Una scuola al servizio di Dio
La Corte Suprema segna un ulteriore punto per la destra religiosa sul fronte della preghiera a scuola, riaprendo un dibattito mai veramente chiuso.
Forse è tra gli argomenti più difficili di cui discutere, sia in America che da noi. Che tipo di ambiente dovrebbe essere una scuola? Cosa dovrebbe essere permesso trasmettere al di fuori del sillabo approvato dal ministero? Qual è il confine tra la libertà di espressione di chi insegna e la necessità di non escludere chi frequenta?
Nell’assordante clamore che ancora circonda la recente sentenza su Roe v. Wade e i diritti riproduttivi, la Corte Suprema ha risposto anche a questa domanda, stabilendo che è incostituzionale sospendere un insegnante per aver organizzato un momento di preghiera dopo una partita di football.
Ci sono poche altre questioni che dividono gli Stati Uniti più della religione, e il dibattito sulle preghiere cristiane nelle strutture scolastiche è uno di quelli più accesi. Il caso è tornato a far discutere sul presunto conflitto tra il diritto dei dipendenti delle strutture pubbliche di vivere apertamente la propria fede e il dovere del governo di proteggere gli studenti dall’essere costretti a partecipare a funzioni religiose. Si è trattato di nuovo di andare a interpretare la cosiddetta Establishment Clause del Primo Emendamento, che proibisce al governo di sponsorizzare una religione. Non è un caso che la clausola sia nello stesso Emendamento in cui si stabilisce la libertà di parola e, appunto, di osservanza religiosa.
L’allenatore e i satanisti
Il coach Joe Kennedy aveva l’abitudine di pregare al centro del campo o negli spogliatoi dopo le partite, una pratica che progressivamente aveva coinvolto gli studenti della Brementon High School dello stato di Washington e le squadre avversarie. La cosa cominciò piano piano ad attirare l’attenzione e a essere politicizzata localmente, mentre coach Kennedy usava anche i social per annunciare i suoi momenti di preghiera.
Mesi dopo un gruppo satanista chiese equo accesso al campo. Il distretto scolastico aveva una scelta davanti a sé: permettere al coach di continuare a organizzare momenti di preghiera, dando quindi implicitamente l’assenso di un ente governativo, oppure mettere porre fine alla cosa. Il suo contratto di un anno non fu rinnovato e lui portò la questione in tribunale.
Le corti statali e federali avevano negato il ricorso basandosi sul precedente stabilito dalla sentenza della Corte Suprema del 1971 nel caso Lemon v. Kurtzman, che stabilì delle regole per decidere se l’azione di una scuola fosse incostituzionale secondo l’Establishment Clause. Il cosiddetto Lemon test stabiliva che un’azione che ragionevolmente apparisse come un endorsement di una pratica religiosa da parte di un ente o un dipendente governativo era incostituzionale. La sentenza dell’altro giorno va a ribaltare anche questo precedente e avrà effetti forse molto più incisivi.
La preghiera secondo la Corte Suprema
Quando si dice che la storia dei diritti in America non è lineare, ma ha dei cicli, lo stesso vale per il tema della preghiera a scuola. Quello in cui viviamo è un momento in cui la corte del giudice capo John Roberts, con la forte maggioranza conservatrice ereditata dalla presidenza Trump, cerca di riportare indietro l’orologio costituzionale di decenni, basandosi su un’interpretazione – quando serve – oltremodo letterale del testo costituzionale.
Questa sentenza potrebbe quindi portare presto al ribaltamento completo di quello che fu un fondamentale capitolo di giurisprudenza negli anni Sessanta, quando un’altra corte, quella del giudice capo Earl Warren, fissò dei paletti precisi riguardo la separazione tra Stato e chiesa.
Fu quella corte, nel 1962, a rendere incostituzionale ogni momento di preghiera organizzato e diretto da ente pubblico o da una scuola; fino ad allora era stato possibile che, ad esempio, in Pennsylvania la legge obbligasse alla lettura di dieci versetti della Bibbia a inizio orario scolastico o che in Maryland la preghiera fosse inserita nel calendario delle lezioni. Lo stesso principio fu stabilito in altre due sentenze successive.
