"Una politica estera per la classe media": come la Bidenomics si collega alla sicurezza nazionale
La Casa Bianca sta silenziosamente cercando di collegare le proprie proposte economiche con la sicurezza nazionale per superare l'opposizione del Congresso e riaffermare l'autorità presidenziale
L’amministrazione Biden si è insediata facendo del suo programma economico, denominato Build Back Better, il suo campo di battaglia: al suo interno, il trait d’union delle politiche è il superamento definitivo dalle logiche neoliberiste che hanno rappresentato il dogma dagli anni Ottanta a oggi in buona parte dell’occidente, Stati Uniti per primi. Questo fenomeno non avviene solo lì: uno degli sviluppi forse più interessanti degli ultimi anni, comunque la si pensi a riguardo, è lo sdoganamento della presenza dello Stato nell’economia. Vista la traumatica esperienza dell’austerity post crisi del 2008, che ha fallito nel suo tentativo di stimolare la crescita economica acuendo anzi le tensioni all’interno dell’elettorato europeo e americano, a poco a poco l’intervento dello stato sta venendo rivalutato. Ne è un esempio l’imponente risposta in termini di politiche economiche avutasi all’indomani della pandemia di Covid-19: nel 2020, il Congresso americano ha approvato spese del calibro di centinaia, se non migliaia, di miliardi di dollari senza batter ciglio. Non si può non notare la differenza con le preoccupazioni sull’indebitamento viste nel 2008 di fronte al progetto di salvataggio del settore finanziario. Certo, stavolta i destinatari del denaro non erano le odiose grandi banche e la situazione era senza precedenti, ma è comunque un fatto degno di nota specialmente visto che ci si trovava durante un’amministrazione Repubblicana.
Una volta insediato, Joe Biden fronteggiava sì un Congresso nominalmente favorevole, con Camera e Senato dalla sua parte, ma era costretto a lavorare in modo bipartisan per far passare qualsiasi legge a causa della regola del filibuster che di fatto alza la maggioranza necessaria a far passare le leggi nella camera alta a 60 Senatori. Allo stesso tempo, la nuova amministrazione portava con sé molte promesse di riforma strutturale del Paese: investire per decarbonizzare l’economia, stimolando allo stesso tempo il settore manifatturiero, migliorare la rete di infrastrutture del Paese, aiutare i lavoratori e i piccoli commercianti ed espandere il welfare con un occhio alle politiche familiari. Come conciliare le due cose, soprattutto all’indomani delle elezioni di midterm che hanno restituito una maggioranza Repubblicana alla camera?
La strategia adottata dall’amministrazione è facilmente individuabile analizzando la scelta di ciò a cui è stata data priorità, con l’ausilio di un discorso tenuto da Jake Sullivan, il Consigliere per la sicurezza nazionale, alla Brookings Institution nell’aprile scorso. Dalle sue parole appare evidente un tentativo di portare le politiche economiche all’interno della sfera della sicurezza nazionale, cioè nell’area dove la discrezione del Presidente e la legittimità della sua azione è più sicura. La competizione commerciale con la Cina (altra materia sdoganata dalla precedente amministrazione), certo, ma anche preoccupazioni circa il mantenimento di una supply chain sempre efficiente, di scorte di medicinali e materiale medico adeguate, l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza energetica partendo da una posizione di dominanza nel settore green, fino all’individuazione delle diseguaglianze economiche come rischio per la tenuta del paese, sono tutti elementi che secondo Sullivan saldano assieme le due materie portando l’amministrazione a concepire una «politica estera per la classe media». Non è un caso che siano state proprio misure come il CHIPS Act per stimolare la produzione domestica di semiconduttori, o l’Inflation Reduction Act, che di riduzione dell’inflazione ha ben poco e di politica industriale-energetica ha molto, a essere spinte dall’amministrazione e a ricevere sostegno bipartisan (ormai bestia rara), a fianco di una più ‘classica’ ma comunque notevole manovra infrastrutturale, tra le maggiori nella storia del Paese. In altre parole, laddove era più semplice e diretta la connessione tra interesse nazionale ed economia è stato più semplice trovare una risposta favorevole rispetto a proposte di legge più puramente ‘sociali’ come l’American Families Plan.
A testimonianza dell’esistenza di tale strategia troviamo anche le parole di Brian Deese, ex Direttore del National Economic Council, che ha esposto gli stessi punti di Sullivan in un discorso al City Club of Cleveland, e del Segretario di Stato Antony Blinken, che ha sottolineato l’importanza di una strategia industriale per fronteggiare la minaccia cinese.
Di fronte a un Congresso diviso e polarizzato, e avendo ereditato una presidenza che doveva riguadagnarsi legittimità istituzionale, possiamo quindi intravedere una strategia in fase di sperimentazione da parte della Casa Bianca per ristabilire una conduzione economica nazionale più centralizzata di quanto si sia fatto negli ultimi decenni, ponendovi a capo un esecutivo forte di una ridefinizione delle sue prerogative particolari. L’identificazione del Presidente con la sicurezza nazionale è sancita dal suo ruolo costituzionale di Comandante in capo ed è quasi sempre stato fonte di accordo all’interno della classe dirigente americana, dando luogo a volte a tragiche conseguenze, altre volte a dei precedenti da cui l’amministrazione può trarre ispirazione per ‘vendere’ la sua strategia. Uno di questi è certamente il Defense Production Act del 1950, che garantisce al Presidente notevoli poteri per influenzare l’economia in caso di necessità di interesse nazionale, in particolar modo per assicurare l’approntamento delle risorse necessarie alla difesa del Paese. La relativa flessibilità nei criteri di definizione di necessità per queste risorse ha dato la possibilità a molti Presidenti di utilizzare questa legge piuttosto liberamente: ad esempio, Carter la usò per investire in ricerca su carburanti alternativi di fronte allo shock petrolifero del 1979, mentre Ford per costruire l’oleodotto che attraversa l’Alaska. Più di recente, questi poteri sono stati usati durante l’emergenza pandemica per aumentare le riserve nazionali di mascherine e respiratori.
Ancora, la costruzione del sistema di autostrade interstatali è stata incominciata durante l’amministrazione Eisenhower a seguito dell’Interstate Highway Act del 1956. Tale rete doveva sì servire la popolazione, ma aveva anche un esplicito scopo militare: doveva fungere da mezzo di evacuazione per gli abitanti in caso di attacco nucleare, e soprattutto come sistema di trasporto rapido per truppe e mezzi militari in caso di mobilitazione.
Vediamo dunque anche da questi brevi esempi, ma se ne potrebbero fare altri soprattutto nel campo del commercio internazionale, come questa strategia di legittimazione del piano economico sfrutti elementi già presenti nel sistema politico americano (il binomio Presidente-sicurezza nazionale) combinandoli con varchi aperti inavvertitamente dalla precedente amministrazione, lo sdoganamento della spesa pubblica, ad esempio. Solo il futuro, e soprattutto l’esito delle elezioni di quest’anno, ci potranno dire se questa strategia avrà successo e si sedimenterà fino a modificare il modo in cui si concepiscono le politiche economiche. Come nota conclusiva, è bene notare come questo possibile sviluppo, ossia la progressiva inclusione della materia economica all’interno delle prerogative particolari del Presidente, sebbene sia molto affascinante da una prospettiva istituzionale, possa avere conseguenze molto serie per l’equilibrio fra i poteri interno al sistema di governo americano, primo fra tutti un sempre minore ruolo del Congresso e uno strapotere dell’esecutivo.