Una storia epica di eroismo dimenticato
Come gli Afroamericani combatterono la seconda guerra mondiale in patria e all’estero.

Per molti di noi, la seconda guerra mondiale evoca un immaginario fatto di film come Salvate il Soldato Ryan o Il Nemico alle Porte, di videogiochi sparatutto come Call of Duty, e in generale di battaglie epiche, di carri armati, portaerei e bombardieri che si scontrano dall’Oceano Pacifico al fiume Don. Di ciò che avveniva fuori dal campo di battaglia ci ricordiamo i racconti di nonni e bisnonni, i campi di sterminio nazisti o alcune storie particolarmente famose, come quella di Re Giorgio VI del Regno Unito (pensate a Il Discorso del Re) o di Alan Turing (The Imitation Game). Questa memoria ci dà l’impressione di conoscere tutto quel che è successo tra il 1939 e il 1945, facendoci dimenticare l’enorme scala di questo conflitto. Ricordiamo così solo una piccola parte delle centinaia di milioni di persone coinvolte nella guerra, abbandonando dietro di noi storie nascoste, ma che sono spesso intrecciate con il mondo che esisteva prima e dopo la guerra. Una di queste storie è quella degli afroamericani e delle loro lotte fuori e dentro agli Stati Uniti. Il recente libro di Matthew F. Delmont, Half American: The Heroic Story of African Americans Fighting World War II at Home and Abroad (Viking, 2022, purtroppo non ancora tradotto in italiano) racconta queste vicende all’interno di una cornice quasi sconosciuta in Italia: la “Double V Campaign”, la campagna della doppia vittoria.
Combattere il fascismo in patria e all’estero
Il lavoro di Delmont parte da una premessa semplice. Se per gli americani bianchi della Greatest Generation (la fascia di persone nate tra il 1901 e il 1927), combattere la guerra significò lottare contro il fascismo di Germania, Italia e Giappone, per i neri c’era anche un altro nemico da sconfiggere: la segregazione razziale a casa propria. Se per i primi la guerra iniziò nel 1941 e finì nel 1945, per i secondi rappresentò solo un capitolo di una lotta cominciata decenni prima e che sarebbe continuata fino al Civil Rights Act e alla fine della segregazione nel 1968.
Il racconto di Half American parte dagli anni Trenta, quando il mondo inizia a osservare le mosse degli stati dell’Asse. Il primo protagonista che conosciamo è Langston Hughes, un giornalista, scrittore e poeta afroamericano. Nel 1937 diventa un inviato di guerra in Europa del Baltimore Afro-American, con il compito di osservare sul campo la guerra civile spagnola, iniziata l’anno precedente. L’interesse suo e del giornale per questo conflitto non dipendeva solo dalle possibili conseguenze in Europa, ma anche dalla partecipazione della Abraham Lincoln Brigade. In questo contingente di 3.000 volontari americani che combatteva per il governo repubblicano si trovavano anche ottanta uomini e donne neri. A differenza di quel che avveniva in patria, però, loro non combattevano in unità segregate, separate da quelle dei volontari bianchi, ma al loro fianco. Negli Stati Uniti, infatti, la segregazione portata alla fine del secolo precedente con le leggi Jim Crow (da un epiteto dispregiativo per indicare gli afroamericani) era estesa anche alle forze armate ed era stata mantenuta anche dopo la prima guerra mondiale, nonostante la partecipazione di 380.000 afroamericani al conflitto.
Dalla sua prospettiva europea, Hughes poteva mettere a confronto il fascismo e il segregazionismo e vederne le forti somiglianze. Dopotutto, come disse lui stesso in un incontro a Parigi, le teorie suprematiste e l’oppressione economica che caratterizzavano il fascismo erano già da tempo realtà per gli afroamericani negli Stati Uniti. Se la partecipazione dei soldati neri al primo conflitto mondiale aveva messo le basi per una presa di coscienza della loro condizione sociale, l’espansione del fascismo in Europa rappresentava ora una nuova battaglia da combattere, per evitare che tutto il mondo diventasse un luogo ostile per gli afroamericani. Anni prima di Pearl Harbour, era già chiaro per loro cosa ci fosse in ballo e cosa avrebbero dovuto fare gli Stati Uniti.
Dopo questo primo capitolo, Half American continua raccontando i due volti della guerra per gli afroamericani. Da un lato, quello visto dai soldati. La lotta per loro comincia nei campi di addestramento del Sud, come a Tuskegee in Alabama, dove prima di arrivare sui campi di battaglia i soldati neri subiscono le discriminazioni e le violenze dei propri commilitoni e dei civili. Poi continua al fronte, in Italia, Francia, India e nell’Oceano Pacifico. Delmont riesce a offrire una panoramica di tutti i luoghi nei quali si trovarono i soldati neri e di tutti i ruoli che ricoprirono, da quelli di aviatori e marines, a quelli di operai e autisti al servizio della logistica. Non sono escluse le donne, presenti soprattutto nel famoso battaglione Six Triple Eight (al quale è stato di recente dedicato un omonimo film), addette allo smistamento della posta dei soldati con il motto “No mail, low morale”.
L’altro volto della guerra è invece rappresentato dalla lotta in patria. Qui i principali protagonisti sono i giornali, come il Baltimore Afro-American, il Pittsburgh Courier e il Chicago Defender, e gli attivisti della National Association for the Advancement of Colored People, come Thoroughgood “Thurgood” Marshall (che diventerà poi il primo Giudice della Corte Suprema afroamericano) ed Ella Baker. I loro obiettivi sono riuniti nella “Double V Campaign”, un termine coniato dal Pittsburgh Courier per indicare la necessità di vincere il fascismo non solo all’estero, ma anche sconfiggendo la segregazione all’interno degli Stati Uniti. Questa lotta durerà tutta la guerra e porrà le basi per il movimento dei diritti civili. Le sue battaglie comprenderanno quella per il diritto dei soldati afroamericani di essere arruolati e stare al fronte, per il diritto di lavorare nell’industria di guerra al pari dei bianchi, e in generale per l’annullamento della segregazione in nome dei sacrifici fatti per la vittoria degli Stati Uniti. Per vincere queste lotte verranno organizzate campagne stampa e proteste, volte a convincere l’amministrazione Roosevelt anche di fronte all’opposizione dei Democratici del Sud.
Una vittoria limitata
La conclusione del libro è dolceamara. Se da un lato Roosevelt, con l’Ordine Esecutivo 8802 del 1941, vieta effettivamente le discriminazioni nell’industria bellica, dall’altro bisogna aspettare il 1948 perché Harry Truman abolisca, con l’Ordine 9981, anche le discriminazioni nelle forze armate. Quest’ultima decisione, una delle più importanti conquiste dell’amministrazione Truman, comporterà anche la temporanea scissione dal Partito Democratico dei “Dixiecrats”, i politici del Sud favorevoli al segregazionismo, e sarà un passo importante per lo spostamento del Partito verso posizioni progressiste nei diritti sociali. La seconda V della campagna degli afroamericani, dunque, arriva molto più tardi rispetto alle vittorie in Europa e in Giappone. Inoltre, come sottolinea Delmont, questa vittoria resta ancora da fissare all’interno della società americana, dove la trasformazione del Partito Repubblicano in uno schieramento estremamente conservatore e in opposizione ai diritti civili pone questi ultimi in discussione. Pur raccontando avvenimenti passati, Half American mostra una storia che rischia di tornare contemporanea. Ignorarla, come scrive Delmont nella sua conclusione, “è un lusso che non possiamo permetterci”.