Trump University: l’unico corso in cui a giovarne è il truffatore
La storia di una truffa dal nome presidenziale, antenata di tutte le altre
“Volete il segreto per fare ancora più soldi?”. Iniziava così una pubblicità televisiva del 2005, in cui un molto più giovane Donald Trump annunciava i suoi corsi forniti dalla Trump University per sfondare nel mondo dell’immobiliare. Una domanda tentatrice, fatta da un uomo che era noto da un bel po’ nel giro d’affari newyorchese. Una domanda a cui molti hanno abboccato e ne sono usciti malconci.
Trump University è stata fondata nel 2004 da Donald Trump e i suoi soci Michael Sexton e Jonathan Spitalny. Solo Trump deteneva il 93 per cento della società. Essa offriva un programma incentrato su mercato immobiliare, gestione patrimoniale, imprenditorialità e, soprattutto, fare tanti tanti soldi. La Trump University è stata attiva dal 2005 fino al 2010.
Come si può ben immaginare, nonostante il nome i corsi non erano minimamente accreditati e riconosciuti come attività universitaria. Si trattava di seminari della durata di tre o cinque giorni a pagamento, con range di prezzo diversi: dal basic, al silver, fino al gold con cifre a più zeri da capogiro, raggiungendo i 35.000 dollari. La promessa era quella di avere accesso a tutti i segreti di un magnate come Trump per fare successo. Infatti, l’idea di base, e forse il pitch più convincente, stava in una sorta di romanticismo del miliardario magnanimo che, dopo aver fatto i soldi per sé stesso, era pronto a donare generosamente le sue conoscenze all’uomo (o alla donna) della strada. Efficace? Sì. Più di settemila persone hanno acquistato i corsi della Trump University per una cifra esorbitante. I piani originali consistevano nel dare questi corsi online (anche prima che questo diventasse la norma), per poi passare all’insegnamento in presenza. La lezione introduttiva, di solito offerta gratis, si teneva in spazi affittati come le sale di un hotel, come avviene spesso in occasione di congressi e conferenze.
Se finora vi siete fatti l’idea di essere davanti una vera e propria truffa da manuale secondo una tattica bait-and-switch, non avete torto. Le tattiche aggressive di pubblicità e vendita erano rivolte per di più a persone che speravano davvero di migliorare la propria vita imparando a fare guadagni facili e veloci: una sorta di corsia preferenziale verso il successo, la scala verso il paradiso se vogliamo fare una citazione musicale tutto sommato colta. Trump all’epoca sosteneva che i suoi corsi vantassero un 98 per cento di approvazione tra l’utenza e ha continuato a farlo anche quando i problemi giudiziari sono arrivati a bussare alla sua porta.
Già nel 2005 il Dipartimento dell’Istruzione dello Stato di New York aveva richiamato Trump University per l’uso improprio del nome, che violava le leggi statali. Il nome però è stato cambiato solo nel 2010, in Trump Entrepreneur Initiative. Sempre nel 2010 iniziano ad arrivare le prime magagne giudiziarie, con la presentazione in California di una class action da parte di un’ex studentessa, Tarla Makaeff, in rappresentanza di altre persone che erano cascate nella rete della Trump University. Makaeff dichiarò di aver pagato quasi 60.000 dollari alla “scuola”, che si serviva di tattiche truffaldine, offrendo servizi di istruzione scadenti. Trump University tentò in quell’occasione una controquerela da un milione di dollari contro Makaeff per diffamazione, che venne però respinta. Nel 2016, con la candidatura di Trump a Presidente, Makaeff si ritirò dal ruolo di querelante principale della class action citando gli abusi emotivi subiti da Trump e dal suo gruppo di avvocati sulla stampa. Il suo posto venne preso da un altro ex studente, Sonny Low, che portò avanti la causa.
