Un’estate maledetta
"Le ragazze" di Emma Cline è un romanzo feroce che cattura fin dalle prime righe, tra menzogne e convenzioni da scardinare, tra delitti e identità convulse.
Ladies and gentlemen,
welcome aboard the Jefferson Bookplane, la rubrica di Jefferson sulla letteratura americana (ma restiamo umili).
A pochi giorni dall’uscita in Italia del suo ultimo lavoro, intitolato “L’ospite”, ho deciso di partire dalle origini del successo, leggendo l’opera prima della scrittrice californiana, Emma Cline. Così, mi sono ritrovata a leggere “Le ragazze” ed è stata una vera fortuna. Mi sono imbattuta in uno stile magnetico, originale, che resterà impresso a lungo nella mia memoria.
Un caso letterario
Tutte le volte che l’editoria presenta un libro come “caso letterario”, storco il naso e decido che non lo leggerò per un po’. Almeno fino a quando non sarà passato il clamore. Per questo, ho deciso di affrontare Emma Cline e la sua reputazione di scrittrice che mette facilmente a disagio il lettore solo recentemente. Sì, perché “Le ragazze” è stato pubblicato nel 2016, suscitando reazioni molto accese, sebbene la storia sia ispirata a fatti tristemente noti. Quelli della setta di Charles Manson, della sua Family e dell’efferato omicidio di Bel Air.
La trama
(…) ma il senso di familiarità della giornata era turbato dal solco che le ragazze si andavano aprendo in mezzo al mondo normale. Fluide e incuranti come squali che tagliano l’acqua.
P. 4
Evie Boyd è la protagonista del romanzo. È lei a narrare in prima persona, tra lunghi flashback e ritorni al desolante presente in cui è ormai una sessantenne disincantata, la sua incredibile estate californiana del 1969. I terribili accadimenti di quel periodo, in cui aveva circa 14 anni, le tornano in mente grazie all’incontro improvviso con il figlio di alcuni amici e con la sua fidanzata minorenne, Susan. La remissività della ragazzina e la sua totale sottomissione nei confronti del fidanzato, riportano Evie al 1969, quando, trascurata dalla famiglia e abbandonata dall’amica di sempre, Connie, si ritrova, inaspettatamente al “Ranch”. Un luogo fatiscente, una sorta di Comune che accoglie Russel, un santone, e le sue ragazze. Tra queste, c’è Suzanne Parker, di cui Evie subisce il fascino e della quale, col passare dei giorni, capisce di essere innamorata.
La nostra identità femminile era un costante divenire che sembrava richiedere bizzarre e precise attenzioni.
P.25
Le attenzioni di Suzanne, scambiate per affetto e persino per amore, convincono Evie a trascorrere sempre più tempo con quella insolita comunità, in cui si condivide tutto, in cui i figli sono cresciuti da tutti. Un mondo molto diverso da quello patinato e banale a cui è sempre stata abituata Evie. Un nuovo codice di condotta, una nuova morale, dettati dal guru Russell e dai capricci che lo portano a instillare nella mente di Suzanne e dei suoi adepti la necessità di uccidere. Evie, tuttavia, è innocente, non partecipa all’atroce delitto. Eppure, avrebbe potuto.
Vivere espiando
La vita di Evie è segnata per sempre da quella maledetta estate che, se da una parte, le fa conoscere l’amore, dall’altra la porta a vivere esperienze a cui non è per niente pronta, come il sesso, spesso contro la sua volontà, la droga, e che la mette davanti alla morte. Solo per un puro caso non si trova a prendere parte attiva alla spedizione sanguinosa di cui conoscerà i risultati solo a qualche ora di distanza. Non ha ucciso, eppure è colpevole. Questo senso di colpa accompagna la protagonista per tutta la sua esistenza, la costringe a coltivare la sua solitudine, come impaurita di poter contagiare il prossimo con quello che ha vissuto, con le cose che ha assorbito. È la sua forma di espiazione.
Adolescenza e bisogno d’amore
A distanza di anni avrei capito questo: quant’era impersonale e disorientato il nostro amore, che mandava segnali in tutto l’universo sperando di trovare qualcuno che desse accoglienza e forma ai nostri desideri.
