Un disperato bisogno di riforma
Le sentenze più contraddittorie di quest'anno hanno evidenziato come ci sia bisogno di un maggiore bilanciamento per tornare a rendere quest'organo funzionante
Siamo giunti al termine di un anno molto difficile per la Corte Suprema, che si è dovuta confrontare con sentenze delicate in un clima di sempre maggior distacco con l’opinione pubblica, accentuatosi ancora di più dopo la decisione “Dobbs v Jackson” dell’anno scorso che ha demolito il diritto federale all’aborto.
Il progetto della maggioranza dopo quest’anno è ancora più chiaro: ci troviamo di fronte a un conservatorismo sempre più smaccato, legato a doppio filo col progetto di garantire una totale libertà religiosa, declinata però quasi esclusivamente a vantaggio dei cristiani. Il modo con cui la Corte guidata da Roberts determina il corso delle sentenze più controverse è una lettura distorta del Primo Emendamento, nato come strumento di protezione dei diritti dei marginalizzati e più volte invocato da attivisti e gruppi umani che avevano bisogno di un ombrello protettivo di fronte a leggi che li inferiorizzavano. Questa maggioranza, sin dal 2010, con la storica sentenza Citizens United v Federal Election Commission, che usò il Primo Emendamento per proibire qualsiasi restrizione sui soldi che non-profit e corporations potevano utilizzare a vantaggio dei candidati politici, ha, in varie sentenze, distrutto leggi pensate per proteggere comunità marginali costituzionalizzando una visione storica profondamente conservatrice di questo Emendamento. Una giudice che spesso si è spesa per cercare di salvare, agli occhi del pubblico, la legittimità della Corte Suprema, Elena Kagan, e che spesso ha ammesso che negli ultimi anni il massimo organo giudiziario si è alienato dal corpo politico e dall’opinione pubblica in maniera del tutto innaturale, ha chiaramente detto che il “Primo Emendamento era stato pensato per cose migliori”.
303 Creative v Elenis
È importante discutere di questo quando ci troviamo di fronte a una sentenza come 303 Creative v Elenis in cui, utilizzando un caso di scuola puramente ipotetico, si è deciso che un web designer può rifiutarsi di allestire un sito per il matrimonio di due persone omosessuali in quanto, compiendo il lavoro, darebbe un implicito endorsement alla coppia; questo, secondo la lente distorta del Primo Emendamento veicolata dalla maggioranza della Corte guidata da Roberts, lederebbe la sua libertà religiosa di non ritenere l’unione omosessuale un atto equiparabile al matrimonio.
Sonya Sotomayor, Giudice della Corte che da sempre si occupa nei suoi dissent di uscire dal linguaggio giuridico per dimostrare come le opinioni di maggioranza abbiano un effetto lesivo su persone fisiche, generando problemi reali e difficili da risolvere, ha scritto che questo è un caso importantissimo, perché il primo che determina che un ente commerciale possa rifiutarsi di servire clienti paganti, oltretutto membri di una minoranza. È chiaro affermare che non dovrebbe esistere un diritto alla discriminazione, e ancora di più è assurdo esista in un contesto di compravendita.
La fine dell’Affirmative Action
L’altra sentenza che ha demolito un sistema di riequilibrio del rapporto tra maggioranza e minoranze è quella che ha portato alla fine dell’Affirmative Action nei contesti universitari. Stiamo parlando di un sistema che prevedeva, per molti college, l’utilizzo dell’etnia come parte del criterio valutativo nel processo di ammissione, di modo da mantenere un insieme di studenti il più diverso possibile; è infatti evidente a livello storico che per i ragazzi afroamericani e latini, strutturalmente più poveri e marginalizzati rispetto ai loro coetanei bianchi, è molto più difficile performare nei test allo stesso modo degli altri, dato un contesto di povertà educativa ben più marcato.
Determinare che non si possa prendere in considerazione il dato etnico nell’ammissione porta a un sistema di “color blindness”, quell’idea, sempre più popolare nella destra americana dagli anni Ottanta in avanti, per cui il modo di rendere irrilevanti le differenze etniche sarebbe quello di trattare tutti allo stesso modo. Sta di fatto che, per quanto possa ritenersi eticamente condivisibile questo concetto su un piano irreale, la linea del colore nella realtà statunitense è fondamentale nel movimento, così come nella possibile immobilità, sociale: i neri sono stati schiavi, hanno subito la fine della Ricostruzione, hanno conosciuto il sistema economico dello sharecropping e sono caduti nella segregazione sistemica di Jim Crow.
Hanno quindi accumulato, in secoli di subalternità approvata da quella stessa Corte con sentenze come Plessy v Ferguson, un divario sociale colmabile proprio con quei programmi che ora si sono andati a toccare. Avere più studenti afroamericani e latini, per University of North Carolina, una delle due università, insieme ad Harvard, direttamente toccate dalla sentenza, sarebbe il modo di creare un ascensore sociale per diminuire le evidenti disparità di ricchezza.
Ketanji Brown Jackson, giudice afroamericana nominata da Biden l’anno scorso e al suo primo term da Associate Justice, ha chiaramente affermato che definire l’etnia irrilevante per legge non la rende irrilevante nella vita. La giudice sta cercando di costituire una scuola di pensiero che molti hanno definito come di “originalismo progressista”; i dissensi di Jackson sono pienamente basati sulle situazioni storiche, proprio come prevede l'originalismo classico, principalmente conservatore, che vorrebbe dare un forte peso nel giudizio alla volontà del legislatore nel momento in cui ha scritto la legge. Jackson, nel suo dissent, cerca di far vedere in maniera lampante come ci sia una netta evidenza storica documentale che va contro l’interpretazione della maggioranza. Se per la maggioranza il Quattordicesimo Emendamento alla Costituzione viene letto in senso color-blind, come un affermazione della non differenza tra bianchi e neri, Jackson afferma attraverso i documenti che il tentativo era invece quello di cercare di costituire un’uguaglianza strutturale, giungendo a una progressiva eliminazione delle differenze, che è proprio il senso di progetti come quello dell’Affirmative Action.
Per concludere ci troviamo di fronte a un altro term in cui un forte squilibrio tra giudici conservatori e progressisti ha portato a sentenze politiche, che poco hanno a che fare con un organo che dovrebbe essere la suprema fonte del diritto e che dimostra come in un sistema liberal-democratico non c’è bisogno solo del bilanciamento dei poteri, ma del bilanciamento interno a un singolo potere per garantire sentenze eque e giuste; fino a quando questo non avverrà nessuno dovrà stupirsi se la Corte rimarrà l’organo meno compreso dal cittadino, nonostante il fascino che inevitabilmente genera.