Questi casi sono diventati il precedente per la secolarizzazione di ogni ufficio pubblico come requisito costituzionale. Per Warren il Primo Emendamento dava agli americani un diritto alla libertà sì di religione, ma anche dalla religione. Citando Thomas Jefferson, il giudice Black scrisse che l’Establishment Clause «ha eretto un muro di separazione tra Stato e chiesa».
Naturalmente queste sentenze non misero la parola fine alla questione. Come prevedibile la reazione a queste decisioni fu di accusare la corte e il giudice Warren di essere senza dio e ostili alla religione. Dopotutto parliamo di un periodo di forte revival religioso che stava cambiando profondamente il carattere simbolico delle istituzioni americane.
Solo otto anni prima una joint resolution del Congresso aveva introdotto «under God» nel Pledge of Allegiance recitato a scuola e nel 1956 era stato adottato «in God we trust» come motto nazionale. Secondo il Presidente Eisenhower in quel modo «stiamo riaffermando la trascendenza della fede religiosa nel patrimonio degli Stati Uniti e il futuro; in questo modo rafforzeremo quelle armi spirituali che per sempre saranno la risorsa più potente del nostro Paese in pace e in guerra».
L’altra scorciatoia: il Congresso
Non sorprende quindi che nell’anno in cui la Corte Suprema era occupata a rinforzare quel muro di separazione tra Stato e religione, la reazione politica conservatrice cercasse di capitalizzare sulla fede degli elettori proponendo rimedi legislativi.
Il Senatore Robert Byrd, democratico del West Virginia, propose un emendamento costituzionale che introducesse la preghiera a scuola nel 1962, e poi di nuovo nel ’73, ’79, ’82, ’93, ’95, ’97 e ‘06. Nell’82 fu proprio il Presidente Reagan a farsi portavoce della nuova crociata, in un periodo in cui il partito repubblicano cominciava a nutrire un fortissimo rapporto ideale che dura ancora oggi con la destra evangelica.
L’emendamento arrivò solo nel 1998 al voto, con la maggioranza repubblicana che però non riuscì a raggiungere i due terzi richiesti per un emendamento costituzionale.
Da allora le armi del dibattito si sono fatte più sofisticate, sia nella propaganda che nelle proposte. Il contenzioso si è spostato sul finanziamento pubblico alle scuole religiose (su cui recentemente la Corte Suprema si è espressa) e su momenti scolastici che potrebbero essere interpretati come preghiera, o potrebbero includere una preghiera, ma che rientrano nei confini della personale libertà di esprimere la propria fede, come i minuti di silenzio.
Il dibattito sulle scuole pubbliche
Il dibattito è naturalmente complesso e una sentenza, come visto, non è una garanzia perenne che l’argomento non venga riaperto in futuro. Se nell’Ottocento, durante il secondo grande risveglio religioso, erano cattolici ed ebrei a protestare contro la preghiera nella scuola pubblica per l’imposizione della versione protestante della religione cristiana, dal Novecento i termini si sono spostati sulla natura stessa della scuola e della formazione finanziata dal governo.
Le scuole pubbliche esistono per formare dopotutto, non per fare proselitismo. Gli studenti sono un’audience che non ha alternative, quindi la preghiera come parte integrante della giornata scolastica può diventare coercitiva e invasiva. Se organizzata dagli insegnanti può diventare motivo di discriminazione, visto che questi assegnano crediti, compiti e premi. Dall’altra parte il divieto costituzionale non ha mai costituito un ostacolo alla libera professione da parte degli studenti, l’Equal Access Act del 1984, per esempio, servì proprio a garantire la libertà di espressione alle più disparate iniziative studentesche in campo religioso (se ne sono serviti anche i gruppi LGBTQ+ nei decenni successivi).
La discussione rimarrà di certo sempre aperta, ma forse è bene ricordare quello che il personaggio di Toby Ziegler dice nella puntata “Shibboleth” della seconda stagione di The West Wing:
Il punto è il bambino in quarta elementare che viene picchiato in ricreazione perché è uscito durante il minuto di silenzio e preghiera volontaria. È solo l’ennesimo modo per rendere alcuni bambini diversi dagli altri, quando sono obbligati dalla legge ad essere lì. Ecco perché il tema dovrebbe essere al centro. Non sono il Primo Emendamento e la libertà di religione il punto. Quel bambino in quarta elementare, lui è il punto».
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