ha avuto modo di conoscere durante i suoi quattro anni di permanenza al Senato. Non solo non lo ha votato, ma nemmeno lo stima. Crede che Obama sia l’esponente di un modo di fare politica superficiale, che non bada ai meccanismi profondi del funzionamento della democrazia e che usa altisonanti formule per dare aspettative messianiche a un elettorato che si aspetta cambiamenti concreti che verosimilmente non riceverà in cambio. Per questo, ma non solo, si impegnerà profondamente per ostacolare le sue nomine giudiziarie. Non adesso, non in questo momento però. C’è da festeggiare l’inaugurazione pubblica del suo archivio personale, che contiene anche i documenti legati a sua moglie. Al suo fianco però, Sherrill non c’è più. Se n’è andata tanti anni fa, nel 1980, divorziando in termini, si disse allora, “amichevoli” e decidendo di perseguire una carriera da studiosa e da accademica, lontano dal Kentucky. Mitch però, dopo qualche anno, ha deciso di risposarsi con una donna di origini asiatiche, Elaine Chao, la figlia del facoltoso armatore navale di origine taiwanese, James Chao. La loro coppia non è unita solo dall’amore, ma anche dal potere: la sua seconda moglie, infatti, è stata Segretaria al lavoro per tutti gli otto anni di presidenza di George W. Bush. Con il marito quindi condivide quest’attitudine, anche se non ha mai dovuto affrontare una campagna elettorale, in virtù di questa sua connessione.
Chi è allora davvero Mitch McConnell? L’idealista di centro degli anni ’70 o il Senatore che domina la politica del suo stato con pugno di ferro e grazie a elargizioni federali spot che tengono il Kentucky nel sottosviluppo? Di sicuro sappiamo che McConnell si è trasformato insieme al suo partito: è diventato reaganiano negli anni ’80 e nel 1984 si è fatto eleggere dopo una dura campagna elettorale mentre l’allora Presidente Reagan lo chiamò a un comizio “Mitch O’ Donnell”. Diventa un neoconservatore negli anni di Bush, appoggiando le guerre per esportare la democrazia e badando a controllare eventuali nel gruppo Repubblicano nella sua veste di vicecapogruppo. Infine, negli anni di Donald Trump, è diventato il suo facilitatore principale, la persona responsabile della nomina di ben 234 giudici federali di chiaro orientamento conservatore e di tre giudici della Corte Suprema attraverso un tatticismo spregiudicato che ha un solo obiettivo: la vittoria. Alla fine della sua carriera invece si scopre quasi quale alleato informale del suo vecchio collega in Senato per ventiquattro anni e rivale Joe Biden. La forma attuale ed esplicitamente autoritaria di trumpismo per lui forse è troppo e perciò ha deciso di farsi da parte per evitare che a chiedere la sua testa possa essere nuovamente il tycoon tornato alla Casa Bianca, stavolta con il know-how necessario per fare a meno della sua collaborazione. Cosa resta quindi di Mitch McConnell, all’età di ottantadue anni suonati, di quest’uomo che ha cancellato la presenza della prima moglie dai suoi archivi personali perché poco funzionale alla sua narrazione di alfiere del conservatorismo purchessia, costi quel che costi? Resta la partigianeria e la polarizzazione che spesso ha cavalcato con disinvoltura prima di rendersi conto che qualcuno, prima o poi, lo avrebbe messo da parte. Onore che però McConnell ha voluto negare a Trump, che pure formalmente appoggia in ossequio alla visione miope secondo cui l’unica cosa che conta è la maggioranza Repubblicana, anche quando questa non ha apportato quei cambiamenti che nel 1977 quella moglie innamorata gli leggeva negli occhi. Ora le stesse pupille appaiono offuscate dagli acciacchi dell’età e da uno spesso paio d’occhiali, quasi a simboleggiare quel cinismo che ha nascosto dietro una maschera di cera il vero pensiero di un uomo che non si è mai ritenuto all’altezza di fare il Presidente, ma che ha saputo manipolarne uno con un discreto successo. McConnell vive lì, nella polarizzazione inconcludente che ha eroso la democrazia americana e che ha trascinato nel fango anche la sua lunga carriera di senatore.
Nel “Long Game” della politica, questo il titolo del suo memoir reticente pubblicato nel 2014, Mitch McConnell ne è uscito sconfitto.