P.44
Più ci si addentra nelle pagine spietate e disperate de “Le ragazze”, più non possiamo fare a meno di odiare Evie e di provare, al contempo, anche una grande tenerezza. La odiamo perché sembra un corpo vuoto, inerme, che cerca piuttosto di farsi riempire dalle idee di chi le sta intorno. La odiamo persino perché può ricordarci dei momenti della nostra vita che abbiamo sommerso da tempo, in cui siamo stati brutti, goffi, incapaci di esprimere il nostro punto di vista in modo determinato, convincente, momenti in cui ci siamo vergognati di non essere all’altezza, di non piacere agli altri, quando tutto ciò che avremmo voluto era appunto piacere. Eppure, non si può non provare uno spasmo di tenerezza, una comprensione profonda verso i tentativi di questa ragazzina che lotta maldestramente contro la solitudine, che elemosina quelle attenzioni che non trova nel suo nucleo familiare, che ha un bisogno incredibile di essere amata, di sentirsi accolta, di essere realmente parte di una comunità. L’ironia è che il destino la metterà nelle mani dei cosiddetti “fanatici dell’amore”.
I ragazzi in fuga negli anni Sessanta
E rieccola, la loro ammirata venerazione per Russell, la loro certezza. Io gliela invidiavo, quella fiducia, il fatto che qualcuno potesse cucire insieme le parti vuote della tua vita fino a farti sentire che sotto di te c’era una rete, capace di legare ogni giorno al successivo.
P.95
Nascosti dietro concetti come la liberazione dalle regole e dalle convenzioni sociali, dai dettami stringenti e obsoleti della famiglia tradizionale, dall’ingiustizia del sistema capitalista, personaggi come Charles Manson, cui si ispira la figura di Russell nel romanzo, hanno fatto breccia nelle fragili menti di ragazze e ragazzi che, in tanti, scappavano di casa, in quegli anni, spesso solo per noia. Una forma di ribellione che molti pagarono a caro prezzo. Emma Cline non ci risparmia, infatti, scene molto crude di violenze fisiche e verbali, cui vengono sottoposte le adepte di Russell, solo per compiacerlo o per estorcere favori e raggranellare qualche spiccio o delle provviste per tirare a campare. Le ragazze sono costrette a prostituirsi, convinte per di più che sia una loro scelta. Un gesto quasi dovuto per mettersi al servizio di un fantomatico bene comune.
Il ruolo inferiore della donna
Mette a disagio, nonostante l’abitudine (triste) a questo genere di narrazione, la schiettezza con cui l’autrice dipinge la brutalità che è il risultato di un’inferiorità che ha da sempre caratterizzato i rapporti uomo-donna. Il sesso diventa merce di scambio, ma sappiamo che è anche e soprattutto il mezzo di sottomissione che gli uomini usano sulle donne. Sfruttate, maltrattate, usate a proprio piacimento, le ragazze del Ranch vengono anche spinte a uccidere, ma non è questo il messaggio su cui vuole soffermarsi la Cline. Il punto centrale è che queste donne sono totalmente private della propria identità, riempite di un odio atavico, alimentato dall’uso di droghe, nei confronti di quella parte di società che non vive come loro, che non abbraccia la loro “filosofia” di vita, quella giusta.
Suzanne e le altre ragazze non erano più in grado di elaborare certi giudizi, il muscolo inutilizzato del loro ego era diventato flaccido e inutile. Era passato un sacco di tempo dall’ultima volta che avevano occupato un mondo in cui il bene e il male esistevano in senso reale.
P.266
Perché è un romanzo necessario
Alcuni hanno criticato il fatto che, trattandosi di una storia realmente accaduta, sebbene rivisitata, il romanzo presenti una trama debole e scontata. Tuttavia, trovo che la maestria con cui l’autrice riesce a descrivere il perché si cada in certi tranelli, in certe esperienze, sia imperdibile. Il modo in cui Emma Cline, attraverso gli occhi di Evie, mischia sacro e profano, amore e morte, gioia e terrore, è quello dei grandi della letteratura e ci costringe a pensare al perché alcune dinamiche, certi rapporti di potere, il bisogno di far parte di qualcosa di più grande di noi e l’essere disposti a compiere gesti inspiegabili pur di essere accettati e amati, siano temi universali e senza tempo
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