Sempre nel 2010, in Texas, la divisione per la tutela dei consumatori chiese l’autorizzazione al Procuratore Generale dello Stato per intentare una causa contro Trump University per 2,6 milioni di dollari. Un’indagine interna, infatti, aveva rilevato che più di 200 texani avevano pagato circa 425.000 dollari all’azienda per partecipare ai seminari offerti e che erano stati convinti a farlo tramite pratiche fraudolente, false e ingannevoli. Oltre 150 persone avevano speso più di 800.000 dollari in prodotti ulteriori, secondo la stessa tattica. La causa però non venne mai intentata e Trump University cessò le attività nello Stato. Forse perché il Procuratore Generale dell’epoca in Texas era Greg Abbott, l’attuale Governatore, a cui Trump donò 35.000 dollari per la campagna elettorale. Coincidenza, vero?
I guai però non si fermano qui. Tre anni dopo, il Procuratore Generale dello Stato di New York, Eric Schneiderman, intentò una causa civile da 40 milioni contro Trump University dopo un’indagine che andava avanti dal 2011. Le accuse, ancora una volta, erano di frode e violazione delle leggi statali. Schneiderman ebbe campo libero a proseguire l’azione grazie anche a una sentenza della Corte Suprema dello Stato di New York su un caso collegato, che stabilì che Trump era personalmente responsabile per aver gestito Trump University a scopo di lucro e senza le dovute licenze.
Un altro ex studente di Trump University in California, Art Cohen, intentò una causa nel 2013 citando una violazione del RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), una legge federale che si applica alle attività delle organizzazioni criminali. Nel 2014 il giudice Gonzalo Curiel stabilì che erano state presentate prove sufficienti per procedere con un’azione civile.
Arriva il 2016, l’anno cruciale che avrebbe portato all’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti. Il giudice Curiel acconsentì alla richiesta del Washington Post di avere accesso ai documenti interni della Trump University e alle testimonianze raccolte durante le udienze preliminari. I documenti mostrarono un quadro estremamente inquietante, con ex dipendenti che dichiaravano di venire costretti a frodare le persone addirittura seguendo un playbook – un insieme di regole e linee guida -, studenti che parlavano di qualità scadente dei workshop o delle pressioni ricevute per dare un feedback positivo e acquistare ancora più servizi. Un dettaglio emerso constatava come Donald Trump non avrebbe mai personalmente selezionato gli istruttori, come invece sosteneva nelle pubblicità.
In piena campagna elettorale, Trump insinuò che il giudice Curiel stesse portando avanti questa battaglia perché messicano e contrario alla proposta di costruzione del muro tra Stati Uniti e Messico. Gonzalo Curiel è nato in Indiana, Stati Uniti, da genitori messicani. Tuttavia, le parole di Trump, impregnate di evidente razzismo che all’epoca ancora indignavano a sufficienza, suscitarono aspre critiche, con il tycoon costretto ad affermare di essere stato frainteso.
Sappiamo tutti com’è andata: Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali del 2016. Che fare quindi della vicenda Trump University? Il Presidente accettò di chiudere tutti e tre i procedimenti legali con un accordo extragiudiziale, evitando così il processo da 25 milioni di dollari, anche se ha continuato a sostenere che avrebbe vinto.
Dopo ciò, la vicenda Trump University è finita letteralmente nel dimenticatoio un po’ per tutti noi: il patteggiamento non ha fatto altro che giovare quasi più al truffatore che ai truffati, visto che ora siede tranquillamente alla Casa Bianca per un secondo mandato. Trump ricevette all’epoca aspre critiche pure da persone a lui ora molto vicine, come Marco Rubio, che ora serve come suo Segretario di Stato e si dichiara suo fervente sostenitore. Ah, come si son girate le carte!
Ed è buffo pure rileggere articoli di nove anni fa, a pochi mesi dalle presidenziali 2016, come quello di John Cassidy del The New Yorker. Il giornalista anglo-americano richiamava alla gravità del caso Trump University e del disastro per la democrazia americana nel momento in cui Donald Trump ne fosse uscito indenne – facendo un inaspettato (o forse no) parallelismo con Silvio Berlusconi.
Tutto vero, quasi profetico, possiamo confermarlo: lo stiamo letteralmente vivendo.