Gli ucraini d'America
Come la diaspora ucraina negli Stati Uniti sta vivendo il momento più importante nella storia della nazione ucraina. Il reportage di Marta Biino.
Julia Nechaieva appare su Facebook Messenger con gli occhi ancora stanchi, alle 8 di mattina di un martedì soleggiato nella Bay Area. L’intervista inizia con la domanda di routine, una formalità. «Come stai?»
«Sto piuttosto male, grazie per avermelo chiesto» risponde. Da due settimane, la vita di Julia è stata stravolta.
La sua è una storia di successo. Partita da Kharkiv, lavora nel settore software da sempre. Ha lavorato in Ucraina, poi in Russia, dalla quale è scappata nel 2014 dopo aver assistito alle prime rappresaglie contro il leader dell’opposizione contro Putin, Aleksei Navalny.
Per questo, ha fatto domanda per un master all'università di Berkeley, in California, ed è rimasta. Oggi, Julia lavora per Twitch, la piattaforma di streaming di proprietà di Amazon, come software engineer. Fino a due settimane fa pochi avrebbero conosciuto la città natale di Julia. Adesso, non appena menziona di essere originaria di Kharkiv, lo sgomento è immediato.
Kharkiv, nell’est dell’Ucraina, sta sopportando le bombe russe dal 24 febbraio, il giorno in cui l’attacco — quello che Putin chiama una «operazione militare speciale» — è iniziato. La famiglia di Julia è quasi tutta lì, madre, nonna, fratello, zio.
Per una settimana dopo quel 24 febbraio, Julia non è stata in grado di aprire il PC per lavorare. Invece, è andata a protestare, ha parlato con i colleghi, ha fatto pressione ai suoi superiori per prendere provvedimenti contro la Russia. Twitch, il servizio per cui lavora Julia, già il 3 marzo aveva comunicato che avrebbe cominciato a bloccare profili che diffondevano propaganda russa e misinformazione relativa al conflitto.
L’8 marzo Julia era ottimista che sarebbero arrivati ulteriori provvedimenti. «Abbiamo spinto davvero tanto i primi giorni, abbiamo fatto telefonate, iniziato una petizione che abbiamo inviato a Google» dice. «Sono grata per quello che i miei superiori stanno facendo e sono sicura che le nostre richieste sono arrivate ai piani alti».
Le richieste di Julia e dei tanti colleghi che supportano l’Ucraina sembrano aver funzionato. Il 9 marzo Amazon ha annunciato di aver bloccato le spedizioni in Russia e l’accesso ai servizi di Prime Video. Anche Amazon Web Services, il servizio di cloud computing che permette il funzionamento di circa la metà dei servizi web nel mondo, ha bloccato l’accesso a clienti in Russia e Bielorussia.
Twitch, al pari di altri social network come Twitter e Telegram, continua a funzionare, ma le opzioni per chi lo utilizza per guadagnare denaro – ad esempio tramite donazioni o pagamenti di iscrizioni utilizzati da tanti utenti del sito – sono state bloccate. Per tanti gamer russi, persone che pubblicano video in diretta mentre giocano ai videogiochi, la demonetizzazione dei contenuti è stata un duro colpo.
Julia è consapevole che tante delle persone comuni in Russia non hanno colpe. Ha amici russi, persino suo marito è russo. Tuttavia non vede alternative, se non sanzionare pesantemente il Paese.
«Capisco che non sia giusto per tanti singoli individui, ma mi chiedo, quale altra soluzione c’è?» osserva. «La mente umana è naturalmente spinta a generalizzare e so che ci sono tante persone russe che soffrono per questa situazione, ma poi penso: la mia famiglia è sotto le bombe, capisci?».
La famiglia di Julia non ha nessuna intenzione di lasciare Kharkiv. La madre e la nonna vivono insieme e la nonna è troppo anziana per pensare di partire. A Julia fa male, ma capisce. Cerca di accettarlo e, quando chiama sua madre, prova a parlare del più e del meno, finge che tutto sia normale.
Ucraini della East Coast
Dall’altro lato della costa, a New York, c’è Oleksandra. I suoi amici newyorkesi la chiamano Alexis. Come quella di Julia, anche la famiglia di Alexis non lascerà l’Ucraina.
Suo padre, scrive Alexis su Telegram, sapeva che sarebbe arrivata la guerra, e da dicembre aveva iniziato a costruire un rifugio antiaereo nella cantina del loro palazzo a Kyiv, con viveri e medicine.
«Abbiamo sempre saputo che Putin è un pazzo». scrive. «Sapevamo, sotto sotto, che ci sarebbe stata una guerra, ma ci rifiutavamo di crederci. Tuttora, faccio fatica a crederci».
Quando è arrivata la notizia, sono scesi di sotto e non sono più risaliti. Nel rifugio ci sono 77 persone adesso, scrive Alexis. A New York lei non fa altro che inviare messaggi e parlare al telefono con parenti e amici. Dorme dalle due alle tre ore a notte, mangia poco, piange sempre.
Il suo lavoro di stilista è passato in secondo piano. Anche lei va a protestare quasi tutti i giorni. A New York ci sono oltre 150.000 ucraini, secondo il New York Times. Il supporto per la popolazione ancora nel Paese è stato incredibile nelle ultime due settimane.
A Brighton Beach, il quartiere che i locali chiamano “Piccola Odessa” per la sua concentrazione di persone di origine ebrea scappate dall’Unione Sovietica, un negozio di prodotti tipici dell’Europa dell’Est, “Taste of Russia” (Sapori di Russia), ha rimosso l’insegna e l’ha sostituita con una bandiera ucraina.
A inizio marzo, seguendo il modello di una iniziativa nata a Londra, le proprietarie di uno dei servizi catering più noti della città, Dacha46, hanno cucinato i loro piatti — che sono di origine sovietica — per raccogliere fondi per l’Ucraina. Hanno raccolto oltre 10.000 dollari in poche ore.
Anche i palazzi a Manhattan sono illuminati di blu e giallo. A Times Square, ogni giorno, gruppi di persone si presentano per protestare con bandiere e cartelloni. Ieri, a Pennsylvania Station, si sentiva una canzone molto simile alla musica folkloristica ucraina, e non sarebbe una sorpresa: gli americani, qualsiasi sia la loro origine, uniti per l’Ucraina.
A livello governativo, il Congresso ha approvato un pacchetto da 1,5 bilioni di dollari, di cui quasi 14 miliardi da inviare in aiuti umanitari e militari all’Ucraina.
Sono pochi, quasi nessuno, i russi che sostengono Putin negli Stati Uniti. Forse per questo Julia e Alexis sono ottimiste. Hanno paura, ma sono convinte che il patriottismo ucraino prevarrà.
«We will win» concludono entrambe.
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